Sweet Tooth chiude il suo primo arco stagionale e lo fa con un episodio molto emozionante, come al solito corale nonostante il titolo da puntata monografica, e che naturalmente rappresenta l’occasione per porre delle basi interessanti per un’eventuale seconda stagione, non ancora annunciata.
Il tema della stigmatizzazione del diverso ha rappresentato, nel corso della stagione, il fulcro dell’intera narrazione. L’assonanza con l’attuale situazione mondiale porta poi ad un grado ancor superiore di identificazione con le vicende, soprattutto nelle sequenze riguardanti il Great Crumble (Grande Crollo) tra isteria di massa causata dal virus e terrore diffuso per la nascita degli Ibridi. Il risultato finale è un season finale che punta molto su immedesimazione ed impatto emotivo, ma che riesce comunque a non essere troppo stucchevole, regalando allo spettatore tanta azione, colpi di scena e un bel cliffhanger (sebbene abbastanza telefonato) in grado di generare molta hype in vista di una molto probabile seconda stagione.
THEY DON’T MAKE THEM BIGGER THAN ME
“Baby, this is the real world. You can’t fix everything by knocking heads.“
Da un episodio intitolato “Big Man” ci si poteva aspettare un approfondimento del personaggio interpretato da Nonso Anozie, e infatti così è stato: sebbene il passato da Last Man sia ancora avvolto nel mistero, finalmente la figura di Tommy Jepperd acquista una sfumatura ulteriore, questa volta relativa alla sparizione della moglie e del figlio Ibrido di poco precedente al Grande Crollo.
Appaiono quindi chiare, giunti a questo punto, le ragioni alla base del suo interessamento per Gus. Il senso di colpa per il momentaneo abbandono di moglie e figlio in seguito alla scoperta della natura di quest’ultimo, e soprattutto la vergogna per non essere stato in grado di impedire la loro cattura, hanno accompagnato Tommy per molto tempo, e l’ingenuo Sweet Tooth è così diventato la sua personale battaglia per ottenere la redenzione. L’iniziale impegno preso nei confronti di se stesso è però mutato nel tempo, esattamente come il virus che gli ha tolto tutto, diventando un affetto genuino nei confronti di un bambino, e non più di un Ibrido, bisognoso di aiuto.
Naturalmente, le cose cominciano ad andare fin troppo bene e, nel bel mezzo della classica scenetta padre-figlio (adottivo), ecco arrivare la doccia fredda per Gus – e spettatore – con l’arrivo delle truppe del Generale Abbot, confermatosi villain di tutto rispetto, scritto bene ed interpretato meglio. I due vengono quindi separati e, proprio quando le loro trame sembrano prendere direzioni diverse, ecco che invece convergono grazie all’incontro con Aimee, un incontro destinato ad intrecciare i loro destini verso la riconquista di Gus e Wendy, due Ibridi in grado di parlare e sicuramente destinati a ricoprire un ruolo molto importante in questa rinascita del pianeta Terra.
THE END OF THE WORLD HAS A FUNNY WAY OF MAKING CONNECTIONS
“The thing that should have brought us together only pulled us further apart. We felt scared. We felt alone.“
L’inferno personale vissuto da Tommy ed Aimee si affianca come sempre alle vicende governative che coinvolgono Abbot, il dottor Shing e la moglie Ravi. Costretto infine a fare esperimenti, sezionando Ibridi alla ricerca di indizi per sintetizzare una cura, il medico trova in Gus una sorta di segnale divino, una chance per salvare se stesso dal baratro e sua moglie dalle grinfie di Abbot. Mascherato da semplice gesto scaramantico, il cambio in extremis con un altro Ibrido nasconde però un interesse chiaramente più viscerale, dettato sì dalla speranza di trovare finalmente una cura e salvare così Ravi, ma anche dalla consapevolezza di trovarsi di fronte ad un bambino spaventato e confuso. La scelta purtroppo ricadrà su un altro bambino altrettanto spaventato e confuso, l’ennesima vittima di una guerra immotivata e dettata solo ed unicamente dal desiderio di nascondere la spazzatura sotto al tappeto, nella speranza di sviare l’attenzione dalla vera ragione dietro a questo sterminio di massa: la paura di fronte a ciò che non riconosciamo come familiare.
In tal senso, la figura di Abbot è esemplificativa. Il Generale rivela infatti di volere una cura per poter così decidere chi salvare e chi lasciare a morire: un perfetto dittatore post-apocalittico alle prese con il più classico degli stermini razziali, in questo caso diretto a coloro che secondo lui (e molti altri) sarebbero la causa della rovina della razza umana. Ignorando (deliberatamente) la realtà dei fatti, ovvero che l’unico vero nemico della razza umana è la razza umana stessa.
IT’S HUG TIME!
In una scena che già rappresenta un simbolo per la serie, l’abbraccio collettivo tra tutti gli Ibridi imprigionati da Abbot chiude questa prima stagione nel segno della speranza. La speranza di Tommy ed Aimee di ritrovare Gus e Wendy, la speranza del dottor Singh di avere tra le mani la chiave per la salvezza di Ravi, la speranza di Bear di ritrovare sua sorella, rivelatasi la stessa Wendy, ma soprattutto la speranza del piccolo Gus di poter essere considerato un bambino come gli altri, e di essere accettato per ciò che è.
Una sequenza che in parte ricorda l’iconico abbraccio collettivo tra i protagonisti di Stranger Things, in un momento di pace ed armonia che per un breve attimo riesce a riportare il sorriso sul volto del povero Gus. Un sorriso che precede l’ennesimo colpo di scena, questa volta riguardante il primo contatto con la madre Birdie, personaggio che sicuramente ricoprirà un ruolo fondamentale nell’eventualità la serie ottenga il rinnovo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un finale di stagione senza dubbio molto positivo, che crea la giusta hype in vista di un’ipotetica seconda stagione. In quanto alla serie nel suo complesso, certamente si tratta di un ottimo prodotto, caratterizzato da un comparto tecnico di tutto rispetto e da performance recitative decisamente convincenti, ma forse fin troppo simile – eccezion fatta per la questione Ibridi – a decine di altri prodotti coevi rilasciati negli ultimi anni. In altre parole, un prodotto televisivo di qualità, ma che molto probabilmente in futuro finirà col perdersi nel marasma di serie televisive post-apocalittiche che vanno tanto di moda negli ultimi tempi.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.