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Space Force 1×06 – The SpyTEMPO DI LETTURA 6 min

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Dopo cinque episodi di ordinaria introduzione, questa prima stagione di Space Force sforna il suo personale giro di boa con la puntata, non a caso, più corale di tutte. In “The Spy” praticamente quasi la totalità dei protagonisti viene, in un modo o nell’altro, chiamata in causa, regalando così l’opportunità di poter tirare le prime somme sulla serie e poter bilanciare più lucidamente tanto i suoi pregi quanto (e soprattutto, purtroppo) i suoi difetti.
Innanzitutto, ad emergere positivamente sono quegli elementi di continuità che ormai sono diventati caratteristici all’interno della serie, a partire da quel Presidente degli Stati Uniti mai nominato per un dichiarato principio di universalità e atemporalità dell’ambientazione (anche discutibile, va detto, visti gli espliciti riferimenti ai ben conosciuti “vezzi” di Donald Trump, si pensi anche solo alla storyline del suo compleanno), passando per la romance tra Erin e il “sempliciotto” soldato Duncan, fino alla stavolta tanto “desiderata” moglie di Mark Naird, la cui vicenda resta ancora un mistero (pur registrando un lieve accenno al motivo della sua condanna, che a detta di Mark non sarebbe affatto di poco conto). Ma naturalmente è la famigerata “spia” nella base a diventare centrale nella trama, dopo aver visto Baxter e Yuri comportarsi “sospettosamente” (per usare un eufemismo) nei precedenti episodi, rendendo quindi quella che sembrava solo una gag un fatto concreto e reale.
La ricerca della spia, d’altro canto, non è solo il pretesto per far partecipare tutti gli “abitanti” della base militare, ma è soprattutto l’ennesimo banco di prova per il rapporto Mallory/Naird, vero filo conduttore dello show ed in continua evoluzione, adesso più saldo che mai dopo la vittoria comune perpetrata in “Space Flag”. Difatti è con la loro dichiarazione di “fiducia” reciproca alla giornalista che si apre l’episodio, introducendo quindi subito il proprio tema fondante, che trova il suo culmine col “tradimento” da parte di Mark, ossia l’involontaria messa a berlina del partner e della sua romantica dedica di San Valentino a Jerome (personaggio già conosciuto in “Lunar Habitat”). Proprio i rispettivi amori “a distanza” sono invece l’ulteriore elemento in comune che alla fine avvicinerà i due, nonostante tutto, con quell’intesa tra Kelly e Mark (che trova la sua conferma dopo quel fugace dialogo avuto in “Space Flag”), rifiutata però dal protagonista per non “tradire”, appunto, la moglie detenuta. Se per quanto riguarda il personaggio di Kelly forse l’inserimento è stato un po’ troppo tardivo (più che altro per giustificare questa evidente chimica, per ora solo suggerita “a forza” dagli autori), il confronto finale tra Naird e Mallory vale probabilmente l’episodio. Ognuno riconosce i propri errori e al tempo stesso comprende i malinconici sentimenti dell’altro, senza particolari dichiarazioni, con Mark che addirittura tenta di prendere esempio dall’amico con una “serenata telefonica” alla propria consorte (e quel oh, God. I’m so horny in chiusura, davvero incredibile, è infine la ciliegina sulla torta).

 

“Best boss I ever had”. 

 

Passando alle note dolenti, come anticipato con il “caso” di Kelly, ci sono invece tutt’altre situazioni che sembrano remare contro la continuità narrativa e dalle quali si evince una certa superficialità generale, tanto che per esempio la trama centrale della “spia” si risolve (e va purtroppo detto, ancora una volta) in un nulla di fatto, liquidata con una battuta. Uno dei tanti sintomi che il lavoro di Daniels & Carrell non è brillante come ci si poteva attendere, specie ricordando il livello di cura dei dettagli, di ogni singolo personaggio, fino ad un certosino lavoro sullo storytelling, che aveva elevato The Office nell’olimpo della comicità. A proposito di quest’ovvio confronto, l’eventuale “alibi” della naturale assenza di Ricky Gervais e Stephen Merchant (autori dello show originale) lascia il tempo che trova, basti pensare a come era molto più elaborata e incisiva la storia tra Michael Scott e Holly Flax, pur con lo stesso basso minutaggio e, per di più, costruita in un tempo tanto dilatato (di cui l’originale britannico, di sole due stagioni, per forza di cose non si può certo fregiare).
Ritornando quindi al discorso di apertura, “The Spy”, proprio nella sua coralità, arriva ad evidenziare  le diverse mancanze della serie perché tutte le sue gag e battute, già modeste di per sé, non trovano neanche una possibile esaltazione dai rispettivi interpreti, a fronte di una scrittura dei personaggi piuttosto blanda, se non poco originale. La “fastidiosa” impressione, a tal proposito, è che siano stati confezionati, a posteriori, a misura dei loro stessi interpreti, prendendo “in prestito” i loro precedenti ruoli più famosi o riusciti. Basti pensare alla “strana coppia” di questa puntata: Ben Schwartz/F. Tony è allora il Jean Ralphio di Parks and Recreation; così come il Dr. Chan di Jimmy O. Yang è una versione più estroversa, ma altrettanto saccente e sferzante, del Jian-Yang di Silicon Valley.
Ma anche pensando ai due “mostri sacri” c’è poco di cui gioire. Se John Malkovich resta una garanzia di maestria e presenza scenica, c’è comunque poco di memorabile, specie dopo averne già abbondantemente ammirato la straordinaria capacità di variazione dei registri drammatici, tra Paolo Sorrentino, Spike Jonze e i fratelli Coen (per citarne giusto alcuni). Ben più inspiegabile, invece, è il “ritorno alle origini” (se non proprio passo indietro) di Steve Carell, con un Mark Naird che pur con delle ovvie differenze, ha davvero troppi elementi in comune col suo iconico Michael Scott; ancor più importante, considerata poi la sua ultima fase di carriera a dir poco luminosa, passata appunto a discostarsi dal suo ruolo più celebre, con vette di intensità e di assoluta bravura uniche, a partire da A Beatiful Boy fino alle ancor più incredibili collaborazioni con Richard Linklater (Last Flag Flying) e Richard Zemeckis (Benvenuti a Marwen). Certo, va anche detto che il fattore “novità” non è da considerarsi una prerogativa sempre dovuta, anzi, ben venga il tentativo di ricreare (anche con piacevole nostalgia) le atmosfere dei fasti passati, ma se questa rischiosa scelta non viene poi retta da una scrittura degna o, comunque, dal livello che dovrebbe competere a simili talenti, forse c’è davvero poco da salvare.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • “Oh, God. I’m so horny”
  • Le due serenate di Mallory e Naird ai rispettivi amori “lontani” 
  • La consolidata crescita del rapporto tra i due protagonisti 
  • La “spia”: da divertente gag a realtà seria e concreta 
  • Erin/Duncan: nella loro semplicità, la romance più intrigante e genuina 
  • Una puntata corale (nel bene) 
  • Una puntata corale (nel male) 
  • La “spia”: un nulla di fatto 
  • L’introduzione di Kelly, un po’ troppo tardiva 
  • La coppia Chad/Tony: sa tutto di già visto 
  • L’unica vera battuta memorabile arriva solo nell’ultimo secondo di puntata 
  • Se neanche due fuoriclasse assoluti come Carell e Malkovich riescono ad elevare (almeno quanto dovrebbero) il livello della serie, la delusione può dirsi quantomeno acclarata

 

“The Spy” è il primo giro di boa della serie di Greg Daniels e Steve Carrell, capace di far registrare il raggiungimento di una positiva familiarità con il suo stile e con i suoi protagonisti, mettendo però a nudo, allo stesso tempo, tutto ciò che non sta funzionando. Superata, quindi, la metà della stagione ci si può forse sbilanciare ed affermare che, senza dubbio, ci si aspettava di più.

 

Space Flag 1×05 ND milioni – ND rating
The Spy 1×06 ND milioni – ND rating

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