Game Of Thrones 8×06 – The Iron ThroneTEMPO DI LETTURA 17 min

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Game Of Thrones 8x06 - The Iron Throne“And now my watch begins.”

“…OUR BLOODY HISTORY…”


Termina qui, dopo 8 anni e 73 episodi andati in onda, il percorso narrativo di Game Of Thrones, un’opera seriale a tutto tondo che è stata in grado di entrare nella vita di milioni di persone risultando uno dei prodotti più influenti ed importanti nella storia della serialità. Si può (e si potrà) discutere a lungo sulla bontà e la genuinità di quanto andato in onda, ma bisogna fare i conti con la realtà. E questa parla chiaro e grida in faccia a tutti come le cose stanno: candidature, vittorie e riconoscimenti si sprecano e risultano impossibili da poter essere elencati. Un rapido passaggio di mouse sulla pagina di Wikipedia della serie basta per dare l’idea di cosa abbia trovato conclusione: un’opera seriale che ha reso il proprio pubblico non semplice passivo osservatore, ma attivo membro dell’opera stessa, spingendolo a creare supposizioni e teorie e coinvolgendolo ad ogni singolo episodio.
Un engagement che non può e non deve essere negato.
Per questa ottava stagione sono piovuti attacchi, petizioni ed insulti. Ma considerata l’importanza del prodotto, forse è il caso di non lasciarsi andare a facili e semplicistici attacchi; ma piuttosto di inginocchiarsi, poggiare le mani sulla spada “and say aye”.
Consapevoli di questa doverosa premessa, quindi, avviciniamoci all’analisi di questo finale di serie.

“I’m a Maester of the Citadel, bound in service to Castle Black and The Night’s Watch. I will not tell you to stay or go. You must make that choice yourself and live with it for the rest of your days. As I have.” (Aemon Targaryen)

THERE’S NOTHING IN THE WORLD MORE POWERFUL THAN A GOOD STORY


La distruzione di Approdo del Re si è da poco conclusa e si decide quindi di dare spazio in scena al personaggio che più di tutti si è adoperato per cercare di evitare la sanguinolenta conclusione che invece ha avuto luogo. Tyrion, desolato ed affranto, si aggira per le vie di una città che lui stesso più volte ha percorso. Ma il contesto era diverso: là dove urla, sorrisi e deprecabili situazioni avevano luogo, ora trovano spazio solo cenere, detriti e corpi carbonizzati. Regia e sceneggiatura calcano la mano su questo inizio puntata amplificando il silenzio della città privando i personaggi di qualsiasi tipo di dialogo: è il momento della commemorazione e della desolazione, proprio come era avvenuto in “The Last Of The Starks” dopo la battaglia contro i white walkers. Si respira a fatica nelle riprese perché ad opprimere Tyrion, Jon e Davos è una sensazione che pensavano di non dover più provare: la complicità.
È anche grazie a loro che Daenerys si è spinta fino a lì e quindi sono in parte complici inconsapevoli della brutale decisione della loro regina. Non c’è distacco a questo punto della storia ed infatti i tre si ritrovano a dover fare i conti con le loro decisioni passate e, soprattutto, iniziano a temere riguardo a ciò che sarà il futuro da lì in avanti. Il maggior rimpianto riguarda Varys, la persona che prima di tutti aveva iniziato a sollevare più che qualche semplice dubbio sulla carismatica madre dei draghi.
La scena è tutta per Tyrion a cui viene concessa anche una ripresa di riconciliazione con quello che rimane della sua famiglia: il ritrovamento dei corpi senza vita di Cersei e Jamie è tanto toccante, quanto brutale. E, forse, è la fatidica goccia che fa traboccare il vaso.
Se da una parte lo spettatore si ritrova alcune figure fortemente turbate (Jon, Tyrion, Davos e lo scomparso Varys), dall’altra deve fare i conti con altri due personaggi che dopo la morte di Missandei e Rhaegal sembrano aver perso ogni contatto con la realtà.
Verme Grigio e Daenerys gridano ed ottengono vendetta: Daenerys dall’alto della scalinata, di fronte alle sue truppe; Verme Grigio tra i vicoli inceneriti di Approdo del Re, mentre taglia la gola agli ormai ex soldati di Cersei, rei non solo di non essersi arresi prima, ma soprattutto di non aver portato avanti una rivolta contro la loro stessa regina.
La puntata si sofferma in particolar modo sull’involuzione caratteriale a cui il personaggio di Daenerys è andata incontro negli ultimi episodi e che, a suo modo, ha fatto inferocire praticamente tutti i fan della serie stessa. La candida e dolce Khaleesi non può essersi tramutata in una spietata e crudele assassina. O meglio, sono le tempistiche ad essere sbagliate: è accaduto tutto troppo velocemente.
Ma è davvero stato così?
Il dialogo che avviene, in una improvvisata cella, tra Tyrion (colpevole di aver liberato Jamie e quindi aver tradito la fiducia della regina) e Jon (il dubbio fatto persona) cerca di dare spiegazione sia a questa repentina evoluzione, sia al desiderio espresso nel suo discorso da parte di Daenerys: “[…] the war is not over. We will not lay down our spears until we have liberated all the people of the world! From Winterfell to Dorne; from Lannisport to Qarth; from the Summer Isles to the Jade Sea: women, men and children have suffered too long beneath the wheel. Will you break the wheel with me?”.
Sono questi i deliri di onnipotenza di una persona che ha perso contatto con la realtà, come già supposto?
Daenerys sembra voler giustificare (ignorando l’accaduto, fingendo non abbia mai trovato spazio nella realtà) le innocenti morti quasi fossero delle perdite necessarie. O, ancora peggio, come appunta nel breve ma intenso dialogo con Jon nella sala del trono, addossa la colpa dei cittadini innocenti morti a Cersei. Si fatica ad intravedere nell’ormai mutato personaggio di Daenerys la Mhysa che nel finale della terza stagione veniva osannata dal popolo da lei stessa liberato. Relativamente a questa evoluzione devono essere tenuti ben presente alcuni fattori che potrebbero aver accelerato questo crollo psicologico: Daenerys è sempre stato un personaggio fondamentalmente insicuro ed attorniato da abili consiglieri (chi più, chi meno) a volte fortemente in contrasto tra di loro che riusciva a coadiuvare grazie ad un carisma ed una leadership innata. Uno ad uno, questi consiglieri (nonché amici) sono iniziati a venire meno: c’è chi è morto (Jorah, Missandei), c’è chi progressivamente si è allontanato di sua spontanea volontà (Tyrion e Varys). Rimasta da sola, Daenerys si è trovata spiazzata ed incapace di razionalizzare le proprie azioni e fare i conti con la realtà.
È da aggiungersi poi il suo effettivo crollo mentale nel momento in cui intravede la Fortezza Rossa: costruita dai suoi antenati e simbolo delle molteplici angherie e privazioni a cui Daenerys è andata incontro in queste otto stagioni.
Un errore troppo grande, questa eccessiva brutalità, per una persona che ambisce al Trono di Spade.
Il dialogo tra Jon e Tyrion evidenzia, come detto, questo lato della personalità, ma fa luce su un qualcosa effettivamente sotto gli occhi di tutti da sempre: Daenerys raramente si è mostrata misericordiosa nei confronti delle persone a lei avverse.
Tyrion infatti appunta che: “When she murdered the slavers of Astapor. I’m sure no one but the slavers complained. After all, they were evil men. When she crucified hundreds of Meereenese nobles, who could argue? They were evil men.
The Dothraki khals she burned alive? They would have done worse to her. Everywhere she goes, evil men die and we cheer her for it. And she grows more powerful and more sure that she is good and right. She believes her destiny is to build a better world for everyone. If you believed that…if you truly believed it, wouldn’t you kill whoever stood between you and paradise?
A voler essere obbiettivi il dialogo potrebbe quasi sembrare un voler giustificare, da parte di Benioff&Weiss, determinate discutibili decisioni relativamente alla sceneggiatura riguardo proprio il personaggio di Daenerys, ma quanto meno c’è la volontà di concedere una motivazione al tutto. Una presa di responsabilità che spesso e volentieri in altri show viene dimenticata e tutto viene lasciato al caso o a possibili deduzioni da parte degli spettatori.
Ed è in questa traballante situazione che la morte torna a scorrere lì dove Jon Snow pensava di poter dispensare amore: è un leit motiv questo che insegue il personaggio di Harington dalla morte di Ygritte.
Il dialogo-confronto tra Jon e Daenerys è rapido, ma tramortisce lo spettatore con un pronosticabile (ma pur sempre d’effetto) finale: “love is the death of duty” ed è con il cuore ricolmo di questo amore che Jon assassina Daenerys (chissà se verrà ricordato come The Queenslayer), nel preciso istante in cui le promette eterna devozione.
La sequenza successiva è pura poesia scenica e rappresenta la conclusione non solo della serie di eventi che sono stati raccontati dai precedenti settantadue episodi, ma anche di un’era di sangue, paura e terrore a Westeros: Drogon, consapevole della dipartita della “madre”, sprigiona il suo fuoco direttamente contro il Trono di Spade che, sotto gli occhi esterrefatti di Jon (che impersonifica lo spettatore) si liquefa smettendo di esistere. Il gesto compiuto dal drago sembra quasi voler dire “se Daenerys non è riuscita a sedersi su quel Trono dopo tutta l’energia spesa, nessuno si siederà mai lì di nuovo”.
Terminata quindi l’era della distruzione, all’orizzonte appare quella della ricostruzione.

“Sometimes duty is the death of love.”

“…TO LEAD US INTO THE FUTURE…”


Il momento più importante dell’episodio, ma dell’intera serie a conti fatti, è rappresentato sicuramente dall’incoronazione del futuro re/regina. Una incoronazione che non tarda ad arrivare: le casate più importanti di Westeros (e qualche special guest) si ritrovano a dover trovare un nome per il Trono, un nome che possa mettere tutti d’accordo e rappresenti la chiusura di un ciclo (come già detto) e l’inizio di una nuova era a Westeros.
Nell’indecisione più accecante, ci pensa Tyrion a fare luce con un monologo che profuma di Emmy: “I‘ve had nothing to do but think these past few weeks. About our bloody history. About the mistakes we’ve made. What unites people? Armies? Gold? Flags? Stories.
There’s nothing in the world more powerful than a good story. Nothing can stop it. No enemy can defeat it. And who has a better story than Bran the Broken? The boy who fell from a high tower and lived. He knew he’d never walk again, so he learned to fly. He crossed beyond the Wall, a crippled boy and became the Three-Eyed Raven.
He is our memory, the keeper of all our stories. The wars, weddings, births, massacres, famines. Our triumphs, our defeats, our past. Who better to lead us into the future?
La scelta di Bran potrebbe risultare forzata o no-sense sotto determinati punti di vista, che andremo ad analizzare, ma porta insita in sé una certa coerenza narrativa che deve essere lodata: Game Of Thrones ha da sempre evidenziato il suo amore per la Storia, per l’influenza e la conoscenza della stessa. Durante le prime stagioni era normale intravedere i giovani Stark imparare non solo i motti delle singole casate, ma anche il loro passato, i loro cambiamenti e gli eventi storici più rilevanti. Chi meglio, quindi, di Bran, The Three-Eyed Raven che tutto conosce, potrebbe mai esserci per ricoprire il ruolo di Re?
Come detto, però, la scelta è comunque attaccabile.
Prima di tutto, il personaggio di Bran è tornato alla ribalta dopo essere stato assente per un’intera stagione e più e risultava non solo meno quotato, ma anche meno spendibile come figura rispetto a chi fin dall’inizio era stata avvicinato al Trono di Spade: Jon Snow.
Oltretutto il no-sense trova spazio nella sceneggiatura dal momento che pochi episodi fa Bran stesso appuntava di non essere nemmeno più Bran e di non avere interesse alcuno a ricoprire il ruolo di King In The North nonostante fosse l’ultimo Stark (maschio, chiaramente) in vita. Da questo punto di vista la scelta rimane quindi decisamente discutibile, anche se tutto potrebbe trovare giustificazione nel fatto che Bran, consapevole del suo ruolo, abbia rifiutato il titolo di KITN per ottenere quello a lui più consono. Fatica a reggersi in piedi come motivazione, considerata l’attenzione concessa al breve dialogo di Bran, Jon e Sansa quando gli era stata proposta la carica, ma questo è quello che viene concesso.
Se per uno Stark la sceneggiatura riesce a trovare la giusta collocazione, per i rimanenti membri della famiglia del Nord si fatica a trovare il giusto spazio.
Arya, dopo l’importantissimo ruolo avuto nella lotta contro i white walkers è stata progressivamente messa ai margini della storia rasentando il ruolo di personaggio-comodino: che ci fosse lei o una parte del mobilio non avrebbe fatto alcuna differenza. È ancora da trovare un senso alla decisione di farla partire, in conclusione di serie, quasi fosse un incrocio tra Jack Sparrow e Cristoforo Colombo, alla scoperta di chissà quale terra. Un personaggio che meritava tutt’altra fine, ma soprattutto che avrebbe meritato maggiore spazio.
Sansa diventa The Queen In The North, raccogliendo l’eredità lasciatale e fin qui nulla da obbiettare: il suo personaggio e l’amore per il Nord sono da sempre stati strettamente collegati ed il vederla regnare lì dove Rob e Ned prima di lei comandavano, lascia allo spettatore quella malinconia di gioie passate che riempie il cuore e rappresenta il motivo primario per il quale seguire serie tv tanto longeve ha un senso.
I dubbi rimangono circoscritti al suo deprecabile comportamento nei confronti di Bran, nominato Re da poco meno di un minuto, e dal suo desiderio di rendere Winterfell indipendente dal resto dei regni.
Per Jon, dopo l’amara conclusione della sua love story, poco è stato detto in questa recensione. Il motivo è presto detto: le scelte fatte per il suo personaggio risultano le meno convincenti e depotenziano un character che fatica ad ampliare il suo vocabolario oltre all’abusata frase “you are my queen”. Incarcerato e condannato a morte da Verme Grigio, viene graziato da Bran (che intercede con il comandante degli Immacolati) con un patto che lo stesso Tyrion così descrive: “No one is very happy. Which means it’s a good compromise, I suppose.
La grazia risparmia sì la vita di Jon, ma lo condanna a ritornare “indietro nel tempo”, lì dove tutto era cominciato per lui, per Lord Snow. Un ritorno al passato che ben presto si tramuta nell’accettazione del suo destino: insieme a Tormund ed al pugno di wildlings rimasti nel castello dei Guardiani della Notte, Jon supera la barriera per (molto probabilmente) diventare King-Beyond-The-Wall, un ruolo che si confà al personaggio.
È tra i bruti che Jon ha scoperto ad amare, ad essere veramente leale e a vivere.
È tra i bruti che Jon si è forgiato e temprato ed è quindi con loro che deve stare.
Come detto, quindi, Lord Snow accetta il proprio destino di reietto e di bastardo.
Messi da parte gli Stark, quindi, bisogna fare la conta dei personaggi sopravvissuti ad oltre settanta episodi di morte e violenza. E, bene o male, sono tutti raccolti ad Approdo del Re, membri del concilio del nuovo re: Brienne, Podrick, Bronn, Sam, Davos e Tyrion si ritrovano non solo come alleati, ma come compagni e consiglieri del Re che porterà un futuro rigoglioso nelle vite dei cittadini. Molta positività, vero, in contrasto con il sangue e la bellicosa narrazione che fin qui ha trovato spazio. Tuttavia, dopo aver sconfitto (letteralmente) la morte ed i morti, le piccole diatribe tra casata dovrebbero sembrare delle piccole schermaglie tra bambini.

“All hail Bran the Broken. First of His Name. King of the Andals and the First Men. Lord of the Six Kingdoms and Protector of the Realm.”

“A SONG OF ICE AND FIRE”


Questa ottava stagione di Game Of Thrones verrà ricordata come un ciclo narrativo maledetto da molti appassionati del prodotto di casa HBO. Eppure, nonostante una sceneggiatura spesso e volentieri raffazzonata ed uno smodato amore per i teletrasporti a favor di sceneggiatura (anche in questo episodio l’intera banda del Nord compare ad Approdo del Re dopo un salto temporale forzato), la serie ha trovato il modo di cementare il proprio ricordo nella mente degli spettatori. Personaggi iconici, episodi indimenticabili, matrimoni dannati, monologhi al cardiopalma ed una storia che, volenti o nolenti, è riuscita ad essere sempre magnetica, forte di una fotografia spesso senza eguali (che si fa perdonare anche una gestione della CGI sicuramente discutibile).
Questo finale né consacra, né maledice Game Of Thrones, ma rappresenta l’episodio in cui tutti i personaggi in scena accettano (volontariamente oppure no) il loro destino.
Daenerys era destinata a portare la libertà a Westeros e soprattutto ad Approdo del Re, eliminando Cersei. Tuttavia non spettava a lei regnare, così come non spettava a Jon, a cui invece il destino ha fatto dono dell’ingrato compito di eliminare la minaccia primaria per il benessere ed il futuro dell’intero mondo narrativo di GoT.
Dopo una distruzione così ampia e diversificata ed una ferita profonda e difficile da rimarginare, toccava ad una persona fredda, distaccata e razionale il compito di riunire i regni (e soprattutto le persone) sotto un unico stendardo: King Bran the Broken, una decisione narrativa che sicuramente farà discutere e che sarà fonte di interminabili battute, ma che come appuntato all’interno della recensione porta in essere una coerenza narrativa abbastanza rara.
Si discuterà di quello che è stato e di quello che sarebbe potuto essere, ma quanto andato in scena in “The Iron Throne” chiude dignitosamente quasi ogni cerchio narrativo.

“Long may he reign.”

“ASK ME AGAIN IN 10 YEARS”


“Quasi” e “dignitosamente” sono delle doverose aggiunte alla precedente frase. Ma forse andrebbe anche aggiunto un “per ora”.
Sì, perché mentre il pubblico veniva colpito ai fianchi dalla dipartita di Daenerys, dalle incarcerazioni di Jon e Tyrion e dall’incoronamento di Bran, Weiss e Benioff zitti zitti sono andati ad inserire una semplice frase di lynchiana memoria che cambia tutto.
Quel “ask me again in 10 years” tanto ricorda quel “I’ll see you again in 25 years” che Lynch aveva introdotto all’interno di Twin Peaks per poi utilizzarlo come rampa di lancio per un ritorno in scena del prodotto più iconico di Showtime, all’incirca proprio di 25 anni.
È risaputo che Game Of Thrones riuscirà a trovare ulteriore spazio nell’immediato futuro con un pilot prequel già ordinato. Eppure la frase scuote e fa pensare: che tra dieci anni non ci si ritrovi di nuovo tutti a Westeros per analizzare l’operato di Bran The Broken e vedere come i personaggi principali di questa storia sono venuti a patto con il loro personale destino?

“No matter what, you keep finding something to fight for.” (Joel, The Last Of Us)

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Inizio puntata con analisi di Tyrion: la camminata, la scoperta dei cadaveri di Jamie e Cersei, la totale assenza di dialoghi
  • Il sentimento di complicità in ciò che avvenuto che ricopre Davos, Jon e Tyrion
  • Fotografia e regia
  • Soundtrack
  • La scena di Daenerys con il drago alle spalle che spicca il volo
  • Jon e Daenerys: il breve ma intenso dialogo, poi la morte
  • Drogon che scioglie il Trono di Spade
  • Dialogo tra Tyrion e Jon
  • L’incoronamento di Bran
  • Jon Snow torna tra i Guardiani della Notte
  • Le riprese di Emilia Clarke mentre intravede e si avvicina al Trono: la giovane ragazza che ancora così poco sapeva del mondo e affidava la sua vita al fratello Viserys, ora è grande…
  • Ask me again in 10 years“: HBO lascia aperta la porta per un ritorno?
  • Le casate più importanti di Westeros si riuniscono ad Approdo Del Re decidendo cosa fare ed incoronando il proprio re: una pura utopia se si torna indietro con la mente anche solo un paio di stagioni fa
  • Il nuovo concilio: Brienne, Podrick, Bronn, Sam, Davos, Tyrion
  • Bran The Broken
  • Davos, il Cavaliere delle Cipolle: “I’m not sure I get a vote, but aye.”
  • Le sequenze conclusive degli archi narrativi riguardanti i membri sopravvissuti della casata degli Stark
  • Jon Snow The King-Beyond-The-Wall
  • Jon e Ghost: la tanto richiesta reunion da parte dei fan è servita
  • La sigla è stata appositamente modificata (nelle parti riguardanti Approdo del Re) rispetto a quanto accaduto nello scorso episodio
  • Arya, personaggio comodino che appare dal nulla e non fa nulla
  • L’incoronamento di Bran
  • Jon Snow torna tra i Guardiani della Notte
  • …ma a quale costo? Si è snaturata diventando ciò che lei stessa ha sempre ripudiato, odiato ed eliminato: un tiranno (“They don’t get to choose”)
  • “Ask me again in 10 years”: HBO lascia aperta la porta per un ritorno?
  • Arya in versione Jack Sparrow-Cristoforo Colombo
  • Sansa ed il suo atteggiamento nei confronti di Bran
  • Perhaps I can find him“…e poi non succede nulla: Bran sarà anche diventato Re ma continua a rimanere enigmatico fine alla fine come personaggio

 

And now our watch has ended.”

 

The Bells 8×05 12.48 milioni – 5.4 rating
The Iron Throne 8×06 13.61 milioni – 5.8 rating

 

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

6 Comments

  1. Bellissima recensione! In giro ho visto quasi solo odio verso questa puntata mentre a me è piaciuta molto.
    La pecca di questa stagione secondo me è stata solo quella di aver fatto sbroccare Daenerys troppo alla svelta, lo spiegone di Tyrion non rende giustizia alla cosa. Anche solo aggiungendo una puntata o due e diminuendone la durata lo spettatore avrebbe avuto più tempo per “abituarsi” alla Mad-Queen e Daenerys per dimostrare la sua pazzia.

  2. Ottima recensione davvero, è sempre bello passare su Recenserie dopo una puntata

  3. Grazie mille Gabriel! Fa sempre piacere questo tipo di complimenti!

  4. Grazie mille, Giulia! Il voto concesso a fine puntata sicuramente è a maglie abbastanza larghe, inteso che sarebbe potuto essere più basso. Tuttavia, in fase di chiusura di una serie, va considerato anche tutto il percorso. Sotto certi aspetti questa puntata ha portato in scena le consuete problematiche che hanno indebolito la narrazione di GoT da diverse stagioni a questa parte. Sotto altri aspetti, invece, ha mantenuto un’ottima coerenza narrativa (vedasi Bran).
    E sì, maggiore spazio e tempo avrebbero reso l’involuzione di Daenerys meno amara e più facile da digerire.

  5. Io onestamente sono rimasto molto deluso: l’involuzione di Daenerys non mi torna (gestita meglio sarebbe stata plausibile), ma così, da un giorno all’altro, stride con le precedenti stagioni. Già dalla settima è iniziato un declino (le “strategie” di Tyrion, gli spostamenti fulminei, ecc.) che comunque sono stati niente in confronto a questa stagione. Tanto per citare i più clamorosi, i Dothraki e Unsullied che erano morti praticamente tutti nella battaglia di Winterfell ora sono più di prima, che manco gesù con la moltiplicazione di pani e pesci otteneva questi miracoli. Verme Grigio che accetta la decisione del nuovo re eletto non ha senso, per non parlare dei Dothraki dei quali non si sa che fine fanno (e non prendono di certo ordini da Verme Grigio, quindi non dovrebbero accettare manco per sbaglio la liberazione di Jon e Tyrion). Jaime che nella scorsa stagione molla Cersei per salvare gli innocenti adesso dice che non gliene è mai interessato, tre navi in croce centrano perfettamente Rhaegal mentre poi la flotta intera sommata agli scorpioni sulle mura non riesce nemmeno a sfiorare Drogon, Arya nello scorso episodio tra fiamme e macerie sopravvive non si sa come e così via…
    Deluso e amareggiato mi sembrano gli aggettivi più adatti.

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