È di questi giorni la notizia che Winning Time avrà un’uscita anche in Italia (2 giugno la data) grazie alla collaborazione fra HBO e Sky.
Si raccomanda caldamente la visione di quella che, a tutti gli effetti, è uno dei prodotti più freschi ad avvincenti di questo 2022, come dimostra questo season finale dall’alto tasso di emozioni.
Per gli appassionati di pallacanestro (ma anche no) la puntata in questione non riserva alcuna sorpresa dal punto di vista della trama. Nel senso che il Campionato NBA 1980 viene vinto dai Los Angeles Lakers, com’è avvenuto effettivamente nella realtà.
Il senso dell’episodio è piuttosto quello di riflettere sul significato nascosto di questa vittoria, nonché dell’intero show in questione. E di cominciare a porre le basi per le successive stagioni, il tutto in un crescendo di tensione emotiva che esplode nel finale, così malinconico e così epico allo stesso tempo.
GENERAZIONE DI ROOKIE
Il racconto del Campionato 1979-1980 dei Los Angeles Lakers è quello di una generazione di rookie che ha cambiato la storia di questo sport. I rapporti padri-figli e il cambio generazionale è dunque il leitmotiv che accompagna i vari percorsi di formazione presenti in tutta la narrazione. Questa si conclude con l’accettazione (e la vittoria) del “nuovo” sul “vecchio” con la visione di Jerry Buss (uno straordinario John C. Reilly) che si prende la sua rivincita nei confronti dei detrattori e degli scettici.
Un racconto dunque molto “americano” nella sua epica sportiva, che non tralascia comunque di mostrare uno spaccato anche sociale degli USA di quegli anni, fra questioni femministe (il rapporto fra Jerry e Jeanie e fra quest’ultima e Claire) e razziali.
Ogni storyline presente raggiunge dunque il proprio compimento seguendo tale schema. Si consolida dunque il duo Paul Westhead-Pat Riley che da semplici vice-allenatori diventano gli artefici di tale successo. E raggiunge il suo compimento anche il personaggio di Kareem-Abdul Jabbar (un intenso Solomon Hughes) che regala un inedito ed interessante punto di vista, quello della “vecchia guardia” che si ricrede sul rookie (Magic Johnson), nonché di chi è costretto (non per sua volontà) a seguire la partita “dietro le quinte” pur facendo parte della squadra. Proprio per questa sua condizione si crea inoltre un legame particolare fra questo e l’altro “figliol prodigo” della squadra, Spencer Haywood (Wood Harris) che culmina nella scena, dall’alto tasso emotivo, dell’abbraccio finale tra i due. Nessuno dunque viene lasciato indietro in questo racconto corale di cui fanno parte anche i semplici tifosi che da casa guardano la finale, meravigliosamente rappresentati tramite split screen.
FOTOGRAFIA E REGIA DA OSCAR
Anche quest’ultimo episodio infatti, come i precedenti, si sbizzarrisce dal punto di vista tecnico-registico sotto la sapiente guida di Salli Richardson-Whitfield. La regista di The Gilded Age e The Wheel Of Time si dimostra a suo agio anche in questa nuova produzione “storica”.
Oltre alle solite scene sgranate e vintage, sono da ammirare le sequenze delle partite, ricostruite in ogni singolo aspetto. Per lo spettatore è come assistere ad una vera e propria partita di basket, con tanto di momenti-chiave che non possono mancare (lancio iniziale della palla, falli e tiri liberi) che acquistano un significato molto preciso all’interno della narrazione. I “plot twist” del match diventano dunque simbolici poiché portano con sé un corrispettivo della vita reale. Così per Magic Johnson l’azione finale (che sancisce il risultato della partita) lo riporta all’infanzia in Indiana e agli insegnamenti del padre. Il tutto mentre il solito Jerry West accompagna le azioni con i suoi soliti borbotti ed imprecazioni. Ed è sicuramente la parte migliore di tutta questa sequenza (anche se il vero Jerry West avrebbe da ridire al riguardo), con uno straordinario Jason Clarke nel ruolo di “linea comica” dello show, necessaria per alleggerire la drammaticità e la suspense sempre presenti e quindi conferire un buon ritmo narrativo al tutto.
CONCLUSIONI
Winning Time: The Rise Of The Lakers Dinasty si configura come una grande affresco epico-sportivo che racconta uno spaccato d’America molto preciso ed accurato. L’effetto nostalgia è voluto e rimarcato, quasi a voler rimpiangere un’età dell’oro in cui anche questi piccoli miracoli sportivi potevano avere un impatto sulla società. La vicenda di Jerry Buss, Magic Johnson e soci in fondo vuole raccontare soprattutto questo: come anche degli “outsider” possono diventare campioni nonostante le avversità e il parere contrario della maggioranza.
Una filosofia prettamente americana (e molto retorica a dirla tutta) che però riesce nell’intento di emozionare lo spettatore.
Sebbene il racconto sia corale non c’è dubbio che il protagonista principale sia Earvin “Magic” Johnson (interpretato, non a caso, dall’altrettanto “rookie” Quincy Isaiah). Il suo percorso di formazione è quello più interessante poiché è anche quello che, nell’ottica di una seconda stagione, potrebbe essere più divisivo per la squadra (soprattutto per il rapporto privilegiato che si viene a creare con il futuro commissioner NBA David Stern).
Ci sono tutti i presupposti dunque perché questa stagione non si concluda ma possa, invece, essere solo l’inizio per un grande racconto capace di interessare non solo i fan della pallacanestro ma, in generale tutti gli amanti delle buone serie tv.
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Winning Time conclude degnamente la sua prima stagione con la vittoria sul campo dei Los Angeles Lakers nel 1980 e con la vittoria morale della critica e del pubblico che ha potuto godere di una delle migliori serie del 2022, dimostrando ancora una volta la grande qualità delle produzioni HBO.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!