Quanto può essere assordante il silenzio? Quanti sentimenti ed emozioni si possono esprimere senza emettere suoni?
Così comincia la sua terza stagione Outlander, con venti minuti tra i più intensi che ha mai regalato, mostrando le diverse sfaccettature della sofferenza fisica e non, della rassegnazione e, infine, dell’accettazione.
La Scozia è ferita, distrutta dalla battaglia di Culloden, tra i momenti più duri della sua storia: la bandiera sventola sul campo e sui corpi inermi degli Highlanders. Claire lo aveva predetto poiché, come lo spettatore, conosce la storia e ora appare evidente quella catastrofe che si è abbattuta su un popolo che fino alla fine ha combattuto per la propria libertà.
Tra quei corpi inanimati, ci si sofferma sul profilo di Jamie, che respira faticosamente molto più morto che vivo. Attraverso i suoi occhi, sullo schermo scorrono le immagini della battaglia, la crudezza dello scontro non lascia spazio a nient’altro se non al sangue, alla morte. In tutto questo, spicca il duello tra Fraser e il rivale di sempre, Black Jack: i due nemmeno per un momento hanno l’istinto di scappare, ma si gettano l’uno sull’altro per mettere la parola fine, una volta per tutte, alla loro guerra personale.
La morte dell’antenato di Frank avviene quasi in modo poetico, tra le braccia dell’uomo che ha bramato e odiato e, alla fine, è proprio il suo corpo senza vita che salva quella di Jamie in una sorta di legge del contrappasso.
La telecamera indugia sul volto di Fraser che alterna momenti di lucidità uniti ai flashback; solo il ricordo di Claire, la sua immagine che come una Dama Bianca passeggia tra i caduti, sembra dargli sollievo. Jamie vuole morire, è ormai rassegnato, non solo perché tutto il mondo da lui conosciuto non esiste più ma poiché sa che non potrà rivedere la sua amata.
Il destino, qui nelle vesti prima del compagno Rupert e poi del debito d’onore a cui Lord Grey non si sottrae, riserva al ragazzo una strada diversa e per il momento viene tratto in salvo, scatenando in Jamie il senso di colpa per essere sopravvissuto. Tutto questo è sottolineato dalla grande capacità espressiva di Sam Heughan che attraverso il suo sguardo riesce a comunicare la sofferenza del suo personaggio. Si nota come il segmento narrativo dedicato agli avvenimenti scozzesi avvenga con una lentezza particolare: ogni respiro, ogni movimento scandisce la lenta agonia non solo di Fraser ma della sconfitta di un popolo intero e questo innalza la qualità di tutte le scene a cui lo spettatore assiste.
A secoli di distanza, alla ricerca di una quotidianità impossibile da trovare, si segue la parabola di Claire, dal suo trasferimento a Boston, fino alla nascita della piccola Brianna.
L’apparente velo di normalità che sembra legare Claire e Frank, viene a poco a poco squarciato dal tormento interiore della donna: come riuscire a dimenticare il passato, un tempo in cui si è sentita viva, libera e che le ha regalato l’uomo che ama e continuerà ad amare?
Claire ha accettato di lasciarsi tutto alle spalle per regalare al suo bambino una vita degna, l’amore di un padre e di una famiglia, ma a che prezzo?
Nonostante Frank faccia di tutto per darle il suo affetto e supporto, per lasciarle gli spazi di cui ha bisogno, questo non basta a far riaffiorare nel cuore della donna l’amore per lui.
Il litigio che avviene tra i due è straziante per entrambi perché se da un lato la donna cerca in tutti i modi di voltare pagina, dall’altro vediamo un uomo che ama la sua compagna, che ha accettato di crescere un figlio non suo, che vuole renderla felice ma non riesce. I tormenti interiori di tutti e due i personaggi sono evidenti ed il pubblico riesce ad empatizzare non solo con Claire ma anche con Frank, che conferma la sua indole buona e saggia.
La donna sta vivendo una vita che non vuole, accettando un compromesso impossibile, eppure, per il momento, è a questo che deve andare incontro ed è la nascita di Bree che la sveglia dal torpore e le fa prendere consapevolezza di ciò che va fatto.
Il momento in cui Frank e Claire si guardano emozionati, tenendo tra le braccia la bambina, deve inevitabilmente segnare un punto di svolta per questa coppia, anche se il ricordo di Jamie è ancora presente come un fantasma che non può essere cacciato.
La recitazione prima trattenuta, poi focosa e passionale di Caitriona Balfe sottolinea ciò che Claire sta vivendo e lo fa con una naturalezza tale che non si può restare impassibili davanti alla sua frustrazione. Ma un grande plauso va fatto anche a Tobias Menzies, capace di risultare sempre credibile, di rendere il suo Frank pieno di umanità, al contrario del sadismo mostrato per Black Jack.
La puntata non delude le aspettative e introduce i personaggi con grande delicatezza, prendendosi tutto il tempo necessario per presentare ciò che stanno vivendo, mettendo in scena una fotografia dai toni freddi che accompagnano la tristezza dei protagonisti e la loro lotta interiore.
“The Battle Joined” non è una puntata dinamica ma deve essere necessariamente così: in questo primo episodio è l’intimità dei sentimenti, delle emozioni che deve trasparire e così è, legando lo spettatore alla curiosità di scoprire il destino dei due amanti. Insomma, Outlander torna mettendo in chiaro che fa sul serio, che la serie ha moltissimo da dire e che, dopo le prime due stagioni, ha sempre più voglia di imporsi nel panorama televisivo. E se tutti gli episodi avranno questa qualità, non sarà difficile.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Dragonfly In Amber 2×13 | 1.15 milioni – 0.1 rating |
The Battle Joined 3×01 | 1.49 milioni – 0.3 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.