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“Finally, it came out. It knew I was there, but it was hungry.
This time, I was ready. I caught it. It fought me. But I was stronger.
The merciful thing would have been to kill it. I kept it. It lived for quite some time.
I believe you will wake, Hector“.
Probabilmente è già dalla prima stagione che, nel recensire Better Call Saul, si cercano di individuare punti di svolta nella lenta trasformazione che vedrà Jimmy McGill trasformarsi definitivamente in Saul Goodman. “Da ora non si torna più indietro”, si ripete come un mantra. “Piñata”, quindi, si aggiunge inesorabilmente alla lista degli episodi-chiave di questo lungo percorso, chissà ancora quanto lontano dalla sua fine. Il monologo che Gus Fring recita ad un Hector Salamanca in coma, allora, può esser quasi letto come un messaggio di Vince Gilligan e soci ai propri spettatori: per vedere Saul, una volta per tutte, bisogna armarsi di pazienza e “attendere” il momento giusto, essere più forti del desiderio di avere tutto e subito.
L’attesa, questa è la vera chiave di volta dell’episodio e, volendo, dell’intera serie, nonché dello stile narrativo adottato dagli sceneggiatori. Il non avere alcuna fretta di arrivare al punto prestabilito, ossia la nascita di Saul e il suo decisivo incontro con Walter White, si rispecchia nel lento ritmo che caratterizza la serie fin dal suo esordio. Il suo più grande tratto distintivo, spesso preso di mira dai suoi (si spera sempre pochi) detrattori. Quanto tempo ci vuole, realmente, per vedere un uomo abbracciare totalmente il suo lato oscuro? Gilligan sembra rispondere, ancora una volta (se si pensa a Breaking Bad): semplicemente tutto il tempo necessario.
D’altronde, quanto tempo può servire ad un essere umano per conoscere davvero un altro suo simile? Si prenda, ad esempio, il caso di Gus Fring. Del villain di Breaking Bad si potrebbe pensare di conoscere già tutto, tanto esteriormente, ossia quel tono pacato e rassicurante che nasconde in realtà una spietatezza senza limiti, quanto interiormente, ovvero le ragioni della sua vendetta nei confronti di Hector Salamanca. Eppure, se la portata del suo rancore nei confronti del vecchio si poteva già largamente intuire, mai quella della sua sconfinata ambizione era apparsa prima tanto chiara. Un’ambizione grande quanto il gigantesco spazio che ospita il team di costruttori venuto dalla lontana Germania, enorme quanto il tempo che può servire allo stesso team per scavare in segreto una stanza altrettanto grande.
Ed ecco, allora, che la domanda cambia ancora una volta natura: quanto tempo ci vuole per diventare uno dei più importanti esponenti del “cartello”? Qui Breaking Bad e Better Call Saul sembrano dare risposte differenti, in tal senso, semplicemente perché lo sono i soggetti in questione. Tutto il tempo necessario per Fring, che comporta una pianificazione paziente e pensata al minimo dettaglio tipico del suo modus operandi; tutto il tempo necessario per Heisenberg, caratterizzato all’opposto da un famelico desiderio di scalare la gerarchia. Proprio nella lunga costruzione di quel laboratorio (che agli spettatori nostalgici di Lost avrà forse ricordato, con un certo brivido, l’origine di una certa “botola”), sta tutta la differenza tra i due futuri rivali, nonché tutta l’essenza di Gus Fring, rappresentata perfettamente da quel monologo.
Il gustoso flashback d’inizio puntata che vede protagonisti Kim e Jimmy, che solo in apparenza (ovviamente) sembra slegato dal contesto successivo, racconta invece le significative e “lontane” origini dei percorsi personali dei due protagonisti, aumentando la connotazione di “Piñata” come vero episodio-chiave della serie. Entrambe, innanzitutto, vedono in Chuck McGill un’influenza decisiva, pur con sviluppi diversi. Anche in questo caso il tempo necessario per realizzare i propri desideri varia a seconda del soggetto. La storia di Kim, infine, sembra aggiungere un’altra importantissima lezione: quel tempo può decisamente evolversi strada facendo, perché sono quegli stessi desideri a poter cambiare. Per Kim la lunga attesa di diventare importante e rispettata, nell’ambiente legale, quanto lo era Chuck ai tempi del suo praticantato, era in via di realizzazione, col caso Mesa Verde e il futuro progetto di mettersi in proprio, raggiunto lo status desiderato, con Jimmy. Questo almeno prima di rendersi conto che Chuck era sì caratterizzato da un amore infinito per la materia legale e la giustizia in senso lato, ma non nutriva certo lo stesso affetto per le persone, per i suoi clienti, aspetto che lei ha finito col disprezzare. In “Piñata” Kim sembra aver capito di voler essere migliore di Chuck, non tanto dal punto di vista professionale ma umano.
Peccato che tale illuminazione sembra porre una pietra tombale alla lunga attesa di Jimmy McGill di veder realizzati i propri di sogni, come sembra capire in quel toccante e breve momento di sconforto al ristorante. Quella di Jimmy è risultata, nell’arco di queste quattro stagioni, una trasformazione ben diversa da quella di Walter White. Se Walter, in Breaking Bad, lotta per far uscire l’Heisenberg che è sempre stato segretamente in lui, Jimmy lotta invece tutta la vita per soffocare il Saul Goodman che lo perseguita da tutta la vita. Per farlo, si aggrappa prima a suo fratello, modello di incondizionata virtù, poi a Kim. Con la magistrale opening di episodio, gli autori sembrano in realtà voler far comprendere allo spettatore quanto Jimmy abbia investito su di lei (facendo riferimento non solo al tempo). È come se in queste quattro stagioni ci fossimo sempre posti la domanda sbagliata: non si doveva cercare il momento in cui Saul Goodman sarebbe finalmente apparso, ma piuttosto quello in cui Jimmy sarebbe sparito.
Da quell’entrata fugace in biblioteca, ossia da quella voglia di apparire agli occhi di Kim degno di quello sguardo pieno d’ammirazione che la donna riservava al fratello, è infatti partito il processo di trasformazione da Saul Goodman, il simpatico furfante, a Jimmy McGill l’avvocato. Un percorso fatto di continue ricadute, fino all’ultima, quella della vendita dei telefoni usa e getta, il quale furto finale lo ha probabilmente portato a una delle più decise prese di coscienza della sua vita. Dopo tale episodio, Jimmy sembra voler finalmente soffocare Saul una volta per tutte, tanto da vederlo sincero come mai prima d’ora con Kim, vedi il dialogo sullo psicologo che ha con lei, in cui non usa scuse, ma semplicemente ammette i propri limiti. La sua compagna lo “abbandona” perché sa di esser brava in quello che fa e vuole assecondare il suo talento, a fin di bene. Esattamente come Jimmy sa di essere bravo a fare quello che fa Saul Goodman. Che sia, quindi, davvero la volta buona?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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La lunga attesa sembra essere arrivata al suo definitivo punto di svolta, forse. Ma se così non fosse, ormai siamo abituati ad aspettare ai livelli di Gus Fring. Citando, allora, proprio il signore della droga: we believe you will wake, Saul.
Quite A Ride 4×05 | 1.52 milioni – 0.4 rating |
Pinata 4×06 | 1.40 milioni – 0.4 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.
Questa serie è un’opera d’arte.
Insegna il valore dell’attesa nel cinema/televisione, forse è per questo che è così poco seguita, saper attendere gustando ogni istante è (sembra) ormai un dono di pochi.