This is the story of Queen Charlotte from Bridgerton. It is not a history lesson. It is fiction inspired by fact. All liberties taken by the author are quite intentional. Enjoy.
Shonda Rhimes non le manda a dire e con poche frasi lapidarie risponde alle critiche mosse già ai tempi di Bridgerton sul colore della pelle di molti protagonisti della stagione dei fidanzamenti londinese e invita gli spettatori a trascurare le evidenti libertà creative che si è presa e a divertirsi, godendosi il suo spettacolo.
Dunque, superata l’incredulità iniziale e ingoiato il rospo, si può procedere alla visione di questa serie spin-off, da molti confusa con la terza stagione di Bridgerton che in realtà è semplicemente una serie limitata di sei episodi. Non è chiaro come il pubblico italiano possa aver capito, come si dice a Roma, fischi per fiaschi ma a questo errore si può attribuire anche una campagna pubblicitaria non proprio azzeccata, nonostante il passaggio anche in tv del trailer della serie.
La “Regina Mida” delle serie tv ha quindi colpito e ha deciso di ampliare il mondo di Bridgerton regalando agli spettatori la storia delle origini della regina Carlotta, la donna più divertita dalla stagione dei fidanzamenti di Londra e sua principale promotrice. Con Bridgerton, dunque, Queen Charlotte: A Bridgerton Story condivide il personaggio principale ma anche una parte della linea temporale: il racconto, infatti, si snoda tra il periodo del matrimonio con Re Giorgio III e il presente in cui un’ombra oscura incombe.
UN PRODOTTO DI FANTASIA
L’episodio, scritto dalla Rhimes in persona e diretto dal fedele Tom Verica (alla regia di celebri episodi di grandi successi come Grey’s Anatomy, Scandal e How To Get Away With a Murder, Inventing Anna), segue il classico schema della presentazione fugace della protagonista, una caratterizzazione abbozzata tramite qualche frase simil-femminista e la vicenda vera e propria.
Niente di nuovo sotto al sole. Con una sigla in stile cartoon, Shonda Rhimes ribadisce il fatto che lo spettatore si trova di fronte a un prodotto di fantasia e non una fedele rievocazione storica. Tanti sono gli elementi che concorrono a sottolineare questo aspetto e, tra gli altri, gli abiti di scena, privi di corsetto, come sottolineato anche dalla protagonista della prima stagione di Bridgerton Phoebe Dynevor. Nonostante tutto, però, si procede alla visione con un trave in entrambi gli occhi e la storia di Queen Charlotte si lascia guardare.
La leggerezza di Bridgerton si respira anche qui con atmosfere quasi magiche, abiti colorati e chiacchiere che si inseguono tra i palazzi. Su tutte, ovviamente, la voce di Lady Whistledown che maliziosamente si chiede: “is the queen’s knowledge of how to make a good marriage nothing but talk?”. È infatti proprio questo il nodo fondamentale che emerge in questo primo episodio: la morte della principessa reale e del suo bambino durante il parto ha privato il regno di un erede: ora i 13 rampolli della regina dovranno produrne almeno uno.
La vicenda del presente si lega così al passato in cui la giovane Carlotta viene scaraventata da Mirow, località a nord della Germania, direttamente a Londra, al suo matrimonio.
PESSIMA SCRITTURA
L’abilità di autrice di Shonda Rhimes è nota a chi la segue e anche a chi non ha mai visto un minuto dei suoi successi: la mitica showrunner si è distinta negli anni per i cliffhanger clamorosi e le soluzioni ambiziose, riuscendo a portare a casa grossi risultati come le 6 stagioni di How To Get Away With Murder, serie regina dei colpi di scena. Ecco, non è questo il caso. “Queen To Be”, infatti, non spicca per originalità e i dialoghi sono davvero raffazzonati e già sentiti. La tiritera snervante sulla scomodità dell’abito portato dalla giovane protagonista per quanto forse consona è fin troppo accentuata per non apparire così banale. I primi minuti si contraddistinguono per una serie di massime da trascrivere sul diario dei segreti e sensazionalismi da ricordare, come “I am sorry, but there are worse fates than marrying the King of England” del fratello Adolfo.
Ma ciò che più disturba è il fatto che l’elefante nella stanza, e cioè la massiccia presenza di neri e orientali alla corte reale inglese, celebre per il suo razzismo sin da sempre, viene riproposto senza una vera e propria nobilitazione. La corte della regina viene ampliata dato che, come viene detto dalla regina madre, è troppo nera per essere la regina di Gran Bretagna e Irlanda, e inserisce così una schiera di neri e orientali. Suona molto di giustificazione e da un’autrice come Shonda Rhimes è inaccettabile oltre che inutile in questo caso. La situazione di fatto, così immaginaria e impossibile, era già stata accettata con Bridgerton e non c’era bisogno di fornirne una spiegazione. In questi giorni poi, in cui l’incoronazione del Re Carlo III ha portato esponenti di più etnie alla cattedrale di Westminster e ha accolto anche i portavoce di religioni differenti dalla Chiesa anglicana segnando la modernità della monarchia rispetto al passato, vedere Queen Charlotte: A Bridgerton Story dare una giustificazione simile sembra quasi un tornare indietro e dare fondamento alle critiche stesse.
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In conclusione, la forma e il contenuto dell’episodio sono quelli di Shonda Rhimes ma sulla qualità non ci siamo. L’anima della showrunner viene fuori solo nel momento in cui Carlotta e Giorgio si conoscono e scatta quella tensione sessuale che contraddistingue lo stile della Rhimes. Non si può bocciare totalmente dato che l’episodio scorre e rimane accattivante ma non merita di certo più di una sufficienza.
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La notte sognivaga passeggia nel cielo ed il gufo, che mai dice il vero, sussurra che sono in me draghi ch'infuocano approdi reali e assassini seriali, vaghi accenti d'odio feroce verso chiunque abbia una voce e un respiro di psicosfera che rende la mia indole quanto mai nera. Però sono simpatica, a volte.