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Avevamo invocato e sperato che Grey’s Anatomy ci portasse qualche “novità” narrativa o almeno che non si ripresentassero come in uno stanco, “eterno ritorno” gli stessi temi, le stesse storie, gli stessi personaggi (Derek e Meredith, Jackson e April); forse questa è la volta buona, o forse no. Molti sono gli episodi in Grey’s Anatomy che ruotano intorno al tessuto “molle” dello spettatore, quello emotivo ed esperienziale, anche qui si tenta di farlo. “Staring At The End” è tutta incentrata sulla dottoressa Nicole Herman, la sua malattia e la sua “missione”. Intorno a lei ruotano, come satelliti, altre due figure femminili: Amelia, la sorella in ombra di Sheperd, e Arizona, finalmente sganciata da Callie – gelosa e indispettita dal rapporto molto stretto tra l’ex moglie e il suo guru. Fin dall’incipit di “Staring At The End” grazie alle parole della dottoressa Herman capiamo che per lei è arrivato il momento; dubbi, incertezze, pensieri notturni la tormentano, ma incredibilmente tutto questo magma di angosce resta poco analizzato ed è proprio questo infatti uno dei problemi della puntata.
“Staring At The End” racconta la vita e la morte, ma soprattutto la paura, quella che immobilizza e scuote, che fa compiere gesti inconsulti, che fa perdere occasioni e fa crollare. Ma ci si può soffermare solo sulla paura tout-court? Quest’ultima è così sfaccettata, affascinante e misteriosa, da richiedere una conoscenza e una disamina molta più profonde.
Vita-Morte-Paura “strisciano” tra le tre donne, diverse eppure unite dal quel “tumore-bambino” di cui parla epicamente Amelia. La dottoressa Sheperd, di fronte ad un’intera platea, descrive poeticamente il tumore della Herman come una forma di vita che tenta disperatamente di sopravvivere (il paziente è per lei il pericoloso tumore), come un bambino che nasce e si forma dentro: quell'”embrione” è vivo, ma vivo è anche il corpo e non c’è spazio per entrambi. Se di fronte alla platea, la dottoressa si arma per “emergere” e vincere lo scetticismo, da sola è assalita dalle incertezze – vomita tutta la sua paura addosso alla specializzanda, dimostrandosi piccola rispetto al suo compito, sorella minore di un “luminare”.
La descrizione affascinante della massa cancerosa non funziona, talmente esasperata da perdere di forza, perché fin troppo prolissa. Lo spettatore in una puntata come questa avrebbe dovuto essere totalmente rapito dall’episodio stesso, rapito e travolto dalle tre donne, avrebbe dovuto essere alleato di Amelia, sodale di Herman, disperato come Arizona, invece un anello della catena nella fidelizzazione si rompe. Infatti “Staring At The End” almeno sulla carta era emotivamente coinvolgente, un pungo nello stomaco, ma un po’ la costruzione – vediamo come Herman ogni mattina per settimane si svegli, come lei e Arizona operino, mentre la tabella con tutti i post-it si svuota a poco a poco, assistiamo alle conferenza di Amelia e alle sue scenate – un po’ il ritmo, un po’ la ripetizione di luoghi narrativi finiscono per stancare.
Il personaggio di Amelia dimostra ancora una volta la sua natura: complessa, fragile, sicura ma non troppo, succube del fratello ma non totalmente – pensiamo a quando vorrebbe chiedere un consulto a Derek ma va a chiedere aiuto a Meredith -, affascinata da Owen ma presa dal tumore di Herman.
Nicole dimostra tutta la sua stanchezza quando è sola, quando il tumore si fa sentire con tutta la sua “conturbante malvagità” e violenza, mentre quando è nel mondo non vuole essere la sua malattia, vuole comandare lei, non farsi comandare – neppure dal suo medico, rifiuta la radioterapia. Mentre il cancro si sta espandendo, investendola con nuovi sintomi, Nicole continua la sua missione: insegnare tutto ciò che sa ad Arizona. Barcolla, ride, tiene tra le mani le ciocche dei capelli che stanno cadendo, infonde il suo sapere, assiste allo spettacolo della medicina (Arizona non solo la segue ma addirittura dà suggerimenti); non si fa sottomettere ed è come una macchina da guerra – il tempo scorre e lei non ne ha abbastanza.
Poi c’è Arizona che porta con sé tutta la sua umanità, il suo dolore e la sua sensibilità. Se Herman è dura, acida, ironica e caparbia, Arizona crolla, inciampa, piange per le perdite sul lavoro, spesso è la compassione a muoverla, perdendo di razionalità. Arizona e Nicole sono l’una l’opposto dell’altra, ma proprio per questo sono un team quasi perfetto: Nicole si fida di Arizona e Arizona confida nella forza della sua mentore e nelle capacità della Sheperd. La sequenza in cui le due donne si salutano – prima che Herman entri in sala operatoria e che Arizona faccia uno dei suoi primi interventi senza supervisore – testimonia quanto siano differenti: l’una spaventata, eppure non completamente ostaggio della paura, l’altra empatica e spaventata.
Buono il finale teso.
“Staring At The End” racconta la vita e la morte, ma soprattutto la paura, quella che immobilizza e scuote, che fa compiere gesti inconsulti, che fa perdere occasioni e fa crollare. Ma ci si può soffermare solo sulla paura tout-court? Quest’ultima è così sfaccettata, affascinante e misteriosa, da richiedere una conoscenza e una disamina molta più profonde.
Vita-Morte-Paura “strisciano” tra le tre donne, diverse eppure unite dal quel “tumore-bambino” di cui parla epicamente Amelia. La dottoressa Sheperd, di fronte ad un’intera platea, descrive poeticamente il tumore della Herman come una forma di vita che tenta disperatamente di sopravvivere (il paziente è per lei il pericoloso tumore), come un bambino che nasce e si forma dentro: quell'”embrione” è vivo, ma vivo è anche il corpo e non c’è spazio per entrambi. Se di fronte alla platea, la dottoressa si arma per “emergere” e vincere lo scetticismo, da sola è assalita dalle incertezze – vomita tutta la sua paura addosso alla specializzanda, dimostrandosi piccola rispetto al suo compito, sorella minore di un “luminare”.
La descrizione affascinante della massa cancerosa non funziona, talmente esasperata da perdere di forza, perché fin troppo prolissa. Lo spettatore in una puntata come questa avrebbe dovuto essere totalmente rapito dall’episodio stesso, rapito e travolto dalle tre donne, avrebbe dovuto essere alleato di Amelia, sodale di Herman, disperato come Arizona, invece un anello della catena nella fidelizzazione si rompe. Infatti “Staring At The End” almeno sulla carta era emotivamente coinvolgente, un pungo nello stomaco, ma un po’ la costruzione – vediamo come Herman ogni mattina per settimane si svegli, come lei e Arizona operino, mentre la tabella con tutti i post-it si svuota a poco a poco, assistiamo alle conferenza di Amelia e alle sue scenate – un po’ il ritmo, un po’ la ripetizione di luoghi narrativi finiscono per stancare.
Il personaggio di Amelia dimostra ancora una volta la sua natura: complessa, fragile, sicura ma non troppo, succube del fratello ma non totalmente – pensiamo a quando vorrebbe chiedere un consulto a Derek ma va a chiedere aiuto a Meredith -, affascinata da Owen ma presa dal tumore di Herman.
Nicole dimostra tutta la sua stanchezza quando è sola, quando il tumore si fa sentire con tutta la sua “conturbante malvagità” e violenza, mentre quando è nel mondo non vuole essere la sua malattia, vuole comandare lei, non farsi comandare – neppure dal suo medico, rifiuta la radioterapia. Mentre il cancro si sta espandendo, investendola con nuovi sintomi, Nicole continua la sua missione: insegnare tutto ciò che sa ad Arizona. Barcolla, ride, tiene tra le mani le ciocche dei capelli che stanno cadendo, infonde il suo sapere, assiste allo spettacolo della medicina (Arizona non solo la segue ma addirittura dà suggerimenti); non si fa sottomettere ed è come una macchina da guerra – il tempo scorre e lei non ne ha abbastanza.
Poi c’è Arizona che porta con sé tutta la sua umanità, il suo dolore e la sua sensibilità. Se Herman è dura, acida, ironica e caparbia, Arizona crolla, inciampa, piange per le perdite sul lavoro, spesso è la compassione a muoverla, perdendo di razionalità. Arizona e Nicole sono l’una l’opposto dell’altra, ma proprio per questo sono un team quasi perfetto: Nicole si fida di Arizona e Arizona confida nella forza della sua mentore e nelle capacità della Sheperd. La sequenza in cui le due donne si salutano – prima che Herman entri in sala operatoria e che Arizona faccia uno dei suoi primi interventi senza supervisore – testimonia quanto siano differenti: l’una spaventata, eppure non completamente ostaggio della paura, l’altra empatica e spaventata.
Buono il finale teso.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Staring At The End” aveva dalla sua la storia, ma in realtà invece di andare nel profondo galleggia nel suo stesso liquido: Herman soffre, reagisce con aggressività al suo dramma, e lo spettatore non entra mai totalmente in sintonia con le tre donne. Grey’s Anatomy ha toccato spesso le corde più profonde del cuore, lavorando su ciò che capita nella vita, smuovendo i ricordi più dolorosi, sempre in equilibrio tra vita e morte, sopravvivendo alla paura. “Staring At The End” non arriva all’epicentro del terremoto, pur avendo tutti i requisiti per colpire la nostra emotività, non fa il suo lavoro al cento per cento.
The Great Pretender 11×12 | 8.1 milioni – 2.5 rating |
Staring At The End 11×13 | 7.56 milioni – 2.2 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.