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“You deserve it.”
Finora questa impeccabile seconda stagione di The Handmaid’s Tale ha brillantemente portato alla luce il personaggio di Serena Joy, mostrando la donna dietro la moglie con tutte le sue paure e debolezze, fornendo il suo punto di vista e dando modo di vivere i suoi momenti di incertezza.
Oggi, invece, al centro dell’attenzione c’è suo marito, l’enigmatico Comandante Waterford. Nella scorsa stagione il personaggio di Joseph Fiennes sembrava un uomo frustato dal lavoro con la voglia di giocare a scarabeo e probabilmente di trovare un amico disposto a giocare con lui; in realtà è in questa seconda stagione che, spogliatosi dell’apparente diplomazia con cui ricopriva il ruolo di padrone, si riscopre come il vero carnefice di Gilead.
L’episodio, infatti, rappresenta la vendetta di Waterford nei confronti di chi non riconosce la sua potestà. Se inizialmente assistiamo alla ribellione di June che, sfacciata come non mai, sfida apertamente Serena e sbatte in faccia a Waterford una verità taciuta da tutti, il prosieguo dell’episodio prende una piega ben diversa. La punizione del Comandante non tarda ad arrivare e per la seconda volta in scarsi venti minuti di visone assistiamo ad uno stupro. Questa volta la scena è particolarmente disturbante, se possibile più delle altre volte. Forse perché si è consapevoli che quello che viene fatto non è per il bene del bambino – come si vuol far credere – e forse perché era qualcosa a cui si era impreparati: sembrava una tortura ormai passata per June, nessuno aveva messo in conto che si potesse ripetere dopo che i Waterford avevano ottenuto l’agognata gravidanza.
Un meccanismo malato è quello che si instaura nella mente di Waterford e che la serie riesce a mettere in piedi alla perfezione con una scena carica di odio in un sordo dialogo tra i tre protagonisti: June che odia Fred per quello che le sta facendo e soprattutto odia Serena, che lo sta permettendo. Fred, che in quello stupro scarica l’odio e la rabbia nei confronti del Canada. E poi Serena, che odia se stessa, consapevole del fatto che sta perpetrando le azioni più riprovevoli per ottenere questo figlio.
La potenza scenica si collega ai fatti della settimana precedente: in Canada Gilead è considerata la dittatura dello stupro e Waterford il suo miglior cittadino. E quasi a voler vendicarsi delle proteste dei dissidenti o quasi a voler dar ragione a chi gli urlava stupratore, e ancora quasi a voler dare una prova di virilità a June, ecco che il Comandante esercita quel potere che la sua patria gli consente. E come se l’umiliazione non fosse abbastanza, Waterford premia June: “Te lo sei meritato“; June deve ringraziare solo se stessa e nessun altro, come se fosse stata brava nel lasciarsi violentare e lo stupro consumatosi le avesse così fatto guadagnare una visita con sua figlia. Un’altra lettura ancora vedrebbe in questa concessione la dimostrazione da parte di Waterford di avere il potere di arrivare ovunque, quel potere che Offred aveva osato mettere in dubbio. Diverse sono le chiavi di lettura per le azioni del personaggio del Comandante e probabilmente una non esclude l’altra, d’altronde, se c’è una cosa che The Handmaid’s Tale sa fare bene è disegnare i protagonisti facendocene cogliere le piccole sfumature, come questo decimo episodio, che getta luci ed ombre su un character criptico e di non facile interpretazione.
L’altra disturbante verità gridata dalla serie in questo episodio deriva, appunto, dall’incontro tra June e Hannah. Questo non rappresenta la riconciliazione che la protagonista ha sempre immaginato. Ciò che infatti non ha considerato è che dall’altro lato sua figlia si è sempre domandata il perché sua madre non l’abbia mai cercata. A rendere le cose più complicate è il fatto che Hannah ha dei nuovi genitori adesso, un nuovo nome, mentre dall’altra parte June è incinta, di un bambino che sa non essere suo, ma che inevitabilmente sente così. Troppe le cose da spiegare, da dirsi, tanto che la cosa più semplice in questo momento per la tranquillità di Hannah è dirle di godersi la vita, di trovare la speranza anche in un posto oscuro come Gilead, di non rassegnarsi alle brutture del mondo e cercare un fiore nel deserto.
Oggi, invece, al centro dell’attenzione c’è suo marito, l’enigmatico Comandante Waterford. Nella scorsa stagione il personaggio di Joseph Fiennes sembrava un uomo frustato dal lavoro con la voglia di giocare a scarabeo e probabilmente di trovare un amico disposto a giocare con lui; in realtà è in questa seconda stagione che, spogliatosi dell’apparente diplomazia con cui ricopriva il ruolo di padrone, si riscopre come il vero carnefice di Gilead.
L’episodio, infatti, rappresenta la vendetta di Waterford nei confronti di chi non riconosce la sua potestà. Se inizialmente assistiamo alla ribellione di June che, sfacciata come non mai, sfida apertamente Serena e sbatte in faccia a Waterford una verità taciuta da tutti, il prosieguo dell’episodio prende una piega ben diversa. La punizione del Comandante non tarda ad arrivare e per la seconda volta in scarsi venti minuti di visone assistiamo ad uno stupro. Questa volta la scena è particolarmente disturbante, se possibile più delle altre volte. Forse perché si è consapevoli che quello che viene fatto non è per il bene del bambino – come si vuol far credere – e forse perché era qualcosa a cui si era impreparati: sembrava una tortura ormai passata per June, nessuno aveva messo in conto che si potesse ripetere dopo che i Waterford avevano ottenuto l’agognata gravidanza.
Un meccanismo malato è quello che si instaura nella mente di Waterford e che la serie riesce a mettere in piedi alla perfezione con una scena carica di odio in un sordo dialogo tra i tre protagonisti: June che odia Fred per quello che le sta facendo e soprattutto odia Serena, che lo sta permettendo. Fred, che in quello stupro scarica l’odio e la rabbia nei confronti del Canada. E poi Serena, che odia se stessa, consapevole del fatto che sta perpetrando le azioni più riprovevoli per ottenere questo figlio.
La potenza scenica si collega ai fatti della settimana precedente: in Canada Gilead è considerata la dittatura dello stupro e Waterford il suo miglior cittadino. E quasi a voler vendicarsi delle proteste dei dissidenti o quasi a voler dar ragione a chi gli urlava stupratore, e ancora quasi a voler dare una prova di virilità a June, ecco che il Comandante esercita quel potere che la sua patria gli consente. E come se l’umiliazione non fosse abbastanza, Waterford premia June: “Te lo sei meritato“; June deve ringraziare solo se stessa e nessun altro, come se fosse stata brava nel lasciarsi violentare e lo stupro consumatosi le avesse così fatto guadagnare una visita con sua figlia. Un’altra lettura ancora vedrebbe in questa concessione la dimostrazione da parte di Waterford di avere il potere di arrivare ovunque, quel potere che Offred aveva osato mettere in dubbio. Diverse sono le chiavi di lettura per le azioni del personaggio del Comandante e probabilmente una non esclude l’altra, d’altronde, se c’è una cosa che The Handmaid’s Tale sa fare bene è disegnare i protagonisti facendocene cogliere le piccole sfumature, come questo decimo episodio, che getta luci ed ombre su un character criptico e di non facile interpretazione.
L’altra disturbante verità gridata dalla serie in questo episodio deriva, appunto, dall’incontro tra June e Hannah. Questo non rappresenta la riconciliazione che la protagonista ha sempre immaginato. Ciò che infatti non ha considerato è che dall’altro lato sua figlia si è sempre domandata il perché sua madre non l’abbia mai cercata. A rendere le cose più complicate è il fatto che Hannah ha dei nuovi genitori adesso, un nuovo nome, mentre dall’altra parte June è incinta, di un bambino che sa non essere suo, ma che inevitabilmente sente così. Troppe le cose da spiegare, da dirsi, tanto che la cosa più semplice in questo momento per la tranquillità di Hannah è dirle di godersi la vita, di trovare la speranza anche in un posto oscuro come Gilead, di non rassegnarsi alle brutture del mondo e cercare un fiore nel deserto.
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The Handmaid’s Tale mette in scena il suo episodio più inquietante e disturbante, lasciando una scia di tristezza e le guance bagnate.
Smart Power 2×09 | ND milioni – ND rating |
The Last Ceremony 2×10 | ND milioni – ND rating |
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.