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Dando una rapida occhiata alle puntate uscite finora in questa quarta stagione, e quindi ai giudizi da noi assegnati alle stesse (colore verde sempre presente e tre benedizioni su quattro) era prevedibile, prima o dopo, un “passo falso” da parte di Pemberton e Shearsmith. Trattasi ovviamente di “passo falso” da valutare in relazione al lavoro impeccabile visto finora, difficilmente superabile da un episodio come “And The Winner Is…”, all’interno del quale alcuni degli elementi che hanno caratterizzato la serie fin dal suo esordio, quali ad esempio la location unica o il plot twist finale, risultano essere molto deboli o quantomeno sfruttati male rispetto a quanto visto nei precedenti quattro episodi.
Avendo lavorato in televisione per quasi due decenni, Pemberton e Shearsmith hanno decisamente familiarità con le falsità, le ipocrisie e gli imbrogli celati dietro al “metodo”, al processo di assegnazione relativo a questa tipologia di riconoscimenti. Entrambi in passato hanno avuto esperienze da giurati e, a giudicare da quanto messo in scena in questo quinto appuntamento stagionale, protagonisti assoluti di questa tipologia di votazione parrebbero essere, ancor prima dei membri della stessa giuria, le ire e le vanità celate dietro all’ego smisurato di presunti artisti, qui rappresentati brillantemente attraverso sette rappresentazioni portate al loro estremo e significative proprio per questa interessante stereotipizzazione di fondo che colpisce ogni singolo character.
Il risultato finale è una pungente satira grazie alla quale ogni ruolo viene deriso, dallo sceneggiatore disperato alla vecchia star di Hollywood, passando per il critico disperato del Sunday Mirror e il posatissimo presidente della commissione, sempre al centro di (almeno) due fuochi, e alle prese con sei giurati che – fatta eccezione per il rappresentante del pubblico – non hanno il minimo interesse a giudicare con serietà le diverse candidature.
Le motivazioni alla base dell’assegnazione di questo riconoscimento risultano così fondate su criteri ben lontani dal merito o dalle reali capacità artistiche dei candidati. Età, popolarità, colore della pelle, perfino una sega fatta in macchina a uno dei giurati, nel ’76, diventano così discriminanti fondamentali ai fini della valutazione finale, che quindi rivela la sua vera natura: una farsa.
Naturalmente, trattandosi di Inside No. 9, sappiamo già – quantomeno immaginiamo – che non sia la satira il vero obiettivo alla base dello storytelling: scopriamo infatti, grazie al consueto plot twist conclusivo, che Jackie, il membro del pubblico, è in realtà una delle attrici in lizza per il premio, nascosta sotto una parrucca, delle sopracciglia finte, un paio di occhiali e, perché no, anche sotto un velo di finta umiltà e fragilità. Non un granché come plot twist, questo va detto. Neanche troppo inaspettato se si pensa alle possibilità offerte dal contesto e dalla narrazione. E forse, giudicando l’episodio a posteriori, l’effetto sorpresa non doveva neppure essere il vero fulcro della narrazione, ma la proverbiale ciliegina sulla torta in una puntata il cui unico obiettivo era quello di far riflettere lo spettatore sui giochi di luce – e ombre – che spesso portano all’assegnazione di un premio per ragioni di comodo piuttosto che di merito. Buone le intenzioni, un po’ meno il risultato; non c’è da stupirsi dunque se alla fine ci si ritrova di fronte all’episodio più scarno visto finora, decisamente sottotono dal punto di vista dell’umorismo e dei ritmi diegetici rispetto alla media stagionale e, in ultima analisi, abbastanza anonimo. In altre parole, a mancare questa settimana è stata la genuinità della storia e dei suoi interpreti, un errore che comunque siamo disposti a perdonare in virtù dell’ottimo lavoro compiuto finora da Pemberton e Shearsmith, non soltanto in questa stagione ma, in generale, nel corso della serie nei suoi quattro anni di messa in onda.
Avendo lavorato in televisione per quasi due decenni, Pemberton e Shearsmith hanno decisamente familiarità con le falsità, le ipocrisie e gli imbrogli celati dietro al “metodo”, al processo di assegnazione relativo a questa tipologia di riconoscimenti. Entrambi in passato hanno avuto esperienze da giurati e, a giudicare da quanto messo in scena in questo quinto appuntamento stagionale, protagonisti assoluti di questa tipologia di votazione parrebbero essere, ancor prima dei membri della stessa giuria, le ire e le vanità celate dietro all’ego smisurato di presunti artisti, qui rappresentati brillantemente attraverso sette rappresentazioni portate al loro estremo e significative proprio per questa interessante stereotipizzazione di fondo che colpisce ogni singolo character.
Il risultato finale è una pungente satira grazie alla quale ogni ruolo viene deriso, dallo sceneggiatore disperato alla vecchia star di Hollywood, passando per il critico disperato del Sunday Mirror e il posatissimo presidente della commissione, sempre al centro di (almeno) due fuochi, e alle prese con sei giurati che – fatta eccezione per il rappresentante del pubblico – non hanno il minimo interesse a giudicare con serietà le diverse candidature.
Le motivazioni alla base dell’assegnazione di questo riconoscimento risultano così fondate su criteri ben lontani dal merito o dalle reali capacità artistiche dei candidati. Età, popolarità, colore della pelle, perfino una sega fatta in macchina a uno dei giurati, nel ’76, diventano così discriminanti fondamentali ai fini della valutazione finale, che quindi rivela la sua vera natura: una farsa.
Naturalmente, trattandosi di Inside No. 9, sappiamo già – quantomeno immaginiamo – che non sia la satira il vero obiettivo alla base dello storytelling: scopriamo infatti, grazie al consueto plot twist conclusivo, che Jackie, il membro del pubblico, è in realtà una delle attrici in lizza per il premio, nascosta sotto una parrucca, delle sopracciglia finte, un paio di occhiali e, perché no, anche sotto un velo di finta umiltà e fragilità. Non un granché come plot twist, questo va detto. Neanche troppo inaspettato se si pensa alle possibilità offerte dal contesto e dalla narrazione. E forse, giudicando l’episodio a posteriori, l’effetto sorpresa non doveva neppure essere il vero fulcro della narrazione, ma la proverbiale ciliegina sulla torta in una puntata il cui unico obiettivo era quello di far riflettere lo spettatore sui giochi di luce – e ombre – che spesso portano all’assegnazione di un premio per ragioni di comodo piuttosto che di merito. Buone le intenzioni, un po’ meno il risultato; non c’è da stupirsi dunque se alla fine ci si ritrova di fronte all’episodio più scarno visto finora, decisamente sottotono dal punto di vista dell’umorismo e dei ritmi diegetici rispetto alla media stagionale e, in ultima analisi, abbastanza anonimo. In altre parole, a mancare questa settimana è stata la genuinità della storia e dei suoi interpreti, un errore che comunque siamo disposti a perdonare in virtù dell’ottimo lavoro compiuto finora da Pemberton e Shearsmith, non soltanto in questa stagione ma, in generale, nel corso della serie nei suoi quattro anni di messa in onda.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Questa settimana abbassiamo l’asticella e ci limitiamo a salvare l’episodio con la nostra personalissima sufficienza, confidando in un season finale scoppiettante in grado di cancellare il parziale passo falso di questa settimana.
To Have And To Hold 4×04 | ND milioni – ND rating |
And The Winner Is… 4×05 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.