“Some people just can’t cut a deal, Fikret.”
Con questa frase che sentenzia tante cose successe ultimamente, si chiude il terz’ultimo episodio di Succession, in una puntata inizialmente e apparentemente noiosa ma che si rivela fondamentale per chiarire lo stato reale dei fratelli Roy.
IL TRIANGOLO DELL’OPPORTUNISMO
ROMAN: “We just made a night of good TV. That’s what we’ve done. Nothing happens.”
SHIV: “Things do happen, Rome.”
Su una cosa i figli Roy sono “degni” eredi del loro padre: il profondo opportunismo che guida la maggior parte delle decisioni. Mai come in quest’episodio, tutti e tre (a cui si può aggiungere tranquillamente Connor) scelgono di agire per un proprio tornaconto personale. A differenza del padre però, le loro scelte sono vissute come compromessi pieni di sensi di colpa, vittime di un cinismo innato ma macchiato di quella insicurezza che li distanzia dal padre.
Scegliere di dichiarare il presidente eletto sul loro network prima del tempo ha portato alla rottura del precario equilibrio che reggeva gli orfani Roy da qualche episodio. La vittoria (presunta) di Mencken, con le sue posizioni ultra conservatrici, è soltanto la scusa per rendere evidente quanto profonde sono le lacerazioni nelle personalità dei 3 fratelli (coltelli).
IN CRESCENDO
MENCKEN: “Uh, well… It’s now clear I have won sufficient electoral votes to be declared the next president of the United States. And I find the responsibility awesome! Now, I know there are some who feel there is something left to contest. But votes have been cast, votes have been tallied. On another day, in another time, they might have fallen in another fashion. The election has been called for me by an authority of known integrity.”
TOM: “Maybe we should get, um, like, a history guy? You know, like a brain… like a real brainiac, to say why his sort of thing has happened in the past, and that it’ll all be fine?”
MENCKEN: “To my critics, I am not a demagogue. I am a defender of democracy. But democracy, it has this tendency that we have to beware to become mere transaction. I give you this. You give me that. I come begging for your vote. Welfare checkbook out. Crowning the welfare kings and queens till everyone has become a little tyrant, crowned by the state. The model that I follow isn’t from the scorched marketplace, where cunning men haggle for the best price. That’s not me. The democracy I believe in is where a leader emerged from the people, willed almost into being, brought forth by the great sweetness of the virtue of the combined wisdom of the good people of this republic. Don’t we long sometimes for something clean once in this polluted land? That’s what I hope to bring. Not something grubby with compromise. Something clean and true, and refreshing.”
KEN: “He’s a guy we can do business with.”
ROMAN: “Yeah.”
Il discorso sopra riportato di Mecken apre scenari interessanti per la conclusione della serie. L’intero episodio segue lo spoglio dei voti delle elezioni del presidente degli Stati Uniti, dove l’emittente ATN (secondo le direttive ufficiali della famiglia Roy) ha scelto di appoggiare la sua candidatura, in contrapposizione di Matsson che appoggia il progressista Jimenez.
La decisione di Roman, seguito da Ken, di dare per primi la notizia del conteggio finale senza averne ancora la certezza, mostra come tale decisione, oltre a favorire la scissione della compravendita della Waystar al GOJO, nasca anche da problematiche personali. Roman è di nuovo vittima dalla sua tendenza a lasciarsi andare a decisioni avventate, forte del fatto che in questo modo possa onorare il padre morto. La sua sicurezza nel farlo è forse più associabile ad incoscienza.
Shiv, nonostante le sue idee più democratiche, nel mostrarsi contro tale scelta e giustificandosi usando la carta della perdita della democrazia del paese, non fa altro che rendere evidente, soprattutto a Ken, l’incapacità di essere sincera con gli altri (e a sé stessa) sui propri sentimenti e volontà. Quando informa Tom della sua gravidanza, pretende una specifica reazioni da parte di Tom che non arriva, senza chiedersi mai come lei stessa comunica i suoi sentimenti ma aspettandosi dagli altri comportamenti idonei.
IL DUBBIO DI KEN
A metà strada tra i due fratelli, per quasi tutto l’episodio, Ken rimane in silenzio o non riesce ad esprimere un opinione. Jeremy Strong è bravissimo nel tenere la scena senza dire nulla, giocando con lo sguardo e con la bocca per esprimere una serie di emozioni nell’arco di poco tempo. Tenta di aprirsi con Roman e con Shiv. Forse tra i tre è quello che combatte tra una natura più “buona” (legata per esempio al senso di famiglia e alle preoccupazioni per la figlia) e quella più cinica, dove gli affari vengono prima di tutto. In sostanza la scelta di appoggiare Roman è per essere stato ferito da Shiv. Il resto dell’umanità (che siano Tom o la figlia) non conta per i fratelli Roy, vittima di se stessi e dell’educazione ricevuta da un pessimo padre. Se in parte potrebbero essere giustificati, è evidente che la responsabilità della (loro) umanità è loro.
L’episodio quindi da noioso cresce diventando sfibrante e intenso, seguendo un trend stagionale sempre ad altissimi livelli.
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Altro splendido episodio, rendendo ancora una volta interessante la narrazione del giorno delle elezioni del presidente degli Stati Uniti. Tutto tremendamente intenso e coinvolgente.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.