Arrivati ad un passo dal season finale, Euphoria richiede nuovamente allo spettatore di affidarsi completamente alla sospensione della credibilità.
La serie di Sam Levinson non è come gli altri teen drama, e questo è stato chiarito fin dal pilot. Non ci sono esami o test da affrontare, non ci sono le classiche scene di pigiami party e feste tranquille tra amiche, né ci sono le classiche recite scolastiche con cartonati disegnati in fretta e furia e scadenti doti recitative di quelli che sono, in fin dei conti, degli studenti del liceo.
Lo spettacolo di Lexi, il vero punto catartico di questa seconda stagione, somiglia più ad uno spettacolo di Broadway piuttosto che una recita scolastica. Ed è meraviglioso per questo.
LEXI
Lexi è stata la vera rivelazione di questa seconda stagione: un’osservatrice esterna ed attenta, come lei stessa si descrive. Passiva, sempre messa in ombra dal carattere di Cassie, dall’alcolismo della madre e dall’assenza del padre.
Tutti eventi che ne hanno condizionato il carattere e l’attitudine, ma che, grazie alla regia del suo spettacolo a cui lei stessa prende parte interpretando il suo alter ego Grace, raggiunge un momento catartico. Sia per lei, sia per l’intera serie.
Lexi si prende una rivincita, un momento in cui è lei ad essere sotto il proiettore. E i suoi familiari ed amici non posso fare altro che guardarla, senza riuscire ad impedire che i ruoli si capovolgano.
La narrazione di Euphoria, fino ad ora, ha seguito una struttura a puzzle, slegata: le storie dei protagonisti si sono più volte intrecciate grazie ai loro rapporti, a fare da collante c’era solamente la voce narrante di Rue, la protagonista onnipresente.
L’elemento più straniante della puntata non è una recita scolastica gestita da giovani ragazzi che sembrano professionisti del settore, o dal budget spropositato per quello che è un normalissimo liceo.
L’alienazione è data dall’avere tutti i personaggi riuniti in una stessa stanza, messi di fronte ai momenti salenti della loro vita, analizzati e interpretati da uno sguardo esterno: quello di Lexi.
Un personaggio secondario che diventa un raccordo perfetto per il pubblico che si identifica in lei per essere messo nella stessa condizione: uno spettatore non visto che prende le redini della narrazione.
IT’S A FUCKING PLAY ABOUT US
Rue, Nate, Cassie e Maddy si ritrovano a guardare i loro momenti più intimi e privati messi in scena dai loro doppioni.
“Our Life“ è un momento metatestuale che costringe il gruppo protagonista a guardare in faccia i loro difetti, le loro debolezze che vorrebbero non vedessero mai la luce.
C’è un totale ribaltamento della narrazione come era avvenuta fino ad ora: lo spettatore conosce tutto quello che Lexi propone sul palco, sono momenti che sono già stati mostrati, dal funerale del padre di Rue e Gia alle dichiarazioni d’amore tossiche di Nate.
Lo spettacolo teatrale prende il posto dei continui rimandi, citazioni e giochi di specchi che erano stati usati dalla regia nelle puntate precedenti.
Il pubblico ora è composto dai protagonisti che devono fare i conti con il loro passato. Momenti dolorosi, legami che non ci sono più, dissolti a causa del tempo o di azioni egoistiche. Tutto è lì davanti ai loro occhi.
A mantenere il ritmo dell’intera puntata è la narrazione parallela con ciò che sta accadendo a Fezco. Il posto a lui riservato è vuoto, ma tramite frequenti flashback è facile intuire che fosse intenzionato a vedere lo spettacolo, ma che qualcosa di inaspettato sia accaduto.
L’ OMOFOBIA SPIEGATA DA UN OMOFOBO
Le loro reazioni sono, dapprima, di imbarazzo. La loro vita è sotto gli occhi dei loro compagni di classe, rimaneggiata da una persona esterna a cui vogliono bene, ma alla quale non hanno mai dato reale importanza. Anche se Lexi era ad un passo da loro, non si sono mai curati troppo di lei. Un’ombra appena percettibile, ma – purtroppo per loro – molto attenta.
Tutti loro sono esposti, ma l’imbarazzo si scioglie in un primo momento grazie all’entusiasmo della madre di Lexi e Cassie, divertita dall’interpretazione della sua controparte.
Un entusiasmo che diventa collettivo nel momento più alto della puntata: la coreografia sulle note di I Need A Hero dedicata a Nate.
Per quanto cerchino redenzione e comprensione, soprattutto quando i motivi che li hanno portati ad agire come agiscono sono portati a galla, i protagonisti maschili di Euphoria sono tra i personaggi più tossici presenti sul piccolo schermo.
Anche Fezco rimane nello stesso limbo: uno spacciatore immischiato in problemi di varia natura che non può essere diverso. Nemmeno se cerca di comportarsi nel modo giusto con Lexi.
Ma Nate è il ragazzo peggiore che si possa incontrare. Guidato da un odio che diventa spesso violenza, possessivo e furioso, Nate è il protagonista della coreografia che inscena dei rapporti omosessuali in uno spogliatoio tra compagni della stessa squadra di football.
La reazione di Nate alla coreografia mostra, ancora una volta, la sua paura nello scoprirsi fin troppo simile a suo padre. E che sfocia in una breve scena onirica, dove sogna – in perfetto stile psicanalitico – di far sesso con suo padre. Un’omofobia nata in risposta ad una repulsione nei confronti del proprio genitore, ma che sempre omofobia rimane.
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Dopo sette episodi di altissima qualità sia registica che di scrittura, Euphoria ha fatto tutte le sue mosse, pronte ad esplodere nell’ultima puntata della stagione.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.