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Una solida sceneggiatura ha fino ad oggi consolidato la visione che il pubblico aveva portato avanti per quanto riguarda Castle Rock. Ad una prima stagione abbastanza regolare, seppur non epocale, è seguita una seconda altrettanto buona, condita da qualche ottimo spunto e da alcune chicca regalata agli appassionati del genere e dell’autore.
“The World” in questi termini è stato probabilmente il miglior episodio dell’intera stagione, un successo su tutta la linea, straordinario in diversi frangenti e soprattutto d’aiuto all’episodio successivo, quello in questione, in cui le vicende dei personaggi stanno prendendo una strada ben definita.
Al contrario di quanto visto nello scorso episodio però, “Dirty” si presenta sotto una luce ben diversa grazie alla quale gli abitanti delle due città, Salem e Castle Rock, assumono una nuova connotazione: ogni persona infatti, in questa particolare occasione, cammina volontariamente, non soggetta all’assunzione di psicofarmaci, verso quel suono che, come si è visto spesso all’interno di questa stagione, si appresta a rivelare l’ennesimo segreto della prima. Il flusso delle persone che camminano in maniera compatta attraverso le strade, sembra quasi una naturale prosecuzione della narrativa messa in atto, tesa a portare la serie ad una naturale conclusione.
L’impatto della scena è simile a quella che si può provare guardando una delle primissime puntate di The Walking Dead, o comunque degli scenari apocalittici simili a quelli dello show AMC. Similitudini che accrescono in maniera positiva con la sensazione di invasione subita dalla città, ma anche in maniera fortemente negativa nel momento in cui si vede la mortificazione di alcuni personaggi secondari, trasformati presto in caratteri privi di anima e potenziale all’interno della trama, come è il caso ad esempio di Aaron e Alison, e di Chris prima di loro.
Uno dei pochissimi problemi dello show quest’anno è stata proprio l’impossibilità di sviluppare al meglio i protagonisti, ereditato a dire il vero già da una seconda parte della prima stagione poco brillante. Alcuni protagonisti in questa occasione non hanno nemmeno la possibilità di essere trattati come vittime sacrificali e sembra strano, a tal proposito, che gli scrittori non siano riusciti a organizzare meglio questi elementi; questo specialmente se si considera come è stato gestito il ritorno della madre di Annie, presente per tentare sua figlia, per vedere successivamente il tutto trasformato in uno scenario semi-apocalittico in cui le due città si uniscono formando un fiume di persone che cammina verso un eco ben conosciuto dalla donna.
Ed è proprio Annie a capire al meglio le potenzialità di questo fiume di persone che si sposta, la forza di qualcosa che ti trascina senza la possibilità di appello. C’è già stato modo di parlare delle sue pericolose dipendenze in queste pagine, ma questo momento ritaglia perfettamente la sua situazione psicologica, precaria a dir poco: palese è infatti la sua difficoltà a resistere a degli impulsi ormai manifesti come la difficoltà di non mettere le mani alla gola della figlia e quella di non assecondare la voce della madre che le intima di trovare ed uccidere Joy.
Il ruolo di quest’ultima è ovviamente fondamentale nel far desistere Annie. Per il momento il fiume che scorre nella sua testa, al contrario di quello che percorre le strade della città, viene arginato con successo. Significativo, a tratti simbolico, come sia proprio Joy e non Annie a guidare la marea di stranieri che si riversa sulle strade della città, la stessa ragazza che abbiamo conosciuto per essere in pericolo, a tratti in schiavitù, che si assume il fardello di guidare la marcia inesorabile diretta verso il ponte Pangborn.
“The World” in questi termini è stato probabilmente il miglior episodio dell’intera stagione, un successo su tutta la linea, straordinario in diversi frangenti e soprattutto d’aiuto all’episodio successivo, quello in questione, in cui le vicende dei personaggi stanno prendendo una strada ben definita.
Al contrario di quanto visto nello scorso episodio però, “Dirty” si presenta sotto una luce ben diversa grazie alla quale gli abitanti delle due città, Salem e Castle Rock, assumono una nuova connotazione: ogni persona infatti, in questa particolare occasione, cammina volontariamente, non soggetta all’assunzione di psicofarmaci, verso quel suono che, come si è visto spesso all’interno di questa stagione, si appresta a rivelare l’ennesimo segreto della prima. Il flusso delle persone che camminano in maniera compatta attraverso le strade, sembra quasi una naturale prosecuzione della narrativa messa in atto, tesa a portare la serie ad una naturale conclusione.
L’impatto della scena è simile a quella che si può provare guardando una delle primissime puntate di The Walking Dead, o comunque degli scenari apocalittici simili a quelli dello show AMC. Similitudini che accrescono in maniera positiva con la sensazione di invasione subita dalla città, ma anche in maniera fortemente negativa nel momento in cui si vede la mortificazione di alcuni personaggi secondari, trasformati presto in caratteri privi di anima e potenziale all’interno della trama, come è il caso ad esempio di Aaron e Alison, e di Chris prima di loro.
Uno dei pochissimi problemi dello show quest’anno è stata proprio l’impossibilità di sviluppare al meglio i protagonisti, ereditato a dire il vero già da una seconda parte della prima stagione poco brillante. Alcuni protagonisti in questa occasione non hanno nemmeno la possibilità di essere trattati come vittime sacrificali e sembra strano, a tal proposito, che gli scrittori non siano riusciti a organizzare meglio questi elementi; questo specialmente se si considera come è stato gestito il ritorno della madre di Annie, presente per tentare sua figlia, per vedere successivamente il tutto trasformato in uno scenario semi-apocalittico in cui le due città si uniscono formando un fiume di persone che cammina verso un eco ben conosciuto dalla donna.
Ed è proprio Annie a capire al meglio le potenzialità di questo fiume di persone che si sposta, la forza di qualcosa che ti trascina senza la possibilità di appello. C’è già stato modo di parlare delle sue pericolose dipendenze in queste pagine, ma questo momento ritaglia perfettamente la sua situazione psicologica, precaria a dir poco: palese è infatti la sua difficoltà a resistere a degli impulsi ormai manifesti come la difficoltà di non mettere le mani alla gola della figlia e quella di non assecondare la voce della madre che le intima di trovare ed uccidere Joy.
Il ruolo di quest’ultima è ovviamente fondamentale nel far desistere Annie. Per il momento il fiume che scorre nella sua testa, al contrario di quello che percorre le strade della città, viene arginato con successo. Significativo, a tratti simbolico, come sia proprio Joy e non Annie a guidare la marea di stranieri che si riversa sulle strade della città, la stessa ragazza che abbiamo conosciuto per essere in pericolo, a tratti in schiavitù, che si assume il fardello di guidare la marcia inesorabile diretta verso il ponte Pangborn.
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Altro episodio molto solido per Castle Rock in questa seconda stagione, altra tornata piena di significati e difficoltà, riferimenti alla prima stagione e soprattutto un setup perfetto in vista degli ultimi episodi. Le problematiche di Annie e della figlia sembrano aver raggiunto un punto di non ritorno e con il fiume di persone che si muove e quello nella testa di Annie che sembra difficile da arginare, almeno i pezzi principali sono stati disposti alla perfezione dal team di sceneggiatori.
The Mother – The World 2×06 – 2×07 | ND milioni – ND rating |
Dirty 2×08 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.