Diane: “This one is a larger issue. One that speaks to the heart of our country. Every vote counts, and therefore, every vote must be counted. If the people cannot trust that their votes will be counted, how can they trust the rights that flow from those votes? If our votes are subverted or discarded or even ignored, why have faith in our democratic institutions? Why respect a president… any president… even one from our own party? Why not choose violent overthrow if our votes are not counted? This is about a constitutional right, but it is not a secondary one, it is the primary one, it is about who we are.“
Era difficile immaginare – dopo il bellissimo “The One With The Celebrity Divorce” che mischiava sul filo del rasoio finzione narrativa, satira e realtà arrivando a mettere in scena un ipotetico divorzio tra Flotus e Potus – che The Good Fight rinunciasse ad alzare ulteriormente la posta in gioco, senza proseguire in un climax ascendente. I coniugi King, infatti, non perdono l’occasione e fanno di questo settimo episodio un punto di raccordo di gran parte delle storyline finora aperte. In particolare, ad entrare in rotta di collisione nella figura sempre più protagonista di Diane sono le imprese sotterranee del rivoluzionario club del libro e il lavoro allo studio, quando questo riceve la possibilità di rappresentare una class action volta a denunciare l’utilizzo nel 2016 di macchine elettorali truccate nelle zone a maggioranza afroamericana, per indirizzare più voti possibile verso il partito repubblicano.
Una delle critiche che più spesso viene rivolta ai creatori di TGF è di essere diventati eccessivamente politicizzati con questo spin-off e che, anzi, bisognerebbe ritornare ai gloriosi fasti legali di The Good Wife. Anche tralasciando il clima totalmente diverso – la serie madre venne trasmessa per tutte e sette le sue stagioni sotto la presidenza Obama – per chi ha avuto modo di osservare la naturale progressione che i King hanno dato al loro lavoro (The Good Wife prima, l’importantissimo ai fini di questo discorso BrainDead, per poi arrivare ai giorni della “buona battaglia”) è piuttosto facile riconoscergli una certa equidistanza morale, così come nemmeno un’evidente simpatia per le battaglie del fronte democratico li ha tenuti lontani dallo scagliarsi, in più occasioni e con la stessa satira surreale, contro la parte più progressista del paese. Rimane così, invece, di sferzante attualità quell’insolito titolo con cui si presentò al pubblico BrainDead nell’estate del 2016: “The Insanity Principle – How Extremism Is Threatening Democracy In The 21st Century”.
Alla fin fine, quello stesso estremismo bipartisan che tre anni fa minacciava la democrazia è oggi quello che definitivamente la sovverte (to topple), nonostante si tenti in extremis una sentita e partecipata difesa da parte di Diane in una delle scene finora più convincenti di questa terza stagione (“Let me take the argument, you don’t believe in it anymore.” – “I’m a lawyer, I don’t have to.“) con la quale abbiamo aperto la recensione. A sorprendere sul finale è che è proprio il personaggio che più è stato caricato di una ferma fiducia nell’istituzione democratica basata sul reciproco rispetto e sulla decenza (non una delle tante figure “alla Trump” di cui Chicago sembra essere piena), ad arrivare fino all’estremità opposta della barricata, decisa a dare battaglia qualsiasi sia il prezzo da pagare. Un salto evolutivo di Diane, ferita sul piano politico (e quindi pubblico), che riporta alla memoria un altro momento fondamentale e praticamente speculare della Diane ferita nel privato. Con l’unica grande differenza che, se dello schiaffo ad Alicia Florrick non abbiamo avuto modo di vedere in prima persona le conseguenze, The Good Fight ha ancora davanti a sé gli episodi finali della stagione che si preannunciano ancora più infiammati di quanto già non fossero nelle precedenti.
“That’s why I don’t like TV. ‘Cause it’s a lie.”
“Yeah, but what isn’t a lie these days, though? Politics, art, science. Everything is TV.”
“And that’s a good thing?”
“No, it’s an important thing to know.“
In un episodio in cui la tensione etica è così palpabile, è inevitabile che le restanti storyline passino in secondo piano, anche se è comunque da apprezzare come si stia cercando anche tra le diramazioni secondarie (l’ormai conosciuto Roland Blum e il caso #metoo della premiere di stagione, ad esempio) di racchiuderle in un’unica direzione, a riprova del grande talento dei King nel seminare dettagli e plot twist anche all’interno della scrittura verticale degli episodi. Convince di meno l’improvvisa liaison amorosa tra Lucca e il Gary Carr di Downtown Abbey e The Deuce, qui nei panni di se stesso. Non se ne sentiva in tutta onestà il bisogno, ma se è necessaria per poter mettere in scena una variazione sul tema dei corti animati, così come inserire dei momenti tutto sommato riusciti di meta-narrazione televisiva, allora forse è possibile chiudere un occhio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The One With The Celebrity Divorce 3×06 | ND milioni – ND rating |
The One Where Diane And Liz Topple Democracy 3×07 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.