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Quando una serie di punta esce tutta insieme, bisogna stare molto attenti nell’andare in giro per i social, onde evitare spoiler. Ciò che colpisce di Stranger Things è l’effettiva assenza di spoiler (almeno all’attenzione, generalmente assai scarsa, dello scrivente) dopo una rapida scrollata a Twitter o Facebook. Ciò può essere dovuto al fatto che effettivamente lo spoiler sta diventando sempre più ottavo vizio capitale ma, pur osservando meme o post umoristici su Stranger Things, ciò che emerge è “il percorso” e non “la destinazione”.
Il marchio creato dai Duffer Brothers ha fatto sì che, giunti alla terza stagione, nell’immaginario del pubblico debbano definitivamente rimanere in testa piccoli vezzi, esasperazione di macchiette, interazioni improbabili e, mai come in questa stagione, love story a non finire. Ecco che, a settimo episodio ancora non visto, ciò che più spopola nel web sono immagini e situazioni tratte dai momenti più “leggeri” di questa terza stagione dello show, invece che da elementi determinanti la trama. Come se effettivamente la prima cosa è quella che importa realmente.
Una serie basata sugli stereotipi. E’ questa la ragione d’essere di Stranger Things e non accettare ciò, cercando una trama significativa, vuol dire aver sbagliato serie. Detto questo, è innegabile che questo penultimo episodio prepari il terreno per l’ultimo, proprio con un continuo avvicendarsi di, appunto, stereotipi. Le continue contrapposizioni tra l’ambiente festoso di un luna park e sanguinari inseguimenti con malvagi russi, oppure bambini cacciati da un mostro, rappresentano senz’altro il trionfo del divertissement rappresentato da Stranger Things. Da un lato ciò va accettato, dall’altro è indubbio come ora tutte le aspettative per una degna conclusione della storia qui narrata andranno riposte nel finale di stagione. Si può anche tranquillamente dire che la sostanza della storia narrata (almeno dal punto di vista thriller/horror) non è che sia troppo differente da quanto visto nelle precedenti stagioni.
Le evoluzioni effettive, che piaccia o no, sono state quelle, come detto, più leggere ma rischiose nella messa in scena. Se lo sfogo di Murray, nel dire a Hopper e Joyce che la loro sintonia è evidente, tende un po’ a “buttarla in caciara” con momenti al limite del demenziale, come spesso accaduto durante questa stagione, diverso è il discorso tra Steve e Robin. L’intero dialogo è portato avanti con una certa delicatezza utile ad evidenziare ulteriormente l’evoluzione dell’ex prom king. Il “colpo di scena” dell’omosessualità di Robin, più che caratterizzare ulteriormente il personaggio (la serie sarà pure ambientata indietro nel tempo, ma nel 2019 non è certo la preferenza sessuale a dover caratterizzare un personaggio di finzione), è utile proprio a sottolineare l’evoluzione di cui sopra, grazie ad una reazione piena di affetto e alla consacrazione di quello che è comunque un legame che si è venuto a creare.
Tornando a quanto il contorno sia stato più determinante della portata principale nel determinare il successo di Stranger Things, è indubbio che si sia fatto un ragionamento in tal senso su Dustin, figura che più che mai rappresenta il volto del trionfo dello show. Separarlo dal gruppo di amici, nei precedenti episodi, poteva sembrare in apparenza una mossa destrutturante per lo schema impostato nelle precedenti due stagioni. I Duffer hanno però puntato su un cavallo differente. Separare Dustin dagli amici ha prodotto un triplice effetto: intanto è stato creato un vero e proprio spin-off interno alla serie, in cui un co-protagonista di successo è divenuto protagonista; lo si è fatto interagire per più tempo con figure che, a loro volta, avevano avuto successo in passato (Steve e la sorellina di Lucas); si è creato il giusto hype per la “reunion” con gli altri.
Postilla finale per la morte ben riuscita di Alexei. L’intera sequenza contiene una carica emotiva altamente efficace, soprattutto perché l’operazione “simpatia” che era stata messa in atto di botto sul personaggio non aveva fatto altro che aggiungere una macchietta.
Il marchio creato dai Duffer Brothers ha fatto sì che, giunti alla terza stagione, nell’immaginario del pubblico debbano definitivamente rimanere in testa piccoli vezzi, esasperazione di macchiette, interazioni improbabili e, mai come in questa stagione, love story a non finire. Ecco che, a settimo episodio ancora non visto, ciò che più spopola nel web sono immagini e situazioni tratte dai momenti più “leggeri” di questa terza stagione dello show, invece che da elementi determinanti la trama. Come se effettivamente la prima cosa è quella che importa realmente.
Una serie basata sugli stereotipi. E’ questa la ragione d’essere di Stranger Things e non accettare ciò, cercando una trama significativa, vuol dire aver sbagliato serie. Detto questo, è innegabile che questo penultimo episodio prepari il terreno per l’ultimo, proprio con un continuo avvicendarsi di, appunto, stereotipi. Le continue contrapposizioni tra l’ambiente festoso di un luna park e sanguinari inseguimenti con malvagi russi, oppure bambini cacciati da un mostro, rappresentano senz’altro il trionfo del divertissement rappresentato da Stranger Things. Da un lato ciò va accettato, dall’altro è indubbio come ora tutte le aspettative per una degna conclusione della storia qui narrata andranno riposte nel finale di stagione. Si può anche tranquillamente dire che la sostanza della storia narrata (almeno dal punto di vista thriller/horror) non è che sia troppo differente da quanto visto nelle precedenti stagioni.
Le evoluzioni effettive, che piaccia o no, sono state quelle, come detto, più leggere ma rischiose nella messa in scena. Se lo sfogo di Murray, nel dire a Hopper e Joyce che la loro sintonia è evidente, tende un po’ a “buttarla in caciara” con momenti al limite del demenziale, come spesso accaduto durante questa stagione, diverso è il discorso tra Steve e Robin. L’intero dialogo è portato avanti con una certa delicatezza utile ad evidenziare ulteriormente l’evoluzione dell’ex prom king. Il “colpo di scena” dell’omosessualità di Robin, più che caratterizzare ulteriormente il personaggio (la serie sarà pure ambientata indietro nel tempo, ma nel 2019 non è certo la preferenza sessuale a dover caratterizzare un personaggio di finzione), è utile proprio a sottolineare l’evoluzione di cui sopra, grazie ad una reazione piena di affetto e alla consacrazione di quello che è comunque un legame che si è venuto a creare.
Tornando a quanto il contorno sia stato più determinante della portata principale nel determinare il successo di Stranger Things, è indubbio che si sia fatto un ragionamento in tal senso su Dustin, figura che più che mai rappresenta il volto del trionfo dello show. Separarlo dal gruppo di amici, nei precedenti episodi, poteva sembrare in apparenza una mossa destrutturante per lo schema impostato nelle precedenti due stagioni. I Duffer hanno però puntato su un cavallo differente. Separare Dustin dagli amici ha prodotto un triplice effetto: intanto è stato creato un vero e proprio spin-off interno alla serie, in cui un co-protagonista di successo è divenuto protagonista; lo si è fatto interagire per più tempo con figure che, a loro volta, avevano avuto successo in passato (Steve e la sorellina di Lucas); si è creato il giusto hype per la “reunion” con gli altri.
Postilla finale per la morte ben riuscita di Alexei. L’intera sequenza contiene una carica emotiva altamente efficace, soprattutto perché l’operazione “simpatia” che era stata messa in atto di botto sul personaggio non aveva fatto altro che aggiungere una macchietta.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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L’episodio, così come la serie in generale, si fa guardare. La claustrofobia e il vorticoso senso di pericolo farebbero protendere verso una valutazione ben più alta di quella sottostante. La sola sufficienza è dovuta al fatto che ancora tutto è da decidere nel finale di stagione e questo episodio, di fatto, non ha aggiunto granché alle caratteristiche individuate nei precedenti sei.
Chapter Six: E Pluribus Unum 3×06 | ND milioni – ND rating |
Chapter Seven: The Bite 3×07 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.
Davvero come thumbs down il fatto che eleven sanguini dalla stessa narice? ma dai.
E sto a scherzà
Forse Eleven sanguina sempre dalla stessa narice perché il suo potere è situato nell’emisfero cerebrale collegato a tali vene.
E dai, era per scrivere na scemenza
Stagione, a mio avviso, ben al di sotto delle altre. Concordo con le recensioni ma inserire l’omosessualità di un nuovo personaggio è ulteriore caduta della serie, ennesima dimostrazione della politically correct ad ogni costo made in USA.
Basta, non se ne può più…
Spero proprio che non continuino per 10 stagioni tentando di sfruttare economicamente il successo ottenuto, stile the walking dead…
Forse sarebbe meglio chiuderla qui…
Sinceramente quando vedo una campagna promozionale di tale intensita’, inizio a storcere il naso…
Sono parecchio deluso…