L’ultimo episodio portava con sé quella eccitante ed elettrica sensazione da “quiete prima della tempesta”, dove il criptico “perché sai quello che sta per succedere” pronunciato da Kim al marito Saul lasciava intendere una svolta imminente. Il piano dei due protagonisti, ai danni di Howard, rispecchia in toto la scrittura di Gilligan e l’impronta (magistrale) della serie: la cura estrema dei dettagli, il rispetto assoluto dei tempi, dei modi, in cui tutto ha un motivo per essere mostrato, incastrandosi alla perfezione in un piano (e una narrazione) più grande. E dove però, come insegna il finale, un solo imprevisto potrebbe mandare l’intera impalcatura in frantumi, e nel caso di Gilligan, in maniera decisamente spettacolare. Per ora, intanto, abbiamo un nome, una data, sempre più vicina, quel “D-Day” che Saul e Kim pronunciano ad inizio episodio, come riferimento diretto per la loro lunga e agognata vendetta.
ROAD TO D-DAY
In Better Call Saul, ormai è acclarato, più che le parole sono i silenzi, i gesti, le piccole azioni a definire un personaggio. E nel mondo disegnato da Vince Gilligan, sembra che la cura maniacale per l’“ordine” sia prerogativa dei villain. È così per Gus Fring, già dai tempi di Breaking Bad, vale lo stesso per Howard Hamlin. La sua preparazione certosina del caffè si scontra con il “caos”, seppur classy a detta di un’imbarazzata Kim, dell’ufficio di Saul, dove addirittura uno dei clienti arriva ad urinare in una fontana. È anche la rappresentazione della trasformazione di Kim, che nella sua presentazione nelle stagioni iniziali, era lo specchio dell‘immagine pulita e senza macchia della HHM, in cui le sigarette e le birre consumate all’aperto in compagnia di Jimmy erano la sua recondita valvola di sfogo, prima che via via abbracciasse la “corruzione” del compagno, a tutti i livelli. Quel caffè è, allo stesso tempo, come svela il finale della sequenza, anche un modo per indurre dell’empatia nello spettatore nei confronti di Howard, che vede tutti i suoi sforzi ignorati dalla moglie, sintomo di un rapporto palesemente (anche a parole) deteriorato. Per questo, quasi a ricordare la differenza sostanziale tra loro, l’origine “legittima” del suo rancore, lo scambio in tribunale che Kim ha con Clifford è preannunciato proprio da un caffè, ordinario se non mediocre, consumato dal distributore del tribunale. È in fondo proprio questa differenza a catturare l’ammirazione di Clifford, il suo allontanamento da un mondo che, come da lei stessa confessato, l’ha formata, a cui deve tutto. Ed è il segreto del suo piano, del fatidico D-Day, perché lei più di ogni altro conosce perfettamente ciò che accade nel luccicante palazzo di Omaha Beach. In quel brindisi condiviso con Jimmy, al sapore di vendetta, pregusta allora la vittoria dell’autentico caos sull’ipocrita e meschino ordine, nel tentativo di batterlo, punirlo al suo stesso gioco.
AXEL-ALO
Anche Lalo Salamanca non è esente dal simbolismo “materiale” di Gilligan. L’attesa, il silenzio, la pianificazione, sono anche le sue armi, nonché il motore della sua storyline, che nutre della sua assordante e persistente assenza tutte le altre (quella di Mike, e della sua sorveglianza protettiva a sua nipote, in primis), infarcendole delle atmosfere più “horror” e spaventose della serie. Ma la sua vera pericolosità e micidiale differenza sta nella sua spietata e fredda gestione del caos. Lalo non lo rifugge, non lo teme, lo domina. È così che è scampato miracolosamente all’attentato organizzato da Fring, è ciò che continua a farlo sopravvivere, anche in questo caso, quando nonostante la costola rotta e un’accetta puntata inesorabile verso di lui, riesce ancora una volta a ribaltare la situazione a suo vantaggio, a far sua proprio quell’arma. Fring e Mike lo sanno bene ed è per questo che hanno così tanta paura di lui. Una capacità straordinaria, nonché la sfida finale che tocca anche a Kim e Saul, i quali, come anticipato, nel finale d’episodio devono vedersela col primo e probabilmente più importante intoppo nel loro piano perfetto.
“A TASTE OF TEQUILA?”
“Axe And Grind” può dirsi allora uno degli esempi più lampanti dello stile del suo autore. La circolarità con cui si apre e chiude l’episodio, riguardante la vita di Kim e la scelta, improvvisa e apparentemente impulsiva che compie sul finale, ne è infatti una delle rappresentazioni massime. Personaggio chiave dell’intera serie, in una sola puntata si può assistere all’origine e al climax del percorso delle due anime di Kim Wexler.
Da quando da bambina era la protagonista delle truffe di sua madre, passando per il periodo alla Hamlin, a cui appunto “deve tutto” e che evidentemente le ha dato la possibilità per arrampicarsi socialmente e quindi allontanarsi da quella vergogna infantile. Una repulsione che, grazie a Saul, ha invece imparato ad abbracciare e a far sua. Un concetto sempre presente, se non proprio fondante, nella scrittura di Gilligan è che il cammino di ogni suo protagonista, da Walter White a Jimmy McGill, consiste nel venire a patti con se stessi, con la propria reale natura “oscura”, invece che rifiutarla e celarla agli occhi degli altri. Heisenberg è sempre stato dentro Walter, così come Saul in Jimmy. Con questo capitolo, l’autore chiarisce che anche Kim è “ufficialmente” della loro medesima caratura, ossia che anche la sua trasformazione è stata solo di facciata e che “Kimmy” è stata solo nascosta per tanto, troppo tempo. Con quell’inversione di marcia, allora, con l’abbandono dell’ultima possibilità di “elevazione morale”, si registra anche per la donna il definitivo punto di non ritorno.
Il mezzo di Gilligan per esprimere sullo schermo tale incredibile e studiata circolarità, si è capito, sono gli oggetti. In questo caso rispunta, ancora una volta, la bottiglia di Zafiro Añejo, vero leitmotiv della serie, supremo MacGuffin della storia di Saul e Kim. È apparsa con la prima truffa insieme architettata dai due protagonisti nella seconda stagione, per ripresentarsi quando Jimmy vuole festeggiare con lei la causa con la Sandpiper, ma Kim sarà coinvolta nel terribile incidente d’auto. Finiscono col berla insieme, sì, ma solo dopo la morte di Chuck, in modalità quindi tutt’altro che celebrativa. Quando la donna lascia la Schweikart & Cokely per concentrarsi esclusivamente sull’essere un avvocato d’ufficio, si porta via il riconoscibile (e “pericoloso”, a detta del negoziante) tappo come simbolico souvenir di questa importantissima svolta. Ed ecco, infine, lo stesso tappo ricomparire all’inizio di questa stagione, abbandonato sull’asfalto, mentre coloro che sembrano essere funzionari governativi confiscano i beni di Saul. Come mostra il cliffhanger finale di puntata, una bottiglia “maledetta”, insomma, che non è ancora pronta per essere stappata, almeno non per brindare ad un lieto fine tanto atteso. E a questo punto, chissà se lo sarà mai.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Dal titolo del prossimo episodio, “Plan And Execution”, che non a caso sarà anche l’ultimo di questa prima parte (per la seconda si dovrà aspettare, sul Netflix italiano, il 12 luglio), si capisce che il climax narrativo è pronto ad esplodere. In tal senso, si potrebbe definire “Axe And Grind” come l’ennesimo episodio preparatorio, quindi, ma sarebbe ingeneroso per la minuziosa scrittura di Gilligan, dove, come approfondito proprio in questa recensione, la preparazione stessa è parte integrante della storia. Ed è al solito meravigliosamente sublime.
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.