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Foundation 1×09 – The First CrisisTEMPO DI LETTURA 5 min

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Foundation 1x09 recensione“Ask a historian, “What was mankind’s greatest invention?” Fire? The wheel? The sword? I would argue it’s history itself. History isn’t fact. It’s narrative, one carefully curated and shaped. Under the pen strokes of the right scribe, a villain becomes a hero, a lie becomes the truth.”

Nel suo essere una serie oltremodo completa, che ha sempre bene in mente il suo complesso viaggio tra un estremo e l’altro dell’universo, Foundation arriva al suo momento fatidico, ossia quella “First Crisis” predetta fin dal primo episodio, celebrando la Storia. La “più grande invenzione dell’umanità” è d’altronde il fondamento principe dello show di Apple, ciò che muove i suoi protagonisti, i quali lottano fino alla morte per la sua tradizione alla generazione futura.
In questa esaltazione della forza e dell’importanza della narrazione, allora, il lavoro degli autori diventa quasi auto-referenziale, poiché l’attenzione si sposta anche e soprattutto su “come” la Storia viene raccontata, sulle scelte compiute dal singolo narratore. E infatti, nell’unire magistralmente i puntini fin qui disseminati per tutto questo lungo percorso, la celebrazione arriva anche per “chi” racconta, ossia l’umanità stessa, ed ecco che dopo tanta “filosofia”, Foundation ha anche tempo per cedere all’azione, non facendosi mancare proprio nulla.

LA STORIA LA FANNO I VINCITORI


“What we choose to tell our children and what we censor. What we illuminate and what we gloss over. History as an act of addition and subtraction.”

Addition and subtraction, recita Gaal: la Storia, insomma, viene fatta dai vincitori, nella veste dei singoli individui che scelgono cosa dover tramandare ai posteri, elevando le gesta degli assoluti protagonisti che ne decidono le sorti. Da un lato, allora, l’impresa in solitaria di Salvor, al centro del racconto della serie, nonché del “mito” stesso della comunità di Terminus, come anticipato dalla stessa narratrice fin dalla sua presentazione. Dall’altro, i vinti, ossia gli abitanti dei bassifondi di Trentor, coloro che, ai margini della società, quasi riescono a ribaltare lo status quo imperiale, fallendo miseramente.
Eppure ci hanno provato a diventare protagonisti, di una storia che, non a caso, fino ad ora li aveva visti deboli, ignorati, se non dimenticati. Quella “subtraction” che gli autori hanno operato nei loro confronti (pur lasciando un piccolo indizio al momento della successione tra l’attuale Brother Dawn e il precedente Brother Dusk, tramite la ritrosia di quest’ultimo), non fa naturalmente che imprimere maggior efficacia e incredibile sorpresa nella rivelazione del loro piano decennale.
Un “piccolo” gesto nel passato, ossia la modifica della genetica dell’allora infante imperatore, che stava quasi per rovesciare il secolare potere di una dinastia, rivoluzionando così il presente. Non riuscendoci, la loro “piccola” impresa sarà invece destinata all’oblio, l’ordine costituito ancora saldo e forte per un’altra generazione, almeno.

DESTINO E LIBERO ARBITRIO


“A wise man once said, “A people without history is like a tree without roots.” What’s missing from the wise man’s history? When did the story replace record? When all the facts fall short of believability, fantasy feels reassuringly solid. And since this is my history, I get to decide which parts have been subtracted, which have been added.”

Non è affatto un caso che l’azione la faccia da padrone in questo episodio, poiché, oltre ai normali meccanismi del racconto seriale, a dei vinti corrispondono dei vincitori, così come a dei villain corrispondono degli eroi. E se a Trentor gli imperatori tengono ancora ben ancorato il proprio potere, a Terminus il mito di Salvor prende forma. Ed anche qui quel dualismo tra scienza e fede su cui poggia l’intera serie, passa dalle “parole” ai “fatti”.
Alla preveggenza scientifica, matematica, di Hari Seldon, si contrappone infatti quella misteriosa, naturale, “divina” e “umana” al tempo stesso di Gaal e, adesso, di Salvor. Perché, altra sentenza ricorrente della serie, se la Storia dell’umanità può essere prevista, è molto difficile farlo per quella dei singoli. E quindi, se pur le due protagoniste sembrano essere guidate da qualcosa di soprannaturale e artefatto come il “destino”, il libero arbitrio domina comunque nelle loro scelte, dettate dalla loro esperienza, dal loro background, infine dalle loro emozioni e dai loro affetti.
La connessione tra le due eroine è ancora praticamente inesistente nella trama, se non tramite le parole della stessa Gaal alle visioni di Salvor sul suo passato (a tal proposito, è restata sospettosamente insoluta la questione “gravidanza” durante il viaggio per Terminus, e i figli desiderati da Gaal e il compianto Raych), ma è comunque indubbia quella “spirituale”. L’amore per Raych, appunto, la rivalsa nei confronti del suo popolo e della sua famiglia, per quanto riguarda Gaal. Quella “fede” tramandatagli dal padre e dalla madre, la cieca adesione alle loro volontà, a segnare invece il percorso del guardiano di Terminus, che giunge finalmente al suo compimento nella risoluzione dell’enigma della Volta, come la stessa Gaal aveva anticipato al suo esordio, nell’episodio pilota, chiudendo, come detto, perfettamente il suo cerchio narrativo.

“History is the ultimate weapon, because it harnesses time itself. Used correctly, the past can alter the present. What other invention can do that?” 

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La chiusura del cerchio
  • Il grande colpo di scena del piano ai danni dell’Imperatore…
  • … e il suo fallimento, altrettanto meno banale
  • La bellissima scena madre di Salvor e la Volta, finalmente
  • La Storia e la storia: gli autori celebrano la propria arte, quella della narrazione
  • Dall’arrivo di Salvor a Terminus allo scontro finale con Phara: non tutta l’azione fila alla perfezione, mancando di fluidità sullo schermo 

 

L’apparizione di Hari Seldon sul finale, o di quella che sarà con tutte le probabilità la sua identità digitale, apre non solo ad eventuali sorprese nell’ultimo capitolo di stagione, ma chiaramente ha la doppia valenza di introdurre ciò su cui si “fonderà” la seconda. D’altronde, nella perfetta chiusura del cerchio, dove passato e presente si sono meravigliosamente influenzati a vicenda, non manca che dare spazio al futuro.

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