Immigration NationTEMPO DI LETTURA 10 min

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“Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere.” Thomas Jefferson Bertold Brecht

Immigration Nation è una docuserie statunitense, uscita il 3 agosto su Netflix. Realizzata da Christina Clusiau e Shaul Schwarz con la Real Peak Films, consta, nei suoi 6 episodi, di filmati girati dal 2017 al 2020 che mettono al centro il lavoro dell’ICE, Immigration and Customs Enforcement, agenzia per l’immigrazione e le frontiere che, sin dalle primissime settimane del governo Trump, ha fatto notevolmente discutere per la sua applicazione della nuova legge. Colpisce l’immersività grazie ad un incipit in medias res che permette di osservare e iniziare a farsi un’idea della situazione.
Dai primi minuti è evidente che la linea tra buoni e cattivi, tra bene e male e tra giusto e sbagliato è effimera ed è difficile dare un giudizio sui contesti presentati. La docuserie si sviluppa mostrando alcuni aspetti del tema dell’immigrazione negli Stati Uniti, muovendosi attraverso alcuni luoghi caldi e presentando da subito una varietà di situazioni che, come le tessere di diverso colore di un mosaico, sono difficili da inquadrare singolarmente se non si ha presente l’insieme: immigrati lavoratori che vengono prelevati nel pieno della loro vita quotidiana ed espatriati, uomini che sarebbero morti per quella che sentono la loro patria, come dei membri dei Marines, che non possono fare ritorno alle loro case. Tutto fa pensare che siano persone innocenti che vengono trattate ingiustamente nonostante, come si dice nei primi minuti del primo episodio, costituiscano la “linfa vitale” di una città come New York, paghino 24 miliardi di tasse l’anno e facciano tutti quei lavori che agli americani non va di fare, come la ricostruzione di intere città in seguito ai frequenti uragani, spiegato benissimo nel quarto episodio.

I TEMI


Clusiau e Schwarz, già noti per Trophy e A Year In Space, entrambi vincitori di Emmy Awards, presentano dei quadri generali della situazione immigratoria statunitense: in ogni episodio gli autori approfondiscono un tema fondamentale ma da subito si nota uno sregolato intento cronachistico che porta i due autori ad annacquare la narrazione. Le docuserie è, infatti, perfettamente visionabile aumentando la velocità a 1,5%. È evidente il tentativo dei due di sensibilizzare sul tema milioni di americani votanti, come le foto vietnamiti durante la guerra del 1972. Forse sarebbe stato meglio un taglio più investigativo che divulgativo: sembra infatti che i due autori vogliano imporre il loro punto di vista e lo diano per scontato, per questo potrebbero non incontrare il favore di tutti. Nonostante la pesantezza generale che può portare molti spettatori ad abbandonare la visione, la docuserie risulta interessante per i temi affrontati e per la moltitudine di testimonianze e punti di vista presentati.
Il primo episodio è fondamentalmente introduttivo: gli agenti dell’ICE vengono visti in azione nel momento degli arresti. Lo sguardo si sposta ben presto sugli immigrati stessi e poi sulle loro famiglie. Non si nota tolleranza o rispetto alcuno per questi esseri umani.
Il secondo episodio mostra la disumanità del trattamento loro riservato. Gli agenti incaricati sembrano indifferenti verso queste vite. Gli immigrati fuggono da situazioni difficili e vogliono lavorare, garantire un futuro alle loro famiglie ma l’unica cosa che trovano è una prigione. Non c’è speranza di un cambiamento nella loro situazione: gli incaricati devono arrivare a un tetto minimo di arresti e condanne e non hanno tempo per cambiare idea e rivedere le loro decisioni.
È con il terzo episodio che si arriva al tema fondamentale: il voto. Come il voto ha condotto un Paese come gli Stati Uniti a questo livello di malvagità, così il voto sarà lo strumento per liberarsene. Il voto degli americani, non degli immigrati. I risvolti politici ed economici sono mostrati in tutta la loro potenza, così come l’ingiustizia subita da coloro che negli USA hanno passato tutta la loro vita.
La narrazione prosegue raccontando dello sfruttamento dei migranti che, dovendo mandare soldi a casa, accettano ogni tipo di impiego, soprattutto in nero e senza garanzie di pagamento. La loro disperazione viene sfruttata dai grandi imprenditori che rubano il loro salario.
Il quinto episodio mostra che non esiste più un modo legale per entrare, perché il chiedere asilo, il vecchio modo legale, ora non funziona più. Le persone sono usate come deterrente, tema dell’ultima, concitata puntata, dove il viaggio dei migranti è presentato con tutte le sue difficoltà e incognite.

MACCHINE UMANE DIVORATRICI DI SOGNI


Man mano che si procede con la visione, gli agenti dell’ICE vengono presentati come macchine senza sentimenti ed emozioni, atte a prelevare e rimandare a casa chiunque riescano a trovare sotto pressioni politiche ed economiche: spesso sono ripresi dietro le loro postazioni d’ufficio a chiacchierare con assoluta assenza di empatia per il destino degli immigrati in questione o delle loro famiglie poiché per loro è la normalità. Alcuni di loro sembrano addirittura provare una gioia intrinseca nell’eseguire ordini ingiusti e inumani, utilizzati come scusante: numerano, ammanettano, incatenano, mettono braccialetti elettronici alle caviglie degli immigrati che vengono trattati alla stregua di animali da allevamento da condurre al macello e scortati in prigioni senza sbarre (i centri di raccolta ICE), come a El Paso, dove possono passare anche anni senza essere né liberati negli Stati Uniti né rimandati al loro Paese d’origine. Con il quinto episodio la storia di Berta, nonna che ha provato a mettere in salvo la nipote minorenne da un matrimonio con un membro della gang ms13, costretta a rimanere in prigione e forse ad essere espatriata mostra la fallacia di questo sistema.
L’estrema frammentazione del lavoro permette una certa efficienza dell’organizzazione perché il singolo non è portato ad interrogarsi sul generale operato dell’ICE e quindi il lavoro particolare è privo di quella malvagità che si scorge nell’insieme, proprio come nel mosaico: è infatti una delle premesse lanciate alla fine del primo episodio. Ammantandosi di un’aura di sacralità, questa legge strappa l’umanità e l’empatia dall’uomo. I sostenitori di questa politica non considerano i motivi che spingono i migranti a lasciare il loro Paese e avventurarsi in un viaggio spesso mortale: mossi dalla volontà di mettere in salvo la propria famiglia dalla povertà, dalla corruzione, dalla criminalità o dal sistema sanitario manchevole, gli immigrati arrivano a pagare somme altissime per viaggi della speranza al cui arrivo, soprattutto negli ultimi anni, si scopre che il sogno americano è una falsità o, addirittura, un incubo.
Inseguendo un’idealizzazione dell’America come Paese del lavoro, molti tentano la via legale del chiedere asilo ai punti d’ingresso ma, con l’estrema difficoltà creata dall’amministrazione Trump, spesso vengono arrestati dall’ICE e condotti in campi di detenzione prima di essere espatriati. Risulta quindi che forse sarebbe stato più semplice entrare come clandestini piuttosto che seguire la via legale.

DISTOPIA-REALTÀ


Tuttavia, non si deve pensare che la politica attuale sia senza storia poiché già da decenni il governo statunitense aveva cercato una soluzione, in particolare dalla politica di prevenzione attraverso la deterrenza messa in atto nel 1994 con Clinton, facendo convergere le rotte migratorie nel deserto dell’Arizona, luogo ostile per l’uomo e quindi ad alto rischio, e, attualmente, separando le famiglie, si tenta di fare in modo che i più rinuncino ad entrare. Nonostante i rischi, i migranti si avventurano e quindi la strategia risulta poco funzionante perché aumenta le morti, delle quali non si conosce il numero esatto per la velocità di dissipazione dei cadaveri nel deserto, mentre non diminuisce il numero di arrivi. L’ultimo episodio mostra tutta la drammaticità del viaggio e, soprattutto, l’accoglienza duplice mostrata al loro arrivo: se da una parte i gruppi umanitari lasciano acqua e provviste nel deserto, dall’altra la polizia di frontiera si impegna spesso a distruggerle oppure è divisa tra l’aiutare e l’arrestare.
Quello che colpisce è la rassegnazione degli immigrati di fronte alla loro espulsione, che significa la fine della loro vita, delle loro speranze di costruire qualcosa di migliore, la separazione dagli affetti e, dall’altra parte, il fatto che per gli agenti dell’ICE questo è parte del quotidiano, un gioco per alcuni, come per il vicedirettore che esplode in risate o si spazientisce alla vista degli arrestati nel primo episodio. Si rimane scioccati dalla barbarie e dalla brutalità mostrate. Anche quando sembra essersi toccato il fondo della malvagità, il governo Trump si supera e arriva a punte di crudeltà senza precedenti. Lo spettatore non può rimanere indifferente di fronte a tali abomini. Il confronto con il nazismo e gli SS non può essere più appropriato.
Si rimane impietriti di fronte ai racconti di bambini fisicamente strappati dalle braccia dei genitori: è, infatti, proprio questo uno degli aspetti che più colpisce nel procedere della visione. A pagarne il prezzo maggiore sono i bambini costretti in campi di detenzione dove viene detto loro che non rivedranno più la loro famiglia. La sofferenza nelle loro voci diventa la sofferenza di chi osserva, impotente, dallo schermo le loro storie. Nel secondo episodio si racconta del figlio di Bernardo, segnato ormai per sempre dall’esperienza del campo di detenzione: gli incubi lo perseguiteranno per tutta la vita. La distopia di The Handmaid’s Tale non può essere più vicina di così. La serie Hulu basata sul romanzo di Margaret Atwood sembra dipingere un mondo così lontano ma, purtroppo, esistono oggi tantissime June a causa di questa politica disumana. Non si ravvisa alcuna cura per le famiglie, la cui separazione assume i tratti della crudele legalità per cui dei minori di 17 anni per motivi di privacy non si può conoscere l’ubicazione. Colpisce inoltre l’arbitrarietà di leggi che lasciano ampio spazio a chi le applica, il quale risulta spesso senz’anima nello svolgimento del suo lavoro.

DURA LEX, SED LEX!


Il classico dilemma sull’applicazione o meno di una legge ingiusta si ripropone con tutta la sua forza. La ragione dello Stato si scontra con la ragione del cuore. Cosa è davvero giusto? È difficile dare un giudizio sugli agenti dell’ICE ma lo è anche darlo sui migranti che trascinano i loro figli in un viaggio pericoloso in così tenera età. Il filosofo romantico Hegel nella Fenomenologia dello Spirito ha analizzato a fondo questo tema, prendendo una figura della tragedia greca classica: Antigone. L’eroina greca che, a costo di seppellire il fratello, contravviene alle leggi umane scritte per rispettare quelle divine non scritte è il paradigma preso in esame dal filosofo per porre il problema morale dell’obbedienza o meno a leggi giudicate ingiuste. Viene da chiedersi a questo punto: su quali basi? Come si può decidere autonomamente a quali leggi contravvenire?
L’obiezione di coscienza non è rivolta solo ai medici: esiste una forma di ribellione come la disobbedienza civile. Il termine fu coniato dallo scrittore e filosofo statunitense H.D. Thoreau, il quale si rifiutò di pagare le tasse che sarebbero servite per finanziare la guerra contro il Messico nel XIX secolo e fu imprigionato. Si tratta quindi di una forma di lotta pacifica cui si fa ricorso quando i cittadini ritengono che l’autorità statale sia andata oltre il lecito e oltre il buon governo per correggere una legge che la maggioranza, in sede elettiva, aveva appoggiato e che si è rivelata ingiusta o inefficace, facendo valere valori morali. Si tratta di un portare all’estremo limite la democrazia.
In tempi relativamente più recenti si può pensare alle proteste pacifiche di Gandhi o Martin Luther King. Oggi siamo ben consapevoli della carica di valore di tali gesti e della loro appropriatezza. Étienne de La Boétie sosteneva che uno Stato può crollare quando il suo potere è minato attraverso la disobbedienza, la quale è un vero e proprio diritto nel momento in cui può portare ad una revisione costituzionale. D’altronde nessun uomo può obbedire a ordini di altri senza che dietro ci sia un pensiero o una convinzione. Nel Mondo Antico ciò avveniva attraverso la religione, la quale creava una fictio, un legame che serviva a rendere applicabile un qualcosa di artificiale come la legge umana.

… THEM ALL!


Installing Fear 1×01
Maintaining Vigilance 1×02
Power Of The Vote 1×03
The New Normal 1×04
The Right Way 1×05
Prevention Through Deterrence 1×06

 

Dunque, in conclusione, la domanda è: se l’applicazione di una legge porta ad abomini come la distruzione di famiglie e violenze su minori ci si dovrebbe chiedere in che cosa differisca dai campi di concentramento. Se 2300 bambini immigrati sono stati strappati con così grande facilità dalle loro famiglie dopo Auschwitz, a cosa è servito quel dolore? Nonostante la firma del presidente contro l’applicazione integrale della legge, moltissime famiglie sono ancora separate e i loro diritti umani violati. Non sembra scorgersi fine alla malvagità di questa politica ingiusta.

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La notte sognivaga passeggia nel cielo ed il gufo, che mai dice il vero, sussurra che sono in me draghi ch'infuocano approdi reali e assassini seriali, vaghi accenti d'odio feroce verso chiunque abbia una voce e un respiro di psicosfera che rende la mia indole quanto mai nera. Però sono simpatica, a volte.

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