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“Are you a good witch or a bad witch?”
Quasi ottant’anni fa il celebre regista Victor Fleming portava a casa un Oscar grazie ad uno dei più grandi colossal cinematografici di tutti i tempi: “Via Col Vento”. Nello stesso anno, però, si trovò a dirigere anche la trasposizione cinematografica di una delle opere letterarie maggiormente “cannibalizzate” a livello seriale/cinematografico. Stiamo parlando de “Il Mago Di Oz”. Così, dopo Scrubs (5×07 “La Mia Strada Verso Casa”) e Futurama (3×18 “Il Gioco Del Se Fossi 2”), anche Orange Is The New Black si aggiunge all’elenco delle serie televisive che hanno deciso di rendere omaggio all’opera di Frank Baum.
L’interrogativo con cui abbiamo deciso di aprire la recensione, mosso a Norma da una scettica Frieda (Dale Souls) nei primi minuti dell’episodio, è infatti un palese omaggio alla scena dell’incontro tra Dorothy e Glinda, la strega buona del nord. Sebbene il richiamo appaia già piuttosto evidente, a rafforzare ulteriormente la teoria vi è un elemento imprescindibile se si cerca di realizzare un tributo a “Il Mago Di Oz”: le scarpe rosse di Dorothy, puntualmente ai piedi di Norma durante il suo primo contatto con Guru Mack.
Navigando in rete tra forum e pagine dedicate al telefilm, l’impressione generale è che il flashback dedicato alla ben poco loquace galeotta non sia stato per nulla apprezzato dai fan della serie. C’è chi ha definito l’intera storia un’assurdità, chi l’ha trovata eccessivamente noiosa e chi semplicemente si aspettava di meglio. Osservando la vicenda superficialmente l’impressione potrebbe effettivamente essere quella di una storia frammentata e gestita frettolosamente, ma analizzando il percorso di Norma in funzione di quanto detto precedentemente, quasi si trattasse di una moderna Dorothy, la musica cambia radicalmente.
Fin dai primi istanti la giovane Norma ci viene presentata come una ragazza infelice, imbarazzata dalle sue difficoltà nel parlare e per questo estremamente insicura. L’incontro con Guru Mack, un ciarlatano esattamente al pari del mago di Oz, la porterà a credere di essere felice, di aver trovato una persona in grado di dare un valore ai suoi silenzi. Naturalmente qui non ci troviamo in una fiaba per bambini. I percorsi intrapresi dai vari personaggi, per quanto diversi, hanno sempre in comune il punto d’arrivo, Litchfield, e quindi il lieto fine non è una possibilità. Non ci saranno diplomi in pensierologia per spaventapasseri senza cervello, medaglie tripla croce per leoni poco coraggiosi o orologi a forma di cuore per uomini di latta desiderosi d’amore, ma solo una spinta dettata dal risentimento, una rovinosa caduta giù per un burrone e un balbettante “Son of a bitch“.
L’analogia con la trasposizione diretta da Fleming appare ancor più forte dopo l’ultimo ritorno al presente. L’immagine da guaritrice maturata nelle ultime settimane all’interno di Litchfield ha reso Norma più sicura di se stessa, permettendole di trovare un ruolo da “protagonista” dopo anni passati all’ombra di Red. Paradossalmente la prigione diventa simbolo di libertà, la prima vera casa da molto tempo a questa parte, il mezzo attraverso il quale lasciarsi alle spalle la condizione di schiavetta muta maturata per anni al fianco di Guru Mack. Così, se vi era corrispondenza tra le scettiche parole di Frieda e il primo incontro tra Dorothy e la strega buona del nord, analogamente possiamo ritrovare attinenza tra le battute conclusive dell’episodio e la morale offerta dal film di Fleming: “Se deciderò ancora di andare in cerca della felicità non dovrò cercarla oltre i confini del mio giardino, perchè se non la trovo là non la troverò mai da nessun’altra parte“.
Nel frattempo Piper mette le basi per il suo impero del fetish, mentre gradualmente l’ipotesi del futuro flirt con Stella Carlin si fa strada prepotentemente minacciando di minare la ritrovata serenità con la fidanzata Alex. Quello che apparentemente potrebbe sembrare solo un banale escamotage per fare soldi facili – nonché oggettivamente il miglior giro d’affari di sempre – in realtà nasconde il disperato bisogno della protagonista di instaurare una connessione con il mondo esterno. Un mondo dal quale la ragazza ha preso gradualmente le distanze e che si ha l’impressione andrebbe ormai stretto all’Heisenberg della biancheria sudaticcia una volta fuori da Litchfield.
Fatta eccezione per la divertente parentesi letteraria di Suzanne, le altre due storyline presentateci in questo episodio, i problemi di Gloria con il figlio e la nuova gestione della prigione, appaiono svuotate di quel particolare mordente che da sempre distingue la serie. Nel primo caso le tempistiche fin troppo accelerate, prima riguardo la ghettizzazione nel linguaggio del figlio di Sophia e dopo circa l’abbandono della cucina da parte della stessa Gloria, appaiono fin troppo forzate, quasi si volesse giungere ad una conclusione il prima possibile evitando – con estremo rammarico degli spettatori – un confronto diretto con Red. Nel secondo caso invece il problema è molto meno complesso: la storyline di Caputo e colleghi è semplicemente noiosa, utile solamente a procurare un collegamento con l’esterno per il business di Piper, ma ben poco interessante in termini di intrattenimento.
Nel frattempo Piper mette le basi per il suo impero del fetish, mentre gradualmente l’ipotesi del futuro flirt con Stella Carlin si fa strada prepotentemente minacciando di minare la ritrovata serenità con la fidanzata Alex. Quello che apparentemente potrebbe sembrare solo un banale escamotage per fare soldi facili – nonché oggettivamente il miglior giro d’affari di sempre – in realtà nasconde il disperato bisogno della protagonista di instaurare una connessione con il mondo esterno. Un mondo dal quale la ragazza ha preso gradualmente le distanze e che si ha l’impressione andrebbe ormai stretto all’Heisenberg della biancheria sudaticcia una volta fuori da Litchfield.
Fatta eccezione per la divertente parentesi letteraria di Suzanne, le altre due storyline presentateci in questo episodio, i problemi di Gloria con il figlio e la nuova gestione della prigione, appaiono svuotate di quel particolare mordente che da sempre distingue la serie. Nel primo caso le tempistiche fin troppo accelerate, prima riguardo la ghettizzazione nel linguaggio del figlio di Sophia e dopo circa l’abbandono della cucina da parte della stessa Gloria, appaiono fin troppo forzate, quasi si volesse giungere ad una conclusione il prima possibile evitando – con estremo rammarico degli spettatori – un confronto diretto con Red. Nel secondo caso invece il problema è molto meno complesso: la storyline di Caputo e colleghi è semplicemente noiosa, utile solamente a procurare un collegamento con l’esterno per il business di Piper, ma ben poco interessante in termini di intrattenimento.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Dopo un inizio un po’ zoppicante e un paio di puntate pienamente soddisfacenti, la serie arriva al giro di boa offrendoci un episodio interessante, contraddistinto da una struttura coerente, ma non per questo banale, in grado di fondere alla perfezione le singole componenti, drama e comedy, in questo nuovo genere dramedy capace di farci riflettere senza però prendersi troppo sul serio.
Ching Chong Chang 3×06 | ND milioni – ND rating |
Tongue-Tied 3×07 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.