Ed Sinclair e Will Sharpe, rispettivamente creatore e regista della serie, hanno anche scritto a quattro mani la sceneggiatura di questa e della scorsa puntata. Due episodi che contrassegnano la seconda metà di questa miniserie molto particolare, dal finale già scontato ma dai risvolti molto profondi.
Si è già parlato nelle scorse recensioni di quanto sia importante la metateatralità di Landscapers e le allucinazioni visive dei protagonisti per ovviare ad un altresì scontato susseguirsi di eventi. Ed è questo il vero punto di forza della miniserie HBO-Sky Atlantic che però, si può dire con fermezza, è andata anche un po’ troppo oltre in questo suo series finale. Perché se da un lato è molto bella ed onirica la rappresentazione degli eventi in tribunale sotto forma di un film western, dall’altro si è arrivati a toccare un livello che va ben oltre la percezione di Susan ed è fatto col solo scopo di intrattenere laddove non ci sarebbe stato intrattenimento. Un punto discutibile.
“In 2014 Susan & Christopher Edwards were convicted of murder and sentenced to a minimum of 25 years in prison. To this day they maintain their innocence.“
IL PROCESSO REALE
“Episode 4” è diverso dagli altri (che comunque si differenziavano piuttosto bene l’uno dall’altro) e si focalizza ovviamente sul processo che punta ad inchiodare Susan e Christopher Edwards. È un processo di cui si conosce già il risultato, pertanto Ed Sinclair e Will Sharpe optano per un approccio diverso e prediligono specifici punti di vista, sguardi che non si incontrano ed una certa velocità narrativa per non affaticare lo spettatore. Il tutto supportato da una regia senza colori che enfatizza ancora di più l’impatto visivo che si crea con una finzione colorata.
C’è una chiara voglia dello showrunner di allontanarsi dall’aula del tribunale, un luogo stretto e che porta ad un risultato non scontato. Durante il processo il focus è totalmente su Susan, sul suo punto di vista e sugli sguardi non ricambiati del marito. Tutti meno che uno. C’è questo distaccamento forzato che si percepisce palesemente da Christopher e c’è anche questa sensazione che voglia continuare a difendere la moglie il più possibile. Lodevole, interessante e piacevolmente diverso dal solito. Missione riuscita per Sinclair e Sharpe.
IL PROCESSO WESTERN
Come detto qualche riga più sopra, la regia della versione reale del processo è in bianco e nero mentre la versione cinematografica dell’Old Wild West abbonda di colori. Se si guarda agli scorsi episodi, questa non è la prima volta che il regista Will Sharpe gioca con queste contrapposizioni ma c’è una generale differenza che emerge: questa è l’unica volta che la realtà è depauperata dai propri pigmenti. È un segnale inequivocabile (ma nascosto) che si vuole mandare allo spettatore: Susan ora non vive più nella realtà ma si rifugia nelle sue fantasie.
La critica che però va mossa alla visione cinematografica del processo è però importante perché è fatta meramente per intrattenere il pubblico e fornirgli la prospettiva da parte di Susan e Christopher. Una prospettiva interessante ma anche eccessiva a tratti e non così necessaria. Un uso inferiore del minutaggio avrebbe sicuramente giovato all’intera puntata.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Lanscapers chiude la sua corsa sfortunatamente non con una nota alta. Tutto è molto bello, interessante e diverso dal solito, ma si abusa leggermente di quel lato onirico che aveva funzionato molto bene nelle altre puntate. Un po’ too much ma comunque meritevole di essere visto, consigliato e premiato soprattutto per la regia e per le performance della Colman e di Thewlis.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.