Daredevil: Born Again 1×08 – Isle Of JoyTEMPO DI LETTURA 5 min

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Recensione Daredevil Born Again 1x08C’è un momento, in ogni grande storia di redenzione, in cui i fantasmi del passato non possono più essere ignorati, in cui la memoria diventa presenza e la colpa ritorna con una violenza tale da piegare anche le volontà più ferree. Daredevil: Born Again, in questo ottavo episodio, porta esattamente a questo punto: un bivio emotivo e morale in cui nessuna scelta è pulita, e ogni gesto, anche quello apparentemente eroico, risulta contaminato da ombre più antiche e profonde.
Isle of Joy” non è soltanto un episodio di snodo, ma una dichiarazione d’intenti sul tipo di serie che Born Again intende essere: non un semplice revival della saga Netflix, ma una rilettura adulta, crudele e a tratti quasi spietata di ciò che la figura di Daredevil rappresenta nel presente del Marvel Cinematic Universe.

VELOCE COME IL VENTO BULLSEYE!


La figura di Benjamin “Dex” Poindexter, alias Bullseye, aveva già permeato l’immaginario della serie originale come incarnazione di una malvagità razionale, gelida e inesorabile. Il suo ritorno, dopo l’apparizione nel primo episodio culminata nell’omicidio di Foggy Nelson, assume qui un rilievo ancora più simbolico e destabilizzante: non è solo il killer di un amico, ma il testimone vivente di un fallimento più grande, quello del sistema giuridico che Matt Murdock aveva cercato di servire, e dell’identità stessa di Daredevil come “giustiziere morale”.
La fuga di Dex dal carcere – eseguita con una scena di evasione tanto assurda quanto perfettamente coerente con il profilo del personaggio – non serve soltanto a restituire un villain iconico all’azione, ma diventa l’innesco per un nuovo capitolo della guerra psicologica tra Matt e il suo lato oscuro. Poiché Bullseye è, per certi versi, ciò che Matt Murdock potrebbe diventare se decidesse di lasciarsi andare del tutto alla logica della vendetta, il loro confronto assume qui una valenza quasi mitologica: è l’eroe contro il suo doppio, il vigilante contro la sua versione corrotta, ma anche l’uomo di legge che scopre che la giustizia istituzionale non basta, e che la rabbia personale è un abisso impossibile da colmare. Il pestaggio ai danni di Benjamin da parte di Matt non rappresenta quindi un momento di giustizia, ma segna piuttosto una sconfitta, rivelando quanto la maschera di Daredevil stia ormai consumando ciò che resta dell’uomo che si cela dietro di essa.

DA MOGLIE SILENZIOSA A REGINA DEL CRIMINE


Se la serie aveva già mostrato segnali di voler espandere la centralità narrativa di Vanessa Fisk, è proprio in questo episodio che il personaggio interpretato da Ayelet Zurer si impone come una forza attiva, subdola e devastante. La rivelazione che sia stata proprio lei, e non Wilson Fisk, a ordinare l’assassinio di Foggy segna uno spartiacque tematico netto, spostando la dinamica di potere all’interno della coppia verso territori nuovi e ancora inesplorati. Vanessa non è più la donna che difende il marito, ma la mente che ne guida le mosse da dietro le quinte, l’erede intellettuale di un impero criminale che ha saputo leggere i limiti della brutalità maschile per sfruttarli a proprio vantaggio.
Il riferimento inevitabile è alla tradizione delle “regine del crimine” nella narrativa noir, figure che agiscono nell’ombra fino a diventare il vero motore delle decisioni più efferate. Vanessa incarna questa trasformazione con eleganza e crudeltà, lasciando che il suo viso impassibile funga da maschera per decisioni che riscrivono le alleanze e spingono Daredevil verso una nuova forma di disperazione.
Il confronto tra Matt e Vanessa, asciutto, diretto e privo di qualsiasi compiacimento melodrammatico, rappresenta forse il momento più maturo dell’intera stagione, proprio perché fondato su una verità gelida e ineluttabile: in un mondo in cui le traiettorie dei destini si sono ormai saldate in un intreccio inestricabile, la redenzione diventa un’illusione collettiva, e la salvezza, più che un obiettivo, appare come una menzogna condivisa.

MASCHERE INFRANTE


Isle of Joy” è, strutturalmente, un episodio costruito per preparare il terreno al gran finale, ma riesce a farlo senza mai assumere i tratti di un semplice preambolo. La regia di Justin Benson e Aaron Moorhead gioca abilmente con la tensione, accorciando le distanze emotive tra i personaggi e lasciando che ogni sequenza si carichi di un’attesa quasi insopportabile. L’evento mondano in cui tutti i protagonisti convergono – da Fisk a Heather Glenn, da Matt a Vanessa, con Bullseye pronto a colpire nell’ombra – assume i contorni di un microcosmo drammaticamente emblematico, un teatro dove ogni individuo porta con sé le cicatrici della propria ambiguità morale. Nessuno, in quella sala illuminata da riflettori e promesse pubbliche, è davvero immune dal buio che ha scelto o subìto; e così ogni gesto, anche il più apparentemente altruista, risulta contaminato da secondi fini, sensi di colpa o compromessi etici.
È in questo contesto che si inserisce il momento più destabilizzante dell’episodio: Matt Murdock che si frappone tra Bullseye e Wilson Fisk, salvando la vita al suo nemico giurato. Il gesto non ha nulla dell’eroismo canonico, anzi, è una decisione intrisa di ambiguità, che mette in crisi ogni spettatore abituato a pensare Daredevil come portatore di giustizia. Salvare Kingpin significa, in questo momento, evitare la vendetta privata per far trionfare la giustizia istituzionale. Tuttavia ciò significa anche permettere a un criminale di respirare ancora, pur di colpire una colpevole – Vanessa – con le armi della legge. Una scelta che definisce Matt Murdock non come eroe, ma come stratega morale, pronto a tradire il proprio istinto pur di non perdere la propria anima.

 

THUMBS UP 👍 THUMBS DOWN 👎
  • Evoluzione narrativa e tematica di Vanessa Fisk
  • Il ritorno di Bullseye gestito con tensione e brutalità
  • La regia di Benson e Moorhead
  • L’assenza di retorica nel confronto tra Matt e Vanessa
  • Il gesto finale di Matt Murdock
  • Alcuni personaggi secondari, come Heather Glenn, risultano ancora marginali rispetto al peso che sembravano avere nei primi episodi
  • L’assenza di un approfondimento su come Bullseye abbia vissuto la detenzione indebolisce leggermente l’impatto del suo ritorno in scena

 

Con questo episodio, Daredevil: Born Again mette in scena il proprio culmine morale ed emotivo, rilanciando tutti i conflitti accumulati fino a questo punto in una spirale che pare destinata a esplodere nell’episodio finale. Più che un semplice episodio di transizione, l’ottavo capitolo dimostra quanto la serie sia interessata non alla vendetta, ma alla complessità della colpa e alla fragilità delle scelte. Se la giustizia è una questione di prospettiva, allora Born Again ha già scelto di raccontarla dal punto di vista più difficile: quello in cui nessuno ha completamente ragione, e nessuno è davvero innocente.

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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