“You know what? Any of the stuff you want… come and get it. Kitty cats notebooks for everybody!”
Jimmy McGill non è assolutamente il pre-Saul Goodman. Sarebbe stato troppo facile aspettarci un qualcosa del genere, soprattutto con l’esperienza di Breaking Bad alle spalle e la trasformazione progressiva e costante di Walter White in Heisenberg. Jimmy McGill, come abbiamo imparato a conoscerlo in questi primi 10 episodi, è l’evoluzione di Slippin’ Jimmy, ossia la forma primordiale, l’essere che aveva il DNA di Saul Goodman. E Saul Goodman quindi, di conseguenza, non è il risultato di una trasformazione, di un percorso di anti-formazione, bensì un ritorno al passato, un’accettazione della reale identità del protagonista (“I know what stopped me. And you know what? It’s never stopping me again”). E forse in questa tematica Gilligan ha dato vita alla reale e perfetta differenza con la serie madre. Alla fine dell’episodio James non vede la luce di una nuova personalità da rincorrere, cerca invece un ritorno alle origini e alla sua reale identità. Un percorso di formazione è sì possibile vederlo, ed è nel flashback iniziale: Slippin’ Jimmy vuole ripagare il fratello Chuck della fiducia concessagli e in questo modo attua la sua prima trasformazione nel personaggio moralmente quasi perfetto che abbiamo potuto vedere in questa prima stagione. Inutile dire come l'”accordo” salti nel momento in cui si accorge che colui che l’aveva dirottato verso la retta via è in realtà uno stronzo iprocrita e classista.
Se si va ad analizzare e a differenziare questa prima stagione con la prima di Breaking Bad (ebbene sì, non ce ne vogliate, il paragone è antipatico e scontato, ma dovuto) sono due le principali differenze che saltano all’occhio: intanto la prima stagione di BrBa era indubbiamente più breve (7 episodi contro i 10 di BCS), ma la più importante e meno scontata sta nel terreno che Vince Gilligan ha sentito più o meno solidamente sotto i suoi piedi. Nel primo caso occorreva dimostrare in forma asciutta e pura ciò di cui si sarebbe andato a parlare. Ed infatti la prima stagione di Breaking Bad era un’enorme Overtoure – così come questa prima stagione di Better Call Saul – però già dai primi episodi i fatti venivano mostrati nella loro completezza: il plot era immediatamente comprensibile. Ciò che ci attrae ed incuriosisce in BCS è che proprio non riusciamo a vedere la direzione. E la sicurezza che il network AMC ha dato al genio gilliganiano ha permesso la creazione di una stagione con uno stile più fiorito e decorato. Se nei primi due episodi siamo stati colpiti dalla presenza di Tuco, pensando così subito ad una trama criminale, la strada presa è stata più volte diversificata. Poco importa quindi che diversi sentieri abbiano caratterizzato la stagione, utile solo a tracciare strati di personalità del protagonista. Gilligan ha saputo di poter avere libertà di azione – dovuta anche alla familiarità degli spettatori con l’universo narrato – e ha così potuto divertirsi su più livelli.
Le strizzate d’occhio ai fan sono sicuramente ad un livello di superficie. L’anello ereditato da Marco, l’accenno alla Cadillac bianca, Kevin Costner (“If you’re committed enough, you can make any story work. I once told a woman I was Kevin Costner, and it worked because I believed it” – così recitava l’avvocato nella 3×11 di Breaking Bad), questi ed altri brevi riferimenti brillano come stelle più o meno luminescenti nei dialoghi di “Marco”, quasi ad evidenziare una maggiore vicinanza con piani più familiari agli spettatori della serie sorella.
Il riferimento al Belize (battuta nell’ultima stagione di BrBa adorata dai fan) si pone, appunto, come brillante in mezzo a uno dei momenti più alti dell’episodio. Tra i diversi livelli a cui Gilligan lavora, c’è infatti anche la sperimentazione, l’esercizio di stile volto ad esaltare il particolare virtuosismo dei magnifici interpreti a disposizione. E Bob Odenkirk si rende protagonista di un grottesco quanto frammentato monologo, i residenti di un ospizio come spettatori. In questo inizia ad aleggiare un fantasma che richiama direttamente la frase tormentone del titolo della serie. La B continua ad uscire imperterrita, suggerendo ogni volta vocaboli e storie diverse (tra cui la vera e fantastica storia che ci spiega del perché Jimmy sia finito in prigione). Lo spettatore (almeno questo spettatore che sta scrivendo) ha più volte sentito nella sua testa, per ogni B estratta, l’esclamazione Better Call Saul che sempre più incalzante girava intorno. Non è stata – logicamente – mai pronunciata, ma la sconsolata frase finale di James (citata ad inizio recensione), prima di abbandonare il microfono, rappresenta un simbolico manifesto della sua truffaldina personalità nascosta.
Ma ciò su cui in fin dei conti Vince Gilligan vince sempre è la semplicità e linearità della trama basilare, del puro e semplice causa-effetto. Chuck e Marco rappresentano due diversi alter ego del protagonista: Geppetto uno e Lucignolo l’altro. Se non fosse che il Pinocchio che noi qui vogliamo vedere non è quello redento che si trasforma in bambino, ma quello sempre maggiormente tentato dal paese dei balocchi. E la scoperta che Geppetto sia in realtà uno squallido ipocrita, come già detto, altro non fa che dirottare la storia di Pinocchio verso una fine decisamente alternativa. Volendo è proprio il personaggio di Marco la fioritura in più nella trama. E’ con questo ben riuscito personaggio, aggiunto per intero solo in questo episodio (oltre all’intro dell’1×04) che è possibile intravedere quel “di più” di cui si parlava facendo il confronto con BrBa. Il toccante e triste momento finale si pone come fenomeno singolare della 1×10, quasi creando una sorta di trama verticale. Lo stesso discorso potrebbe essere esteso con la storyline che vede l’incomprensione di James e di noi spettatori nell’ambigua figura di Howard, ampliando l’esempio, però, su tutta la stagione. Non vuole questa essere una critica verso questo aspetto dello show, bensì la notazione di come a diverse storie narrate, a diversi climi, a diversi personaggi corrisponda un diverso linguaggio. D’altronde ci è stato già detto: siamo di fronte ad un diverso show.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Pimento 1×09 | 2.38 milioni – 1.1 rating |
Marco 1×10 | 2.53 milioni – 1.2 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.