“…from you to you…“
(tratto da You, you only, exist di Rainer Maria Rilke)
Senza troppi fronzoli narrativi e ricollegandosi in maniera diretta al precedente episodio, Counterpart si cimenta nelle così meglio definite pulizie primaverili togliendo dal tavolo delle discussioni personaggi ormai inutili o per i quali era già stato concesso fin troppo tempo, ma sfrutta anche il momento per rivelare alcune delle proprie carte.
La più importante è sicuramente la chiusura del passaggio tra i due mondi, conseguenza della difficile situazione diplomatica che entrambi i lati si sono ritrovati a dover affrontare. Una delle caratteristiche di questa serie è sicuramente quella di mettere in gioco una narrazione che seppur trovi modo di sfociare nel visivamente violento (si pensi ai bambini ritrovati all’interno della scuola o all’attentato dello scorso episodio), mantiene un certo aplomb preferendo piuttosto dedicarsi ai dialoghi, all’introspezione, lavorando quindi sulle conseguenze più profonde di determinate ed impulsive azioni. Proprio attorno ad una di queste impulsive azioni, Counterpart decide di concludere la propria prima stagione proiettando lo spettatore verso la prossima: Howard, a confronto con Pope, si ritrova coinvolto suo malgrado in una breve diatriba che vede perire proprio quest’ultimo, figura misteriosa e insipida di questa serie. Insipida perché, sebbene di Pope si potessero udire echi narrativi ben profondi percepire il suo naturale coinvolgimento nei fatti presentati ed altro, il personaggio di Stephen Rea non è riuscito mai a ritagliarsi il giusto spazio all’interno della storia. Comprensibile quindi che si sia deciso di potare il suo ramo all’interno della serie. Cosa attenda Howard, viene menzionato in maniera criptica ECHO, non è dato saperlo e risulta difficile immaginare cosa o chi sia esattamente “ECHO”, ma l’incappucciamento e la stanza di isolamento non risultano essere dei segnali positivi di quello che verrà.
Ancora una volta sceneggiatori, registi e creatori decidono di fare immergere il proprio spettatore in una visione dicotomica e bilaterale sia da un punto di vista caratteriale, sia da un punto di vista visivo.
La scena dell’incontro con Management e la sua duplicazione nei due mondi rappresenta qualcosa di visivamente appagante e profondo: la decisione di far sedere i personaggi di Emily e Peter in maniera specchiata, considerato il peso del loro intervento durante la riunione, risulta essere un altro dettaglio utile a sottolineare quanto questa serie cerchi in tutti i modi di giocare con il proprio pubblico, coinvolgendolo anche nelle più piccole cose portate in scena.
Dal punto di vista caratteriale, Howard ed Howard Prime si ritrovano nuovamente nella così surreale posizione di doversi invertire di ruolo (psicologicamente): il primo diventa violento, durante lo scontro con Pope (violenza già portata in scena nel nono episodio), mentre il secondo diventa un marito fedele, deciso a difendere la “propria” moglie contro tutto e tutti.
E se da un lato Howard si scontra con Pope, un personaggio già definito insipido, dall’altro lato Howard Prime si ritrova a scendere a patti con Baldwin, un personaggio tanto ben introdotto ed analizzato da essere successivamente abbandonato a sé stesso nel momento in cui si è deciso di presentare Clare/Shadow. In questo episodio Baldwin ritorna al proprio passato da killer, mettendo da parte i sentimentalismi di cui sembrava essersi fatta forte nelle passate puntate. Ma questo è quanto: la trama nasce e muore con la dimostrazione di abilità fisiche e balistiche di Baldwin, senza aggiungere nient’altro che possa quanto meno risultare un minimo interessante ai fini della trama nel lungo periodo.
Sul canale YouTube dell’emittente Starz, successivamente alla messa in onda dell’episodio settimanale, viene caricato un mini video introspettivo in cui alcune tematiche presentate nella puntata vengono brevemente analizzate. Inside the World of Counterpart ha analizzato vari aspetti fino a questo punto della serie, ma Justin Marks (il creatore della serie) ha deciso di appuntare tre cose ben precise: l’importanza della filosofia del gioco Go, attorno al quale ruota l’intera serie; due frasi ben specifiche estrapolate nei passati episodi (“Can we really escape our identity?” e “We all have to go through alone.”). Del Go si era già fatta menzione altre volte nelle passate recensioni ed è quindi indiscusso il suo naturale collegamento alla storia: due avversari che si cimentano su di un campo identico, uno la controparte dell’altro, luce ed ombra che si mischiano vicendevolmente.
Il Go, così come Counterpart, è una serie che predilige il lungo percorso piuttosto dell’attacco diretto: la diplomazia non è uno strumento pacifico, piuttosto il prolungamento della guerra con altre modalità più riflessive e meno impulsive.
La pace è ciò che si deve ricercare, evitando gli scontri isolati o in frangenti in cui la fazione dimostra debolezza.
“Se due avversari intendono lottare per la dominazione dell’intera partita, è durante il Fuseki (inizio di partita) che troveranno le migliori opportunità per i grandi piani e le raffinate strategie. Ci troviamo in un regno che trascende l’abilità ad analizzare questa o quella situazione locale. È il regno dell’intuizione.” (Taka)
Le due frasi precedentemente riportate hanno forti implicazioni sia sul superficiale (ciò che vediamo in scena), sia nel profondo (ciò che i nostri occhi non vedono, l’evoluzione dei personaggi).
La prima frase è estrapolata dal dialogo avvenuto tra Howard Prime e Nadia al bar, prima che quest’ultima venisse brutalmente uccisa. Ponderata la frase con il senno di poi e valutata l’evoluzione dei due Howard, la risposta più ovvia è un sonoro no, non possiamo fuggire da ciò che siamo realmente, un misto di luci ed ombre che viene trasposto in maniera ambivalente e continuativa.
La seconda frase è tratta dal dialogo tra Emily ed Ian, quando entrambi si ritrovano ad attraversare il passaggio per arrivare dall’altra parte. Una frase profonda, concreta e valida sia filosoficamente (ogni persona si ritrova ad affrontare i propri demoni e problemi in solitudine, nonostante ciò che si pensi), sia concretamente (l’attraversamento del tunnel sembra essere possibile solo per un individuo alla volta, una regola di cui ancora non è stata data spiegazione).
E’ attorno a queste frasi che la serie ha costruito la propria prima stagione, cercando di disorientare lo spettatore con due mondi completamente diversi sotto tanti aspetti, ma così simili e vicini da rendere nulle le differenze, nonostante ogni personaggio in scena cerchi di allontanare proprio lo spettro di questa infima somiglianza. E’ insito nell’individuo fugare l’idea di essere come un qualcosa che lui definisce diverso, ma è proprio la presenza del diverso a dare adito all’esistenza del “noi”: se la nostra controparte smette di esistere e per così tanto tempo ci siamo ritrovati a definirci non per quello che siamo, ma piuttosto per ciò che non siamo (“non siamo come loro”), allora il noi che valore assume esattamente se non una parola vuota ed insignificante che non riesce minimamente a definirci?
“Thus endeth diplomacy.”
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No Man’s Land, Part One 1×09 | ND milioni – ND rating |
No Man’s Land, Part Two 1×10 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.