Ci si avvicina al finale di questa prima stagione di The Book Of Boba Fett e, senza la benché minima noncuranza per il suo “vero” protagonista, la serie decide di prendere un’ulteriore deviazione, dimenticandosi totalmente del cacciatore di taglie da cui prende il nome (presenza su schermo: un minuto bello pieno fatto di silenzi, sguardi torvi e cenni con il capo, ma forse è meglio così) per concentrarsi, questa volta, principalmente sull’addestramento del piccolo Grogu per mano di Luke Skywalker e sull’incontro tra il cacciatore di taglie del Sindacato dei Pyke Cad Bane e il Cobb Vanth di Timothy Olyphant.
Premesso che le critiche circa la vigliaccheria intrinseca di questa operazione commerciale chiamata “The Book Of Boba Fett” rimangono pressoché invariate rispetto al precedente episodio di The Mandalorian della serie, l’episodio rappresenta certamente un momento di grande emozione per tutti gli amanti del franchise e della trilogia originale. Un continuo palesarsi di vecchie e nuove conoscenze che, sicuramente, farà saltare in molti sul divano, ma che comunque non giustifica in nessun modo la totale assenza del suo main character e che di fatto “costringe” lo spettatore di The Mandalorian a seguire un altro show di cui, magari, avrebbe fatto volentieri a meno.
THE BOOK OF LUKE SKYWALKER
Star Wars: franchise multimilionario, fenomeno culturale di massa e causa di faide tra amici (e recensori) since 1977.
L’universo espanso ha portato ai suoi fan film, serie televisive, serie d’animazione, spin-off, libri, videogiochi e quant’altro, rendendo il mondo di Star Wars un luogo di difficile orientamento anche per il fan più sfegatato, eppure bastano questi tre semplici elementi per incasellare il prodotto all’interno di una più rapida e semplice catalogazione: il mostro sacro.
Il buon René Ferretti aveva già riassunto bene questo concetto con l’oramai iconico appunto fatto al suo aiuto regista Alfredo “Tu sei una merda e lui è un mostro sacro“, volto a sottolineare l’aura di intoccabilità che circonda determinati personaggi o, in questo caso specifico, prodotti cine-televisivi.
Aura di intoccabilità che si traduce spesso nel puro e semplice sfruttamento del marchio a prescindere da tutto. Il risultato, in continuità con quanto visto nell’episodio precedente, è un episodio oggettivamente emozionante inserito all’interno di una serie che aveva promesso al pubblico una storia incentrata su Boba Fett e che invece lo ignora completamente. Non tutti i mali, comunque, vengono per nuocere.
Ecco arrivare, dunque, un’occasione per riportare speranza a tutti i fan che, ai tempi di Episodio VIII, rimasero delusi dal “nuovo” Luke Skywalker portato sul grande schermo. Grazie alla sempre più utilizzata tecnica del digital de-aging, la serie regala così alle orde di spettatori delusi un piacevole ritorno al passato, dedicando gran parte dell’episodio all’addestramento Jedi di Grogu, che quindi ufficialmente diventa il giovane Padawan di Luke. Tra capriole, salti ninja sui paletti di legno, arrampicate sulla pertica fino alla consegna della light saber (che parrebbe proprio essere quella del maestro Yoda), tutto è un continuo citare le dinamiche già rese famose dal primo capitolo della saga.
C’è tempo anche per un breve flashback riguardante l’attacco al Tempio Jedi visto dagli occhi di Grogu, con i vari Stormtrooper intenti a fare fuori Jedi come fossero mosche (a sto punto, hai fatto trenta, fai trentuno e butta pure Darth Vader nella mischia).
Tutto bellissimo. Nulla da dire. Grandi apparizioni, momenti di tensione, Grogu che torna ad essere Baby Yoda (già si possono udire gli oooooow degli spettatori con annessi occhi a cuoricino) ma soprattutto tanto, tantissimo fan service – e che non si venga a dire “inserito in maniera fluida e naturale all’interno della trama” perché non è vero – che piove a secchiate sull’amante del franchise, intento a praticare l’antichissima arte, ancor più antica degli stessi Jedi, dell’autoerotismo mentre il povero Boba Fett annuisce muto sullo sfondo alle indicazioni di Fennec Shand (perché dietro ogni grande donna c’è sempre un vecchio muto ed inespressivo che fa sì con la testa).
Senza dubbio un magnifico cortometraggio girato all’interno dell’universo espanso di Star Wars, ma altrettanto senza dubbio l’ennesima vigliaccata al pari di “Chapter 5: Return Of The Mandalorian” che costringe lo spettatore dell’opera madre a doversi sorbire una serie che, molto probabilmente, avrebbe mollato dopo il quarto episodio, soltanto perché fondamentale per poter seguire l’oramai prossima terza stagione di The Mandalorian. Completamente folle.
Lo sterminio degli Jedi, al pari della purga mandaloriana inserita nella puntata precedente, viene così buttato all’interno di un episodio di una serie spin-off di un’altra serie spin-off, sottintendendo già un coinvolgimento totale dello spettatore all’interno dell’opera nella sua concezione più generale. Sebbene gli universi espansi non siano solo prerogativa di Star Wars, basti vedere Marvel e DC negli ultimi vent’anni, non può essere considerata una mossa accettabile inserire elementi narrativi così importanti per The Mandalorian in un’altra serie, a prescindere dal fatto che quest’ultima nasca come costola della prima, tra l’altro fregandosene completamente del personaggio che dà il nome al prodotto. Ora bisognerà vedere come la serie deciderà di gestire l’episodio finale.
THE BOOK OF CHIUNQUE TRANNE BOBA FETT
Già a partire dalla cold opening, lo spettatore capisce subito che qualcosa di lì a breve si abbatterà su Freetown e sullo sceriffo Cobb Vanth. In questa prima sequenza la serie chiarisce inequivocabilmente quali siano le priorità ed i principi morali dello sceriffo, disposto a buttare letteralmente al vento una piccola fortuna solo per tenere il punto della situazione.
Piccolo appunto: sebbene George Lucas abbia apertamente dichiarato in più di un’occasione di aver preso ispirazione da Dune per il suo lavoro, in questa puntata la spezia sembra essere esattamente identica anche nell’aspetto a quella vista recentemente nel film di Denis Villeneuve. E qui, più che una critica, sorge una domanda spontanea…
Spezie a parte, grazie alla storyline di Cobb Vanth è tempo per lo spettatore di fare conoscenza di Cad Bane, emissario del sindacato dei Pyke e cacciatore di taglie originario del pianeta Duro (che ha esordito in un’altra opera di Dave Filoni), presentato in maniera impeccabile con un lento svelamento del personaggio che riesce nell’intento di creare tensione ed ansia per le sorti dello sceriffo. Sorti che comunque difficilmente prevedono una sua uscita di scena (a questo serviva il vice sceriffo, qualcuno doveva morire per mano di Cad Bane) e che piuttosto sembrano virare verso la ben più plausibile alleanza con Boba Fett Mando alla guida della sua guarnigione di uomini.
Una menzione va anche al momento con la più alta concentrazione di fan service dell’episodio: il non-incontro tra Mando e Grogu. Sbarcato sul pianeta, Din Djarin viene prima accolto da R2-D2, poi da Ashoka ed insieme guardano in lontananza Luke Skywalker e “Baby Yoda”. Se si avvicina l’orecchio allo schermo si può sentire il rumore dei soldi che piovono sulla Disney…
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Al netto di quanto scritto, è chiaro ormai che per poter godere a pieno di questo universo espanso occorre non farsi troppe domande in merito a quanto stia accadendo, accettando di buon grado il fatto che The Mandalorian è la serie di punta e le altre possono solo perire al suo cospetto. Dopo aver preso un personaggio iconico come Boba Fett ed averlo ridicolizzato mettendolo sullo sfondo della sua stessa serie e spogliandolo della sua aura di epicità (e soprattutto del suo elmo), la serie decide quindi di trasformarlo in una comparsa muta che manco saluta Mando quando lo vede.
Non potendo trascurare il fatto di aver assistito per l’ennesima volta ad una puntata di The Mandalorian, ma anche tenendo conto delle molteplici emozioni scaturite da situazioni e personaggi comunque legati alla mitologia del franchise, l’unica soluzione possibile è quella di convergere al centro, verso una sufficienza. Un compromesso fatto per non sbilanciare l’equilibrio della forza e magari conservare i polpacci.
Quanto ti è piaciuta la puntata?
5
Nessun voto per ora
Tags:
Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.