The Bear 2×05 – PopTEMPO DI LETTURA 7 min

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Recensione The Bear 2x05

Al pari di un piatto raffinato degustato in un ristorante stellato (e che sicuramente vi lascerà affamati pensando ai sei etti di pasta al pesto che siete abituati a mangiare di solito) la seconda stagione di The Bear prosegue il suo percorso stagionale a testa bassa, regalando al pubblico, sempre con il suo stile inconfondibile, il consueto viaggio multisensoriale che trascende i confini della cucina.
Quest’anno, la serie si è dimostrata ancor più ambiziosa, avventurandosi ulteriormente al di fuori dei confini del ristorante per esplorare i meandri delle relazioni personali dei suoi protagonisti, rivelando la complessità e la vulnerabilità di coloro che si dedicano all’arte culinaria. L’equilibrio precario tra passione e responsabilità si traduce così in un intreccio emozionale che matura con un ritmo sempre misurato e ben ponderato. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni tocco sottile contribuisce ad impreziosire la narrazione di The Bear, creando un piccolo gioiello televisivo destinato a lasciare un’impronta profonda nello spettatore abituato al prodotto televisivo a tema culinario medio. La cura per i dettagli si riflette non solo nei sapori degli squisiti piatti in preparazione, ma anche nell’animo stesso dei personaggi, che si confrontano con i propri demoni interiori nel perseguimento di un’eccellenza culinaria che, almeno per il momento, sembra soltanto un sogno irrealizzabile sepolto sotto chili di intonaco e muffa.

UNA RAPPRESENTAZIONE ONESTA


In un panorama televisivo in cui il mondo della ristorazione viene perlopiù rappresentato dal “talent a tema culinario“, spesso tra l’altro di dubbia qualità, The Bear riesce a distinguersi per la sua incredibile capacità di mettere in luce la realtà cruda e spesso misconosciuta che si nasconde dietro le quinte di un ristorante.
Con un’attenzione scrupolosa per i dettagli, la serie riesce a dare voce alla frustrazione e alla vacuità che spesso accompagnano il lavoro nel settore della ristorazione e, in modo simile a poche altre serie televisive o film (due esempi buoni in tal senso potrebbero essere la serie comedy Whites o il film Boiling Point, entrambi prodotti inglesi molto validi) lo spettatore viene invitato a immergersi in un mondo in cui la passione per la cucina coesiste con l’inevitabile stress emotivo e le difficoltà quotidiane che essa porta con sé.
Chi scrive, con una solida esperienza di dieci anni trascorsi in cucina, comprende molto bene questa realtà e può confermare l’accuratezza e la veridicità della maggior parte delle situazioni mostrate all’interno della serie. Proprio per questo motivo, la rappresentazione fedele dei dilemmi e delle sfide affrontate dai cuochi in The Bear riesce nell’impresa di suscitare un reale senso di empatia e riconoscimento, soprattutto per chi il mondo della ristorazione l’ha vissuto, purtroppo, sulla propria pelle. La serie getta luce sui sacrifici e sulle pressioni a cui il personale di un ristorante è sottoposto, andando ben oltre i problemi meramente economici, piaga comunque presente in quasi tutti i posti di lavoro, a prescindere che ci si trovi in Italia o all’estero, e approfondendo invece le difficoltà legate al superamento delle avversità quotidiane e al bilanciamento, spesso impossibile, tra vita lavorativa e privata.
The Bear si discosta dalla narrazione convenzionale del settore della ristorazione, che spesso tende a idealizzare la figura del cuoco come una sorta di eroe indomabile. Invece, la serie decide di mostrare al suo pubblico il lato più umano e vulnerabile dei protagonisti, mettendo in evidenza le difficoltà e gli alti e bassi che caratterizzano la loro esperienza lavorativa. Ciò conferisce alla serie un tono realistico e autentico, che riesce a far emergere le dinamiche complesse e le emozioni profonde che accompagnano la vita di chi lavora costantemente dietro ai fornelli. È attraverso queste rappresentazioni oneste che la serie riesce a coinvolgere il pubblico, permettendogli di apprezzare appieno la complessità dietro ogni creazione culinaria e di comprendere, allo stesso modo, il valore dell’impegno e della passione che animano coloro che lavorano nel settore.
La serie sfida gli stereotipi televisivi e ci offre un’esperienza autentica e coinvolgente, che va al di là della mera intrattenimento. È un’opera che celebra la passione per la cucina e invita a riflettere sul valore delle persone che dedicano la propria vita a creare esperienze culinarie spesso date per scontate dall’ingrato cliente medio.
Il cuore pulsante di The Bear risiede quindi nell’abilità di rappresentare la cucina e il suo mondo non come un’utopia glorificata, ma come una realtà umana, dove si sperimentano momenti di gioia, soddisfazione e gratificazione, ma anche di frustrazione, sacrificio e incertezza. Questa rara e preziosa prospettiva aggiunge quindi complessità e rilevanza alla serie nella sua interezza, lasciando spazio a una riflessione incredibilmente profonda sulla natura del lavoro nel settore della ristorazione.

IL TEMPO STRINGE


La storia avvincente di The Bear si sviluppa all’interno di un contesto in cui il tempo è un nemico implacabile e ogni secondo conta. Eppure, nonostante l’impegno costante e la dedizione del team, il successo sembra essere sempre e comunque lontanissimo.
Attraverso gli occhi di Carmy, Richie, Sydney, Tina e di tutti gli altri membri dello staff, la serie mostra che dietro pietanze raffinate e abiti sempre impeccabili si nasconde sempre un mondo di lavoro intenso, fatto di lunghe ore di preparazione, tensioni emotive, burocrazia soffocante, imprevisti che diventano la normalità e la costante ricerca di una perfezione che non potrà mai essere raggiunta – perché fondamentalmente non esiste – ma che, al pari dell’utopia di Galeano, serve soltanto a non smettere di camminare.
In questa quinta puntata, Claire emerge prepotentemente nella vita di Carmy, aggiungendo un tocco di luminosità nella sua esistenza finora dipinta perlopiù come triste e costruita attorno a un lavoro che ama ma che non si diverte più a fare. Allo stesso tempo, però, si palesa l’inevitabile conflitto tra amore e dovere, il quale, naturalmente, sembra già pendere a favore del proverbiale pelo pubico dall’ineguagliabile potere di trazione.
Trattandosi di un episodio pressoché Carmy-centrico, le vicende del ristorante e degli altri membri dello staff restano sullo sfondo, ma è comunque possibile intravedere, seppur per pochi attimi nel finale, la scintilla negli occhi di Sydney, il cui talento eccezionale si dovrà inevitabilmente scontrare con l’incertezza e l’inquietudine rispetto alla poca professionalità dimostrata recentemente dal suo partner lavorativo, alle prese appunto con le sue beghe amorose.
L’episodio si concede comunque i soliti momenti di leggerezza, come quando Tina sorprende tutti con la sua maestosa voce durante una sessione di karaoke. Tra l’altro, e si tratta di una curiosità di chi scrive, com’è che nelle serie tv hanno tutti delle voci incredibili senza avere la benché minima esperienza canora e nessuno pensa mai alla carriera nel mondo dello spettacolo? A maggior ragione se l’alternativa è fare lo chef per 8 dollari l’ora. Donna di colore, voce meravigliosa, ti chiami Tina, non è che l’universo sta cercando di dirti qualcosa?
Digressioni canore a parte, ogni membro del team contribuisce con la propria energia e competenza, cercando di ottimizzare l’efficienza della cucina e superare gli ostacoli che si frappongono tra loro e il successo. Tuttavia, il tempo stringe e la minaccia di un insuccesso incombe, con l’intero staff che avverte costantemente la precarietà della situazione. Questo accresce la tensione e l’urgenza di trovare soluzioni innovative per far fronte alle sfide che si presentano, rendendo così la visione sempre carica di suspense e l’attenzione dello spettatore sempre altissima, portandolo inevitabilmente a volersi divorare i restanti episodi senza pensare che poi occorrerà almeno un altro anno prima di poter vedere una terza stagione.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Regia e interpretazioni sempre impeccabili
  • Ottima rappresentazione del mondo della cucina
  • Tira più un pelo di….
  • La data di apertura si avvicina e la situazione sembra essere abbastanza disperata
  • Episodio forse un po’ troppo incentrato su Carmy e Claire per quelli che non amano le parentesi amorose

 

In conclusione, The Bear rappresenta uno spaccato perlopiù onesto di quello che è il mondo della ristorazione, offrendo una narrazione realistica e coinvolgente che svela le sfumature nascoste dietro a questo settore. Grazie alla sua capacità di mettere in luce la frustrazione e lo stress emotivo che i membri dello staff devono affrontare ogni giorno, la serie crea così un ponte di connessione con tutti coloro che hanno vissuto queste esperienze in prima persona, offrendo una testimonianza potente del duro lavoro, dell’impegno e della passione che alimentano il dietro le quinte di ogni ristorante. La serie invita inoltre a riflettere sul valore e sulla complessità del lavoro nei ristoranti, rimanendo un esempio raro e prezioso all’interno del panorama televisivo contemporaneo, in grado di porre l’accento su un aspetto spesso trascurato e offrendo una prospettiva più umana e autentica sul mondo della ristorazione.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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