Fargo 2×10 – PalindromeTEMPO DI LETTURA 6 min

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Lamentarsi che in questo episodio poco accade sarebbe una reazione umana, ma non per questo logica.
Prendiamo una scatola con all’interno i nostri dieci dolci preferiti. I primi li divoreremo avidamente, magari dopo essere trascorso diverso tempo dall’ultima volta in cui li abbiamo degustati. Piano piano la scatola si inizierà a svuotare, finché non rimarrà l’ultimo dolce. Lo guardiamo con un misto di avidità e malinconia, sapendo che, dopo quello, avremo esaurito la nostra scorta. Come lo mangeremo? Avidamente, per sentire quel delizioso sapore in maniera intensa ma istantanea, oppure dosando ogni singola parte di questo ultimo componente? In ogni caso saremo già proiettati verso la privazione del nostro vizio di gola.
“Palindrome” si pone a conclusione di questa fantastica scatola di cioccolatini che è stata la seconda stagione di Fargo e ogni minuto che passa rappresenta un passo in più verso la privazione del nostro “vizio di gola”. Se ci dovessimo soffermare nel delineare la trama, forse non ci metteremmo neanche tanto. Lo story arc non è dei più complessi e la chiusura regalataci in questa 2×10 non si può certo dire che riservi particolari colpi di coda e che non sia lineare.
Certo, sarebbe stato a dir poco ridondante regalarci un finale ricco di suspance, colpi di scena e azione. Soprattutto se consideriamo che, nello spettacolare massacro del precedente episodio, in conclusione, fa capolino un disco volante. E gli autori ce lo hanno liquidato in due modi a dir poco geniali: Peggy che non gli dà troppo peso; il suocero di Lou e la risoluzione del misterioso linguaggio trovato precedentemente in casa sua, a liquidare totalmente la tematica aliena. La toccante spiegazione finale, riguardo il presunto linguaggio che Hank stava realizzando, rivela la grande innocenza che caratterizza gli abitanti del Minnesota, coinvolti sempre in sanguinose vicende, negli scenari dipinti in Fargo (ricordiamo ad esempio, nel precedente season finale, un altro interessante monologo del personaggio di Bob Odenkirk nel quale rinnegava completamente la vita caratterizzata da violenza e sangue, cui era stata esposta la città quei giorni).
Le linee narrative sono ben delineate. Esattamente come alla fine della prima stagione, a farla da padrone nel finale è il focolare domestico dei “buoni”, lasciando solo all’immaginazione dello spettatore eventuali tragici futuri eventi. Ad esempio, la morte sicura della mamma di Molly, come poi abbiamo avuto modo di (non) vedere nella prima stagione, viene solo rimandata, in favore di una pace tra le quattro mura di casa. La stessa pace dei giusti che aveva caratterizzato, come detto, la fine di “Morton’s Fork“.
Eh, ma quindi, se è tutto così semplice e poco complesso, perché questa stagione è stata tanto acclamata? Inutile dire come il mix tra sapienza tecnica, una prova eccelsa da parte degli interpreti e le scelte estetiche abbiano giocato un ruolo predominante. Però c’è stato un qualcosa in questa seconda stagione che ha insieme sbalordito e “scandalizzato” il pubblico: l’elemento magico. Si consideri il concetto in un senso lato. L’avvento alieno, accennato in maniera così palesemente ed efficacemente ingombrante, ha contribuito ancora di più ad aumentare le tonalità di colori ben più accesi rispetto al bianco costante della stagione precedente, con la macchia arancione dell’impermeabile di Lester Nygaard a svariare da un lato all’altro.
Il monologo di Cristin Milioti riguardo la sua visione di un futuro senza di lei crea continuità con la precedente stagione, donandoci di nuovo gli sguardi di Keith Carradine, Colin Hanks e Allison Tolman. Allo stesso tempo, però, contribuisce al clima di misticismo e simbolismo di cui si è già parlato (nel finale di Boardwalk Empire, Nucky Thompson aveva modo di vivere un’esperienza simile, vedendo il futuro).
Alieni (così stereotipati e trash) contro il monologo di una persona malata che riesce a vedere la vita futura della figlia: contrasti di colore che hanno predominato l’estrosa scenografia, contribuendo, anche così, a tenerci con gli sguardi incollati allo schermo, facendo durare pochissimo i 50 minuti di ogni episodio. Andando a ripercorrere la stagione appena passata, potremo senz’altro avere una crisi se dovessimo soltanto provare a trovare il miglior episodio. Indubbiamente, il punto di forza non è stato concentrato nelle premesse e nella conclusione, bensì nel cammino stesso di questo secondo capitolo di serie.
A dimostrazione di una certa coerenza stilistica, narcisisticamente, verrà riportato un passaggio della recensione del precedente season finale.

Si dà sempre troppa importanza ai finali. […] Il finale migliore dovrebbe essere quello che passa più inosservato. Che chiude tutte le parentesi rimaste aperte e che non rovina ciò che abbiamo visto prima.

Come ciliegina sulla torta di questa epopea dell’assurdo, non si può non citare colei che ha messo in moto tutti gli eventi. Peggy Blumquist, rispetto a Lester Nygaard, si è mossa non secondo bieco calcolo (comunque diretto verso una strada di autodistruzione), bensì con una follia di fondo (verso un auto-miglioramento e preservazione). Gli occhi e lo sguardo di Kirsten Dunst hanno fatto il resto. In un finale che chiude il cerchio, ponendo una conclusione ad ogni singolo evento che ci ha fatto sgranare gli occhi durante la stagione, Peg ed Ed coronano la loro differenza con due destini diversi. Alla fine il personaggio magnificamente interpretato da Jesse Plemons si accorgerà di questo. A lui, tutto sommato, andava bene la vita così com’era, con la sua macelleria e la sua quotidianità. Quest’indolenza di fondo lo porterà, infatti, prima a seguire la moglie dopo un gesto scellerato, poi a morire passivamente contro un muro, dissanguato, in un anticlimax raramente riservato a protagonisti.
Peggy, nel dimenarsi tra le braccia di Lou, rivela ancora quella voglia di fuggire che – forse inconsciamente – aveva messo in atto con l’occultamento del corpo di Rye Gerhard. E’ lei ad aver messo in moto la follia completa, è lei che con gli occhi stralunati alla fine darà voce ad un altro monologo tanto legittimo (si abbozzano rudimenti di femminismo) quanto grottesco, per il semplice fatto che, come le dice Lou: “sono morte delle persone”.
Non senza una nota di autocompiacimento, si concluderà questa recensione con la frase che provocatoriamente concluse la già citata recensione della 1×10, a dimostrazione di come, spesso, ad alte aspettative può corrispondere un ancora più alto risultato:

In bocca al lupo ai produttori per una seconda stagione della stessa caratura, se ci sarà.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Recitazione di Kirsten Dunst
  • I diversi destini dei coniugi Blumquist
  • La risoluzione dello strano linguaggio trovato a casa di Hank
  • La visione futura di Betsy, con tanto di piccolissimo fan-service per i nostalgici della prima stagione
  • Avete riconosciuto, nel finale, i due bambini (di cui uno sordomuto) che giocano?
  • Mike Milligan e il fallimento dei suoi piani di conquista
  • La scalata di Hanzee
  • Boh

 

Non siamo scaramantici ma a questo punto conviene dirlo lo stesso: in bocca al lupo ai produttori per una terza stagione della stessa caratura, stavolta già confermata.

 

The Castle 2×09 1.31 milioni – 0.4 rating
Palindrome 2×10 1.82 milioni – 0.5 rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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