Sono passati già dieci anni dalla primissima messa in onda di American Horror Story: Murder House, prima stagione di una delle serie che, a prescindere dal gusto personale, ha cambiato radicalmente la concezione del genere horror nella serialità televisiva contemporanea.
Nel corso degli anni, la serie ha saputo giocare sulla sua natura antologica in maniera magistrale, regalando allo spettatore scenari sempre diversi e impeccabilmente orrorifici, impreziositi tra l’altro dalle grandi interpretazioni del suo cast di recurring actors – elemento che sicuramente ha contribuito al successo della serie e di alcuni dei suoi interpreti storici.
D’altro canto, dal punto di vista del mero storytelling, la serie ha dimostrato negli anni di avere qualche piccolo problema, soprattutto in fase di chiusura stagionale. Nonostante nel corso delle prime sette stagioni la serie abbia collezionato ben 16 Emmy e 2 Golden Globe, un numero di award sufficiente a zittire qualsivoglia critica nei confronti dello show, appare pressoché evidente ci sia un grosso problema di scrittura che si presenta puntualmente nel momento in cui ci si avvicina alla fine dell’arco narrativo di stagione. Ed è proprio per questo motivo che, nonostante l’inizio incoraggiante di questo Double Feature – diviso in due parti: Red Tide e Death Valley – si è deciso di andare con i piedi di piombo, tenendo la guardia alta e preparandosi ad ogni possibile caduta di stile che, per esperienza, potrebbe giungere inaspettata in qualsiasi momento della stagione.
SHINING ON ADDERALL
Una delle particolarità che ha reso American Horror Story il successo televisivo che è oggi, è stata sicuramente la sua capacità di rivisitare in chiave contemporanea i cliché di genere horror, adattandoli al contesto socio-culturale dell’anno di trasmissione, talvolta con un occhio di riguardo anche a quello socio-politico, come accadde ad esempio in AHS: Cult.
Questo AHS: Double Feature non fa eccezione, presentando allo spettatore una sorta di Shining on Adderall con protagonisti uno screenwriter in cerca di successo – quindi alla ricerca di un contratto con Netflix – e una Instagrammer (in erba) alle prese con una casa da ridecorare. Il tutto impreziosito da una figlia perfezionista con il sogno di diventare primo violino della filarmonica di New York, interpretata dalla bravissima Ryan Kiera Armstrong, che in più di un’occasione riesce quasi a rubare la scena ai suoi colleghi ben più navigati.
Questo decimo arco narrativo decide inoltre di entrare immediatamente nel vivo, saltando a piè pari la consueta quiete prima della tempesta, catapultando lo spettatore all’interno dell’orrore senza troppi fronzoli o inutili preamboli. Una scelta senza dubbio vincente e che contribuisce ad aumentare la sensazione di spaesamento causata dall’arrivo dell’uomo in trench, del tutto improvviso e percepito quasi come assurdo grazie all’inseguimento di madre e figlia avvenuto in pieno giorno davanti agli occhi di tutti – o meglio, davanti agli occhi di nessuno in una città per l’occasione convenientemente deserta.
L’arrivo di Sarah Paulson, Evan Peters e Frances Conroy, ma soprattutto della new entry Macaulauy Culkin, completa poi l’atmosfera “tipica” di AHS, contraddistinta dal peculiare stile di Murphy e Falchuk fatto di battute a sfondo sessuale buttate qua e là a casaccio (“Frottage? / It’s French for rubbing our dicks together.” o anche “The kind of Vitamin D I like doesn’t come from the sun.”) e brevi parentesi musicali atte a creare, per contrasto, un’atmosfera ancor più disturbante e grottesca. A chiudere questo quadro introduttivo giunge quindi la rivelazione circa l’effetto provocato dalle misteriose pillole nere, in grado di conferire un boost al talento posseduto da colui che le consuma, qualunque esso sia, trasformandolo però in una bestia assetata di sangue al pari di un vampiro (ma senza i consueti effetti collaterali associati al gene vampiresco). Un’idea effettivamente originale – anche se in pratica si tratta di una rivisitazione di Limitless in chiave horror – e che per forza di cose necessiterà di ulteriori approfondimenti nei prossimi episodi per non scadere nella più classica delle “boiate colossali”.
WANNA COOK?
“See, if you take the pill and you don’t have a creative seed in your brain already the pill destroys you. It turns you into a flesh phantom. Always thirsty, never satisfied or employed.“
Alla seconda parte di questa premiere viene affidato il compito di portare un po’ di chiarezza nel marasma narrativo messo in scena in “Cape Fear”, rivelando appunto i vantaggi procurati dalle pillole nere e spiegando gli “effetti collaterali” che queste hanno sulle persone prive di talento. Quella che inizialmente sembrava essere una droga in grado di renderti un irritabile padre di famiglia che odia i sandwich al tacchino, si scopre essere in realtà una nuova variante di metanfetamina scoperta per caso da qualche misterioso cuoco in cerca di novità. Incipit che, come detto poco sopra, necessiterà di ulteriori approfondimenti per uscire dall’attuale classificazione di “grossolano stratagemma narrativo“, utilizzato soltanto per poter riciclare il tema vampiresco, già utilizzato in AHS: Hotel, rinnovandolo quel tanto che basta per non risultare troppo pigri.
A prescindere da quanto avverrà nelle prossime settimane, comunque, questa doppia premiere fa il suo dovere, regalando allo spettatore tutto ciò che un amante dell’horror potrebbe aspettarsi da un prodotto come AHS: la giusta quantità di splatter, una storia (almeno apparentemente) non banale, momenti musicali randomici, battute a sfondo sessuale e, ultimo ma non per importanza, Macaulauy Culkin in versione uomo di facili costumi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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American Horror Story riparte con la sua decima stagione sfoggiando una doppia premiere che – come al solito – sorprende positivamente grazie ad un cast oramai collaudato, una regia intrigante e una colonna sonora sempre azzeccata. E’ ancora presto per pronunciarsi in merito alla narrazione, per questo occorrerà attendere qualche puntata, ma per il momento non c’è ragione per negare alla serie un bel Thank Them All.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.