“Welcome to the Hotel California
Such a lovely place
Such a lovely face
Plenty of room at the Hotel California
Any time of year you can find it here.”
Ci sono le serie tv e poi c’è American Horror Story. È un dato di fatto che il prodotto ideato da Ryan Murphy, con evidenti pregi e difetti, abbia dato inizio con Murder House a qualcosa di atipico, diverso e destinato a far parlare di sè: l’hype che è in grado di creare nei mesi precedenti al nuovo capitolo della sua serie antologica è altissimo, sempre scandito da teaser trailer perfetti ed inquietanti e dagli annunci delle new entry del cast, praticamente icone della cultura pop americana. È quindi naturale il passaggio di American Horror Story da serie televisiva a fenomeno di culto ma questa quinta stagione ha il compito di cancellare le delusioni e i passi falsi commessi prima da Coven e poi da Freak Show, riportando il prodotto su binari più orrorifici, così come promette quel “Horror” presente nel titolo.
California, precisamente Los Angeles, Hotel Cortez: siamo nel 2015 eppure ci si ritrova davanti ad una struttura di un’altra epoca, con una forte personalità che richiama subito le atmosfere lugubri di Murder House e Asylum. Il dettaglio che salta all’occhio dello spettatore è l’attinenza alle prime due stagioni della serie: tutto ciò che accade avviene in un luogo che ha una sua storia passata e che si porta dietro un bagaglio di fantasmi (non solo metaforici) e scheletri nell’armadio tutt’ora presenti nell’hotel. Come nella casa degli Harmon e nell’ospedale Briarcliff, vengono forniti diversi indizi che potrebbero sembrare disconnessi tra loro ma che a fine stagione dovrebbero formare un quadro completo. Il condizionale è d’obbligo perché se la première funziona, non è detto che si continui così per i prossimi episodi, memori delle esperienze dalle streghe di New Orleans e del tendone del circo di Elsa.
La fiducia però resta e sembra essere confermata dalla presenza di alcuni veterani del cast insieme ai nuovi volti: “Checking In” è violentissimo, gore e indubbiamente sexy, così come lo sono le scene in cui la protagonista assoluta è Lady Gaga. Sulle sue spalle c’è la responsabilità di non far rimpiangere l’assenza di sua maestà Jessica Lange e, complice un ruolo cucitole addosso, in questa prima puntata ci riesce. Il suo personaggio, in coppia con Matt Bomer (Neal di White Collar), sembra uscito da un video delle sue canzoni: i silenzi, le paillettes, il sangue, tutto funziona e introduce il ruolo della Contessa proprietaria dell’hotel in pompa magna. La preparazione della scena in cui sono protagonisti è un crescendo emotivo che raggiunge il suo apice sfociando in un enorme climax. L’appariscente eleganza dei vestiti dei due personaggi, l’adescamento della coppia al drive-in con sullo sfondo la proiezione di Nosferatu, la sete di sangue soddisfatta nel momento dell’amplesso sessuale: la scena è molto esplicita, volutamente violenta ed enigmatica, così come lo è la Contessa. La potenza visiva della sequenza ha un forte impatto e resterà sicuramente impressa nella mente dello spettatore.
Dalla parte dei veterani abbiamo Kathy Bates, purtroppo relegata nelle vesti di un personaggio in cui lei splende, perché attrice magnifica, ma che non le rende giustizia, mentre Sarah Paulson ricopre un ruolo da bad girl. La Paulson è sempre stata il contro altare della Lange e in questa quinta stagione per lei cambia tutto; si mette alla prova con un ruolo diverso dai precedenti in cui può giocare di più, mettendo in mostra nuovi lati della sua personalità recitativa. L’eroe della storia è Wes Bentley che, dopo l’ottima comparsata in Freak Show, torna per interpretare il Detective Lowe: l’uomo indaga su due omicidi che apparentemente sembrano non avere nulla a che fare con l’hotel ma, una misteriosa telefonata dell’assassino che alloggia nella stanza 64, lo portano all’interno della struttura. Padre amorevole con alle spalle il rapimento di uno dei suoi figli, a fine episodio decide di alloggiare al Cortez, dove sarà molto interessante vedere come interagirà con i personaggi, soprattutto dopo che, allo spettatore e a lui, viene svelata la presenza del bambino rapito proprio nell’albergo.
Al momento sembrerebbe Lowe il protagonista ma ci si accorge di una maggiore coralità della narrazione rispetto alle ultime due stagioni dove tutto era in mano alla Lange: forse è presto per dirlo ma in Hotel sembra esserci più equilibrio tra i personaggi e, se la strada è questa, ben venga.
I riferimenti cinematografici sono molti, dai bambini che ricordano le gemelline di Shining, ai corridoi lunghi e claustrofobici, fino alla stanza 64, novella 237 del film di Kubrick. Murphy si ispira a lui per costruire il suo Hotel e lo omaggia senza parodiarne malamente il genio.
Era dai tempi di Asylum che l’atmosfera della serie non era così straniante e perversa: l’uomo che fuoriesce dal materasso ad inizio puntata, lo stupro del demone ai danni di Max Greenfield (Schmidt di New Girl), i bambini vampiri in una stanza asettica piena di videogiochi anni ’80: Murphy delinea i particolari della stagione in modo accattivante eppure non bisogna farsi abbagliare dalla seducente vetrina di questa prima puntata. La strada per commentare la stagione è molto lunga ancora.
Come sempre anche in Hotel leggiamo una feroce critica alla società americana, tema tanto caro agli sceneggiatori: le due ragazze svedesi in cerca di fortuna fagocitate dal sistema, i bambini rapiti e il loro candore spezzato, per non parlare del particolare più azzeccato (immancabile momento musicale), la canzone “Hotel California” degli Eagles.
Insomma, “Checking In” ha ritmo e fascino da vendere ma la domanda resta: riuscirà a tenere questo standard fino all’ultima puntata?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Curtain Call 4×13 | 3.27 milioni – 1.5 rating |
Checking In 5×01 | 5.81 milioni – 3.0 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.