Il titolo di questo sesto incontro del revival di Sex And The City fa riferimento ad una festività hindi che celebra il trionfo della luce sull’oscurità, parte dunque della cultura di Seema, personaggio che apparentemente va acquistando maggiore importanza.
Celebrazione, tuttavia, che dà occasione di riflettere sulla pressione sociale a cui sono sottoposte le donne che per scelta o mancata opportunità non hanno messo su famiglia. Condizione, questa, in cui con la morte di Big si trova di nuovo – a suo modo – Carrie, proprio come negli anni ’90, prima di incontrare il grande amore.
In virtù di ciò, le due donne si ritrovano in un rapporto che sembra voler ricordare sempre di più quello che c’era con Sam, il che porta a pensare che forse l’assonanza fra i nomi Seema-Samantha non sia propriamente una casualità.
TRA PASSATO E FUTURO
“Out with the mold, in with the new you!”
Risolto il problema all’anca nella puntata precedente, Carrie decide ora di cambiare casa e di sceglierne una che non si trovi in un palazzo con delle scale – per la sua età – pericolosamente traballanti. La puntata si apre, dunque, in un certo qual modo tematizzando ancora l’avanzare dell’età con le sue difficoltà e, soprattutto, la costante voglia di cambiamento che essa spesso porta con sé. Cambiamento che palesemente si rivela un vano tentativo di trasformare in realtà l’illusione di poter fermare il tempo. Infatti, l’intervento chirurgico di Carrie appare per lo più come l’ennesimo punto di ri-partenza per una cinquantenne che – per quanto possa essere legittima la ricerca di novità – non riesce ad arrendersi ad una routine che potrebbe invece essere la soluzione giusta, ma mai (o almeno non ancora) presa in considerazione.
Con questa prima stagione di And Just Like That… che si avvia verso la fine, porre insistentemente l’enfasi sul tema della seconda età adulta comporta una ridondanza che viene fuori forzatamente quasi quanto l’inclusività a tutto tondo di cui la regia si vuole far carico. Cosa, quest’ultima, che rischia di allontanare l’ormai annoiato spettatore da determinate tematiche anziché cogliere l’occasione per coinvolgerlo ed informarlo rispetto ad esse. Regia che questa volta tra l’altro porta il nome proprio di Cynthia Nixon, qui alla sua seconda volta.
MENOMALE CHE CHARLOTTE C’É (ANCORA)
“You are not enough progressive for this!”
Il risultato di un politically correct a tutti i costi (esasperato ancor di più in questo episodio diretto dalla Nixon) è una realtà falsata rispetto a quella decisamente meno edulcorata in cui ci si ritrova a vivere. Per questo motivo la posizione ferma con cui Charlotte si mostra disorientata e in disaccordo (ciononostante aperta al confronto) dinnanzi ad alcune proposte di Rose/Rock e Lily (comuni adolescenti che in maniera poco realistica si ritrovano a discutere con interesse di appropriazione culturale…) è un contrappeso necessario. Volontario o meno.
Infatti (esattamente come in “Tragically Hip“) il suo atteggiamento – al contrario di quanto possa apparire a primo impatto – è volto a non svilire l’importanza di certe questioni che portate allo stremo affievoliscono l’interesse dell’individuo verso di esse, rischiando di suscitare un atteggiamento di rifiuto o, peggio, addirittura d’opposizione. Tale funzione di Charlotte è evidente anche quando davanti alla confusione sessuale di Miranda, nello sforzo di quest’ultima di sminuire il rapporto avuto con Che, le fa schiettamente notare che si tratta di un tradimento a tutti gli effetti.
Questa Charlotte a tratti meno frivola e quasi inaspettatamente maturata di puntata in puntata, insieme al suo Harry, servono a tenere con i piedi per terra gli autori di questa serie che paradossalmente con il loro focus sulla diversità e l’inclusività che ne segue hanno creato un’atmosfera di chiusura.
“I CAN SEE CLEAR NOW”
Catapultati da un momento all’altro fuori dalle loro relazioni storiche, chi per un motivo chi per un altro, Carrie ed Anthony si ritrovano spesso a farsi compagnia. Che si tratti di acquistare un abito d’alta moda o un appartamento lussuoso e moderno, sono quasi sempre l’uno accanto all’altro.
Ad accomunare i due amici in questo periodo delicato della loro esistenza è anche un certo timore di invecchiare (come se non si fosse posto a sufficienza l’accento su questo elemento) che forse non è altro che la paura di un futuro incerto. In questo clima di confusione e sconforto, Anthony cerca di convincere Carrie del fatto che sottoporsi a “due ritocchini” potrebbe dar loro indietro qualche anno, se non altro dal punto di vista estetico.
Con sorpresa è proprio la consultazione con un chirurgo plastico (Jonathan Groff) che farà vedere le cose sotto una luce diversa a Carrie che finalmente riuscirà a convertire il dolore legato ai ricordi del passato nella forza di costruirne altri vivendo il suo presente.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Negli ultimi due episodi si è visto un po’ più di “sex”, ma l’amicizia e la “city” di un tempo con i veri problemi d’amore che animavano le cene del trio continuano a mancare allontanando questo ritorno dalle sue origini sempre di più. Nonostante tutto, è proprio sotto questo aspetto che il revival risulta veritiero: ricordando al pubblico che nella vita vera certe amicizie finiscono, certi sentimenti non fanno giri immensi per poi tornare e che, semplicemente, le cose possono cambiare e basta.
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Amante della letteratura, decisamente meno della matematica, procrastinatrice seriale la cui unica costanza nella vita è la pizza. Giunge a Recenserie per mettere a tacere i sensi di colpa del troppo tempo speso a guardare serie TV anziché studiare e farsi una carriera.