Uno show che giganteggia e che si prende il proprio spazio in un 2021 avaro di serie tv effettivamente meritevoli d’attenzione. Dopesick chiude con questo ottavo episodio il proprio percorso e riesce a tirare le fila delle varie sottotrame fin qui presentate, ricongiungendosi agli avvenimenti presenti. Non si tratta di un prodotto esente da difetti, tuttavia la potente drammaticità degli avvenimenti raccontati colma qualsiasi limitazione narrativa e consegna al pubblico una serie matura, potente e che lascia sbalordita per la sua contemporaneità.
PRINCIPALI DIFETTI DI UNO SHOW BELLO NELLA SUA IMPERFEZIONE
I principali difetti dello show di casa Hulu sono da ricercare nell’eccessivo numero di sottotrame e nella gestione approssimativa della cronologia degli avvenimenti.
Mentre l’arco di redenzione di Samuel Finnix e la ricerca della verità di Ramseyer e Mountcastle riescono a coinvolgere lo spettatore, così non si può dire di Billy Cutler. Il personaggio interpretato da Will Poulter, fin qui rimasto circoscritto ad una blanda narrazione (interessante solo in presenza di Keaton) risulta più interessato a movimentare la storia d’amore con Amber Collins piuttosto che diventare parte attiva del processo contro Purdue Pharma. Il tanto atteso incontro con Mountcastle, dove finalmente le sottotrame convergono, si chiude nel giro di una manciata di secondi e non restituisce assolutamente nulla né allo spettatore, né al personaggio di Billy che supporta con i VHS trafugati ma niente di più.
Aspettative disattese, quindi, esattamente come la cronologia degli avvenimenti che anche in questo ultimo episodio viene gestita in maniera del tutto approssimativa con continui salti temporali tra presente e passato non ben evidenziati, lasciando al pubblico il compito di collocare temporalmente determinati dialoghi, confronti, avvenimenti.
BLIZZARD OF PRESCRIPTIONS
Alcuni punti fermi, però, lo show cerca di metterli. Il primo è sicuramente l’opening dell’episodio dedicato alla “Blizzard Of Prescriptions” ideata da Nan Goldin al Guggenheim Museum di New York per colpire il nome della famiglia Sackler. Un evento del 2019 dove realtà e finzione si mischiano cercando di dare allo spettatore un punto cronologico fermo ed un preciso appunto: la serie ha il chiaro desiderio di fare da raccordo fino ai giorni nostri.
E questa ultima puntata, di fatto, cerca di presentare sia i 600 mln pagati nel 2007 da Purdue Pharma in relazione alle menzogne riguardo il rischio di dipendenza da OxyContin, sia gli avvenimenti più recenti come la protesta di cui sopra alla quale ha seguito un ripudio generale e planetario del cognome Sakler.
PERSONAGGI ABBANDONATI A LORO STESSI
Parallelamente a questo avvicinamento al presente, Dopesick chiude anche le varie trame dei personaggi chiamati in causa: Samuel Finnix finalmente può tornare a vestire il camicie da dottore, ma gestisce anche una clinica di riabilitazione per persone dipendenti da OxyContin; Mountcastle e Ramseyer si rimettono subito all’opera per cercare una nuova frode in campo medico (Depakote della Abbott Laboratories). Tutti gli altri personaggi sono stati debolmente accantonati, fatta eccezione per Betsy e la sua tragica morte nella precedente puntata: di Billy Cutler e della sua banalità narrativa si è già parlato, ma anche Bridget Meyer ha avuto ben poco da dire in questo episodio comparendo solamente per un brindisi con i due personaggi a capo dell’indagine vs Purdue Pharma.
Un altro elemento che indebolisce Dopesick è la quantità di dettagli ed il desiderio di completezza del prodotto che cerca per certi aspetti di essere un documentario su uno spaccato sociale poco preso in esame. Detta così sembrerebbe che la serie è poco accattivante perché cerca di essere troppo dettagliata, al contrario: la ricerca di completezza e l’esposizione delle informazioni eleva Dopesick, tuttavia con il poco tempo a disposizione (considerata la massiccia quantità di date, persone, dettagli ed altro ancora) si rischia di generare un caos ed una confusione che rischiano di destabilizzare il pubblico. Cosa che, per esempio, avviene nelle veloci sequenze che riguardano Mountcastle, Ramseyer e Brownlee, prima licenziato, successivamente no. Forse qualche episodio in più avrebbe permesso di diluire meglio certe dinamiche senza obbligare la sceneggiatura in un inserimento forzato che ha rischiato di essere controproducente.
UN MESSAGGIO DI SPERANZA
Ciò nonostante, Dopesick resta un prodotto degno d’essere visto e la tematica trattata, la crisi da oppioidi che attanaglia gli USA, approfondita. Il barlume di speranza per un futuro in cui le colpe della famiglia Sackler e di altre aziende simili vengano perseguite legalmente con cui si conclude lo show è interessante e fa da perfetto ponte al monologo conclusivo di Samuel Finnix: “You know, what’s so important about these group sessions is the chance to connect. Addiction does the exact opposite of what connection does, right? Addiction tears apart. It tears apart friendships. It tears apart marriages. It’ll tear apart a family, tear apart a whole community.
Part of the reason we relapse is because of pain. There’s some kind of pain that’s in a lot of us, or all of us, we just don’t want to feel anymore. And further we fall into addiction, pain says to us: ‘hell, we’d better off just feeling nothing at all’. So we go numb. And our souls go numb. Now we’ve got a real problem. You know, pain is just pain. Not good, not bad, just part of being a human being. And sometimes, good can come out of it. And if we’re brave enough and willing to go a little deeper, work our way through it, and try to overcome it, well, we just might find our better selves.”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Realtà e ricostruzione a favor di sceneggiatura si fondono in un episodio che funziona e che presenta un ultimo capitolo per una crisi ancora tutta da superare (una battaglia è stata vinta, non la guerra, come sottolinea Bridget Meyer). Eppure c’è speranza, questo il messaggio con cui decide di chiudere lo show di Hulu. Un messaggio che potrebbe sembrare banale o semplicistico, ma che in una situazione sociale come quella presentata dallo show e considerate le numerose persone che ogni anno perdono la vita per questa crisi silenziosa assume tutt’altro valore. Uno sguardo di fiducia verso il futuro e verso una veloce riabilitazione non solo delle persone dipendenti da oppiacei, ma dell’intero sistema farmaceutico.
Maybe there’s hope.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.