In più di un’occasione, nelle passate recensioni, abbiamo parlato di Better Call Saul inquadrandola come serie televisiva a sé, fortemente legata alla sua opera madre in virtù dello straordinario successo mediatico scaturito da quest’ultima, ma allo stesso tempo dotata di una forte indipendenza dovuta alle indubbie capacità autoriali e attoriali messe in campo fin dall’episodio pilota. Better Call Saul non vive della cosiddetta rendita parassitaria nei confronti di Breaking Bad, e non è nemmeno una banale comedy costruita attorno alla carismatica figura di James McGill. Better Call Saul è una creatura in grado di camminare con le proprie gambe, sul terreno ormai spianato da Heisenberg certamente, ma capace di compiere un percorso del tutto autonomo costruendosi, puntata dopo puntata, un’identità propria e originale. È anche vero, però, che le due serie condividono ben più del semplice universo narrativo. Non si può fare a meno di notare, in primis nelle scene di apertura, come lo stile e il linguaggio visivo di Gilligan spadroneggino, quasi a volerci ricordare che “Vince was here“.
Esaminando proprio l’antefatto dell’episodio, e più in generale di tutti gli episodi andati in onda finora, la tecnica usata è quella del flashback, in netta contrapposizione al flashforward, utilizzato soprattutto nell’ultima stagione di Breaking Bad (ma già presente nell’episodio pilota). Questo naturalmente perché noi il “dopo” lo conosciamo già, ciò di cui non abbiamo idea sono le ragioni che hanno portato James McGill a diventare il Saul Goodman che di lì a sette anni invaderà col suo faccione sorridente tutte le panchine di Albuquerque.
I primi minuti di questo episodio confermano i dubbi emersi nelle scorse puntate circa un legame sentimentale con Kim, e ci mostrano l’elegante rifiuto alla richiesta d’assunzione fatta da Jimmy, fresco di laurea ottenuta per corrispondenza alla “University of American Samoa“, da parte del suo attuale rivale Howard Hamlin. L’intera scena trae la sua forza dal totale isolamento acustico della stanza. Niente parole, solo gesti eloquenti e una fotocopiatrice a scandire il ritmo della conversazione.
La sigla funge come al solito da mezzo per tornare al presente, un presente che però appare fortemente legato al passato. La delusione per essere stato rifiutato come avvocato è passata, la delusione nell’aver fatto guadagnare visibilità a colui che l’aveva rifiutato, solo per aiutare Kim, quella rimane, e brucia tremendamente.
Sarà proprio questo suo bisogno di riscatto, insieme alla giusta dose di fortuna, a condurlo verso il primo vero caso serio della sua carriera. Tutto ciò sarà funzionale anche al riportare Chuck alla realtà, di nuovo al lavoro dopo molto tempo passato a vivere come un agorafobico, e talmente oberato di lavoro da scordarsi letteralmente della sua malattia. Il modo in cui l’uomo reagirà alla sua passeggiatina nel vialetto (lo scatolone a terra non è certo un buon segno) condizionerà non solo l’esito della causa, ma probabilmente anche il rapporto con il fratello. L’interpretazione di Michael McKean, a tratti indecifrabile, solleva anche alcuni dubbi sul rifiuto comunicatogli da Hamlin ai tempi dell’esame di abilitazione, rifiuto che potrebbe essere stato accettato di buon grado dal fratello, visibilmente non esaltato dalla richiesta d’assunzione di Jimmy richiestagli nel suo ufficio.
James McGill non è ancora l’avvocato dalla dubbia morale che non si fa scrupoli a proporre omicidi su commissione pur di risolvere scomode questioni (nella puntata “Better Call Saul” della seconda stagione di Breaking Bad non si fece troppi problemi a consigliare a Jesse e Walter di far sparire Badger, prima che potesse dare informazioni alla DEA) e non è nemmeno l’uomo dai mille agganci, quello che conosce un tizio che ha un amico che conosce un altro tizio che guardacaso fa al caso tuo. James McGill è ancora un brav’uomo, con una sua morale, talvolta vacillante, e un senso del dovere legato al suo mestiere d’avvocato. Il suo interesse nei confronti di una vecchia signora a cui hanno portato via somme di denaro, come lui stesso afferma, non esorbitanti, ci pone di fronte ad un uomo ben lontano dal Saul Goodman che conosciamo, lo stesso che nella puntata 3×05 “Mas” di Breaking Bad, non si fece scrupoli a scaricare Jesse per elemosinare un 5% sul denaro riciclato per conto di Walter, giustificando le sue azioni con un perentorio: “Il mondo va così ragazzo, si va col vincitore“.
In questa puntata possiamo notare questo suo attaccamento alla causa prima con la lettera scritta su carta igienica e poi con l’immersione nel cassonetto. Entrambi elementi che ci riportano alla dimensione comico-grottesca della serie.
La presenza di Mike viene ridotta ad un paio di apparizioni, volte ad approfondire il rapporto con la nipotina, portandolo a prendere in considerazione l’idea di sporcarsi le mani per garantirle un maggiore benessere finanziario. E questo, con tutte le probabilità, lo porterà nuovamente ad avere a che fare con Jimmy.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Proseguendo, nell’episodio 3×12, “Half Measures”, durante il colloquio tra Walter, Skyler e Saul all’interno del suo ufficio, sul muro possiamo notare una pergamena della “University of American Samoa” recante il nome Saul Goodman (e non James McGill). Laurea che è stata ottenuta in “Master of Arts“, mentre quella ottenuta in questo episodio sembrerebbe una laurea in legge. Visto e considerato che l’avvocato non fa mistero del suo vero nome fin dal primo episodio in cui compare, spiegando a Walter (che in quell’incontro fingeva di essere lo zio di Badger) le origini irlandesi del suo vero cognome, appunto McGill, e visto che lui stesso definisce fasullo quel pezzo di carta, non ci è chiaro che fine abbia fatto l’originale. Forse è dovuto alla procedura di cambio nome, o forse banalmente gli autori ai tempi non avevano ancora pensato allo spin-off e speravano che nessuno fosse così fastidioso da andare a controllare. In tal caso mea culpa.
Bingo 1×07 | 2.66 milioni – 1.3 rating |
RICO 1×08 | 2.87 milioni – 1.3 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.