Il titolo di questa docuseries (decisamente e volutamente intrigante) ed il suo contenuto (decisamente e volutamente turbante) sono un qualcosa di diametralmente opposto. Titolo e contenuto hanno una sola cosa in comune, ossia il gioco di parole che è dovuto all’unico elemento che li lega: i gatti. Mark Lewis, sceneggiatore e regista di questa docuseries, porta alla luce con successo la caccia all’uomo che è partita su un gruppo Facebook dopo la pubblicazione di un video nel 2010 (intitolato “1 boy 2 kittens”, sulla falsariga di quel “3 guys, 1 hammer” che ha creato tanto scalpore nel 2007) in cui un uomo ha messo due gattini in un sacchetto di plastica e ha risucchiato l’aria uccidendoli. Non si faranno spoiler in questa recensione, visto che fanno parte del “divertissement”, ma è doveroso chiarire fin da subito che nessun tipo di violenza relativa a gatti, animali o esseri umani viene mostrata. È giusto esplicitarlo fin da subito vista la tipologia di video di cui si sta parlando.
Detto ciò, non si può non rimanere incollati allo schermo seguendo il filo logico costruito da Mark Lewis e presentato dai due protagonisti che hanno iniziato questa caccia all’uomo: Deanna “Baudi Moovan” Thompson e John Green.
1 BOY 2 KITTENS
Molto diverso dal ben più famoso “2 Girls, 1 Cup”, “1 boy 2 kittens” ha rappresentato un importante punto di svolta nella vita di diverse persone che per circa 18/24 mesi hanno completamente stravolto la propria quotidianeità per diventare (anche con un certo successo) “detective wannabe”. Ed è esattamente questo che Lewis vuole dimostrare focalizzando l’intera narrazione della vicenda non dal punto di vista del killer e nemmeno da quello della polizia, quanto piuttosto dalla prospettiva del gruppo Facebook che per primo ha aperto la caccia all’uomo. Questa è una scelta importante, nonché necessaria per ogni tipo di documentario/docuseries, visto che poi condiziona la narrazione ma offre anche un punto di vista inaspettato.
Baudi Moovan e John Green sono le voci narranti dei tre episodi ma sono anche due delle persone che hanno stravolto la propria vita in funzione di questa ricerca spasmodica che, vista con un occhio lucido, dovrebbe far riflettere anche sulla loro stabilità mentale (“A potential serial killer is after me. […] Fuck I have to tell my boss. Is he in danger now? Have I put him at risk? Having to go to my boss and tell them what I had been doing online and, you know, evem though it’s a good thing that I’ve been doing it, it’s still… mortifying. I mean can you imagine […] go to them and tell them that you go home and fucking look online for a cat killer?”) che li ha portati a riguardare compulsivamente più e più volte i vari video crudelissimi. Il tutto pur considerando la bontà dei loro intenti. E a tal proposito già nel primo episodio viene dato modo di riflettere su quanto di buono abbia portato il loro lavoro, ma è negli ultimi momenti dell’ultima puntata che si arriva a porre certe domande.
BATHTIME LOL
Pur essendo tre puntate focalizzate sulla caccia ad un killer che pubblica i propri video in cerca di notorietà, emerge con prepotenza anche un’altra tematica parallela ma più nascosta. Lewis vuole chiaramente enfatizzare il connubio estremamente rischioso dato dalla potenza di internet, dalla pericolosità di certi individui e dalla facilità di reperire informazioni su chiunque, tanto da diventare facilmente degli stalker (termine che potrebbe essere anche affibbiato al gruppo Facebook).
Il taglio narrativo tende ad enfatizzare molto più i lati positivi di queste possibilità piuttosto che quelli negativi, premiando il plot twist ed il ritmo narrativo alle conseguenze etiche della ricerca, ma lo spettatore non può che avere qualche domanda più che legittima al termine della visione visto che cose del genere potrebbero capitare a chiunque.
Il dubbio e la fiducia negli account con cui i protagonisti interagiscono quotidianamente viene messo in discussione, tanto da far emergere prepotentemente l’enorme mole dei cosiddetti sock puppet accounts che diventano presto una costante minaccia nel corso di tutti gli episodi e che, ovviamente, dovrebbero essere anche presi in considerazione nella nostra quotidianità. Lewis, in tal senso, riesce a dimostrare veramente bene il pericolo che si cela dietro ogni commento o account pronto a trollare, offendere, bullizzare o condividere informazioni false con intenti secondari. Ed il gruppo Facebook, così come le loro azioni, è un ottimo esempio.
PYTHON CHRISTMAS
Bisogna dar merito a Lewis di aver ricreato con successo una storia che funziona veramente bene nel corso di queste tre ore scarse. Si affrontano pochi punti morti, le interviste vanno dritte al punto e difficilmente ripetono elementi già sentiti prima, in più va apprezzata anche la bravura nel riproporre le scene originali riprese dalle varie videocamere a circuito chiuso che non obbligano quindi il regista a ricrearle in maniera fittizia come sarebbe potuto accadere.
Al termine di ogni puntata c’è sempre un cliffhanger che lascia inalterata la voglia di proseguire la visione, sempre fortissima vista la carica emotiva e le domande che continuano a rimanere senza risposta. La cinematograficità della ricerca è ovviamente data anche dalla peculiarità del killer nell’essere così appassionato di cinema e, soprattutto, di determinate pellicole come Casablanca, Basic Instinct o Catch Me If You Can: tutti elementi che funzionano dannatamente bene in un racconto così strano eppure così reale. La finzione si mischia alla realtà che si fonde a sua volta in una storia che sembra piuttosto surreale per quanto terrificante, il ritmo si mantiene sempre molto alto e così pure il divertissement dello spettatore che non può fare a meno di proseguire imperterrito la visione. Tutto veramente ben ~gatto~ fatto.
1 LUNATIC 1 ICEPICK
Tra i pochi lati negativi di Don’t F**k With Cats emerge però la mancanza di una prospettiva differente, chiaramente voluta da Lewis per il taglio creativo dato alla docuseries ma comunque mancante per dare una prospettiva completa e a 360° sul killer.
Non vengono mostrate infatti alcun tipo di notizie o interviste che possano aiutare a capire la storia del carnefice, di come sia stato cresciuto e cosa lo abbia indotto a diventare cosi, vuoi per la mancanza di testimonianze (probabilmente molte persone non hanno voluto essere associate a lui), vuoi per una scelta creativa.
L’unica fonte d’informazione è la madre, Anna Yourkin, che si dimostra essere tutt’altro che attendibile in certe affermazioni riguardanti il figlio (encomiabile la risposta “Oh about the cat videos?” alla domanda “Are you Luka Magnotta’s mother?”) e, informandosi anche leggendo separatamente diversi articoli scritti da Reuters e Mirror risulta anche chiaro il perché non sia una fonte onesta ed affidabile. E proprio la lettura di questi articoli fa emergere la visione realistica ma comunque parziale data dalla docuseries, motivo per cui si invita comunque caldamente alla visione del (ottimo) prodotto ma poi anche ad un approfondimento separato per digerire la storia e contestualizzarla.
… THEM ALL!
Cat And Mouse 1×01 | |
Killing For Clicks 1×02 | |
Closing The Net 1×03 |
Tre episodi estremamente ricchi di paranoia ed inquietudine arricchiscono in maniera importante una caccia all’uomo altrimenti “solamente” interessante. Il risultato: una docuseries veramente impossibile da non guardare e caldamente consigliata a chiunque nonostante la tematica.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.