Mancano solo tre episodi alla fine di questa prima stagione di The Last Of Us e, col rischio di ripetersi, lo show conferma ancora una volta la sua netta superiorità rispetto a qualsivoglia adattamento televisivo o cinematografico di matrice videoludica realizzato in passato.
Ancora una volta si ricorre a qualche piccolo escamotage narrativo per ovviare al minutaggio sensibilmente più contenuto rispetto alle svariate ore di gameplay regalate dal videogioco, e il risultato è un altro episodio molto toccante che si concentra principalmente sulle emozioni, segnando una svolta decisiva per quanto concerne il legame che unisce, oramai indissolubilmente, i due protagonisti.
TOMMY, FRATELLO MIO, ABBRACCIAMI GUASCONE
Dopo un momento iniziale molto leggero – l’incontro con la coppia di anziani – piazzato a inizio episodio per alleggerire la situazione e per “staccare” dal dramma compiutosi nel finale del quinto episodio, finalmente Joel ed Ellie giungono alla diga. “Dam!“. Una location sicuramente nella memoria di tutti i videogiocatori e che, com’era prevedibile, nasconde al suo interno il fratello di Joel, oramai sistematosi insieme alla compagna, in dolce attesa, in un insediamento a dir poco idilliaco all’interno del quale sembrano essere tornate pace e tranquillità, quantomeno rispetto al caos sperimentato dai protagonisti nel corso del loro viaggio on the road.
Trattandosi dell’episodio che precede “Left Behind“, puntata sicuramente dedicata in maniera esclusiva alla storia narrata nell’omonimo DLC, il quale alterna momenti del passato di Ellie a momenti avvenuti off screen nel corso della trama principale del videogioco, era lecito chiedersi fino a che punto della storia ci si sarebbe spinti con “Kin”. Col senno di poi, la riposta appare estremamente banale: esattamente poco prima dei suddetti avvenimenti off screen aventi come protagonista proprio la piccola Ellie.
Si sceglie quindi di unire le due opere nel modo più ovvio, inserendo il settimo episodio, quasi certamente dedicato per intero alla ragazzina, esattamente nel momento in cui avrebbe dovuto verificarsi nell’opera madre.
Tommy: “What the fuck you doin’ here?”
Joel: “I came here to save you.”
Un po’ com’è stato per la parentesi relativa a Kathleen, personaggio ideato per dare uno “scopo” a Henry e Sam, nel gioco mai veramente approfonditi nel dettaglio per quanto riguarda il loro background, anche qui si decide di operare cambiamenti sostanziali, aggiungendo o modificando la storia rispetto all’originale per conferire maggiore profondità a personaggi che nel videogioco accompagnavano il giocatore sì per più tempo, ma solo perché inseriti all’interno di ore e ore di gameplay spesso passate a rigiocare lo stesso pezzo morendo decine di volte.
Le modalità con le quali si arriva al grave ferimento di Joel sono decisamente differenti, quantomeno in termini di teatralità rispetto alla ben più cruda sequenza originale, ma il risultato, bene o male, è sempre lo stesso. Proprio nel momento in cui la corazza di Joel comincia a sgretolarsi rivelando il suo piccolo cuoricino cremoso, ecco arrivare il solito malintenzionato a tradimento a rovinare il tenero quadretto familiare.
Impeccabile questa volta la trasposizione degli hunters, identici nel vestiario e nelle movenze a quelli della controparte videoludica e altrettanto impeccabile la messa in scena dell’uccisione del malcapitato da parte di Joel, anch’essa realizzata a immagine e somiglianza del videogioco.
QUALITÀ, NON QUANTITÀ
Volendo guardare a The Last Of Us in termini di show televisivo a tema post-apocalittico che usa lo scenario della pandemia globale solo come pretesto per raccontare storie di esseri umani, la mente non può che andare in direzione di un altro show purtroppo molto più popolare di questo: The Walking Dead. Senza perdere troppo tempo a piangere sulle ceneri della prima stagione del telefilm di casa AMC o della progressiva caduta in disgrazia di un personaggio epico com’era il Negan degli esordi, il paragone risulta lampante. Altrettanto lampante è la ragione alla base del successo di un prodotto di questo genere, incentrato principalmente sui sopravvissuti e le loro turbe emotive piuttosto che sull’infezione che ha scalzato l’essere umano dal suo trono: la durata della storia.
E infatti la prima stagione di TWD, la migliore, aveva solo 6 episodi. Qualità, non quantità.
L’immediatezza, sebbene percepita da alcuni amanti dell’opera videoludica originale come semplice fretta, è ciò che distingue un prodotto con coordinate e intenzioni specifiche, da un prodotto stanco che si trascina faticosamente per venti puntate a stagione ammorbando il suo pubblico con storie banali e pompose, spesso riguardanti personaggi di passaggio e con i quali è impossibile empatizzare.
In sole sei puntate, Bella Ramsey e Pedro Pascal hanno letteralmente dato vita a due personaggi così ben caratterizzati da risultare reali, tangibili. Il loro rapporto si sviluppa rapidamente, questo è vero, ma non per questo l’effetto su chi guarda perde d’intensità. Certo il ripensamento di Joel in merito alla “custodia” di Ellie, senza la fuga a cavallo della ragazzina e il relativo bagno di sangue compiuto dai due fratelli (come accadeva nel videogioco), appare un pochino più a cazzo di cane improvviso di quanto dovrebbe essere. Ma d’altronde non si può avere tutto dalla vita.
ANCHE I JOEL HANNO SENTIMENTI
Joel: “I was so afraid. You think I can still handle things but I’m not who I was. I’m weak. […] I’m just gonna get her killed. I know it. I have to leave her.“
The Last Of Us non è certo una serie che ci va giù piano quando si tratta di mettere in scena situazioni drammatiche. Nessuno è al sicuro, tutti sono costantemente terrorizzati e pronti a lottare con tutti i mezzi pur di salvarsi la pelle, e perfino l’individuo più stoico e distaccato può iniziare a nutrire, sempre molto timidamente, delle speranze circa il futuro.
Emblematica in tal senso la domanda di Ellie in merito ai piani futuri nel caso si riuscisse effettivamente a sintetizzare una cura, a cui Joel risponde prima con il suo progetto di diventare un pastore, e poi riprendendo la citazione del gioco in merito al sogno di diventare cantante. Oltre che simbolo di un rapporto che si sta lentamente saldando, questo siparietto serve a ricordare la fragilità di Joel, cinquantenne mezzo sordo che ogni giorno, da più di trent’anni, lotta per la sopravvivenza, e che ora deve anche proteggere la “chiave” per la salvezza dell’umanità da orde di infetti e malintenzionati.
Joel per la prima volta si apre completamente, mettendo a nudo le sue paure di fronte allo sguardo impietrito di Tommy. L’uomo sente il peso dell’età e della responsabilità nei confronti di Ellie, ancor prima che nei confronti dell’intera razza umana, e non vuole che l’incubo vissuto con la figlia Sarah si ripeta di nuovo. La paura di deludere Ellie, fallendo nel compito di proteggerla – stavolta come si fa con una figlia e non con della semplice merce – porta Joel ad avere attacchi di panico e momenti di “paralisi” momentanea che lo riportano con la mente al momento dell’uccisione della figlia.
Ellie: “Everybody I have cared for has either died or left me. Everybody, fucking except for you! So don’t tell me that I’d be safer with somebody else because the truth is I would just be more scared.“
Naturalmente, dall’altra parte, Ellie si sente tradita, abbandonata per l’ennesima volta dall’unica persona al mondo a cui sente di voler bene. Seguendo pedissequamente i dialoghi del videogioco, Ellie cerca di far capire a Joel che lei e Sarah non sono la stessa persona e, ovviamente, la risposta di Joel si traduce nel solito tentativo burbero di evitare l’argomento chiudendosi a riccio ed emettendo insulti a mezza bocca.
Come già detto, il dietrofront di Joel appare un po’ frettoloso, forse perché avvenuto nella sequenza immediatamente successiva, quando invece si poteva creare più spazio tra i due avvenimenti dando a Joel il tempo (scenico) di poter tornare sui suoi passi in maniera più coerente rispetto alla testardaggine del character. Ad ogni modo, la sequenza in cui l’uomo “dà una scelta” a Ellie, che non ci pensa mezzo secondo prima di riprenderlo con sé, riesce comunque a suscitare un’incredibile tenerezza a prescindere dal repentino cambio di prospettiva di Joel.
E prepara inoltre il terreno per il tragico finale, reso ancor più drammatico – se possibile – da questo piano totale che antepone la calma e la pace di uno scenario innevato in pieno stile Fargo al dramma profondo vissuto da Ellie, che ora dovrà mettere in pratica tutto ciò che ha imparato finora da Joel per avere anche solo una piccola speranza di arrivare a destinazione ancora in sua compagnia.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Neil Druckmann ha portato le idee e Craig Mazin le ha sapute trasporre sapientemente sul piccolo schermo adattandole in maniera perfetta ad un medium completamente differente da quello di partenza. Un lavoro non semplice, e basti cercare “Film basati su videogiochi” su Wikipedia per trovare decine e decine di conferme a questo assunto solo apparentemente banale. Ed è proprio grazie a questo perfetto equilibrio autoriale che The Last Of Us rappresenta, almeno finora, il prototipo ideale di ciò che dovrebbe essere un “adattamento di un’opera”, inteso qui nel significato più ampio del termine e non soltanto in campo prettamente videoludico.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.