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Uno dei topoi più noti, abusati e tuttavia ricchi di potenzialità della science fiction è la ribellione delle macchine. Che si tratti di computer avanzatissimi come HAL 9000 e Skynet o di androidi come quelli di Westworld, l’idea che le nostre creazioni artificiali acquisiscano coscienza e decidano di farci fuori è radicata nel genere fantascientifico e nell’immaginario collettivo; lo dimostra anche la tendenza a ingigantire in maniera inutilmente allarmante notizie riguardanti robot di Facebook che parlano in una lingua a noi sconosciuta o presunte profezie di Google Translate sulla fine del mondo.
Con “Project Daedalus”, episodio che vede tra le altre cose il ritorno in scena dell’ammiraglio Cornwell, anche Star Trek: Discovery decide di dotarsi del proprio supercomputer impazzito e omicida, candidato numero uno al ruolo di potenziale minaccia per la vita biologica dell’intera Galassia vista da Spock nelle sue visioni. Scelta saggia, foriera di intriganti scenari nelle prossime settimane? Pigro adeguamento a un luogo comune della fantascienza per non inventarsi una nuova tipologia di avversario? È troppo presto per dirlo. Le potenzialità del tema sono tantissime, anche dopo decenni e decenni di fantascienza in cui sono state abbondantemente sviscerate, e il vero pericolo risiede semmai in quella superficialità nella scrittura che già in altre occasioni ha sciupato malamente spunti di riflessione notevoli, come il rapporto tra religione e fede in “New Eden”.
L’imperizia degli sceneggiatori appare del resto più che evidente quando si guarda alla gestione del personaggio di Airiam, vera protagonista del nono episodio. L’approfondimento sul personaggio, affidato a rapidi flash sul suo passato e a piccole ma efficaci scene sulla sua quotidiana routine di selezione dei ricordi da mantenere o da cancellare, è tutt’altro che spregevole e riesce a rendere accettabilmente sullo schermo la natura ibrida, a metà tra la fredda macchina e l’umana capace ancora di provare affetto, della scintillante tenente comandante. I problemi sono ben altri. Airiam è una figura che per una stagione e mezza è stata relegata sullo sfondo della narrazione, una comparsa che se ne stava in silenzio (o quasi) mentre Michael, Tyler, Stamets, Tilly, Saru, Lorca, la Georgiou e poi anche Pike e Spock si godevano le luci del palcoscenico. Concederle più spazio e addirittura la centralità in un episodio è una scelta saggia e lodevole, che andrebbe replicata il prima possibile anche con altri membri dell’equipaggio della USS Discovery; ma farne la protagonista di un dramma mortale che vorrebbe toccare il cuore dello spettatore è una battaglia persa già in partenza, proprio perché chi segue la serie non ha mai avuto, per colpa della scrittura e della sceneggiatura, modo di affezionarsi alla cyborg. Pensiamo a quanto successo in “An Obol for Charon”: lì la vicenda della malattia e della quasi-morte di Saru risultava tremendamente coinvolgente dal punto di vista emotivo perché riguardava uno dei personaggi meglio delineati della serie e c’era già parecchia empatia pregressa tra lo spettatore e il Kelpiano; per questo ci si dispiaceva sinceramente all’idea che il primo ufficiale potesse morire.
Con Airiam si è cercato di correre ai ripari troppo tardi, di darle uno striminzito background e di delinearne alcune elementari relazioni umane con altri membri della Discovery solo nello stesso episodio in cui è uscita di scena: il risultato finale è che invece di versare una lacrimuccia, lo spettatore probabilmente sbadiglierà annoiato e mormorerà un “embé?” alla vista della donna-robot fluttuante nello spazio. O forse avrà ancora il volto coperto da un facepalm di picardiana memoria dopo la scontatissima risoluzione dello stallo tra Michael e Airiam ad opera del terzo incomodo che fino a cinque secondi prima giaceva privo di sensi e di respiratore. O ancora, starà ridendo a crepapelle per le espressioni involontariamente ridicole che la Martin-Green sembra tenere in serbo appositamente per le scene di maggior pathos, mandando all’aria coi suoi primi piani tutta la drammaticità dell’addio di Airiam. Sempre che la donna di latta non venga recuperata in qualche modo, visto che le resurrezioni sembrano il punto forte di Star Trek: Discovery.
Ben più convincente è il lavoro fatto sul personaggio di Spock. La crisi della sua intera visione del mondo si esterna in atteggiamenti provocatori, azioni totalmente illogiche (come ad esempio le mosse nella partita di scacchi) e scatti di rabbia che sono quanto di più lontano dall’immagine tradizionale del vulcaniano compassato e dominato dalla logica, ma che nel contempo sono credibilissimi se si tiene conto di cosa sta passando il povero mezzo-umano. Il rapporto con Michael, lungi dall’essersi risolto dopo i chiarimenti su Talos IV, continua a essere complicato e disfunzionale, culminando in un serrato scontro verbale fatto di botte e risposte, di violenti attacchi del vulcaniano e di maldestri tentativi della sorellastra di negare la propria tendenza ad auto-accusarsi di tutto il male che le accade intorno, invece di accettare la pura e semplice realtà. Ed Ethan Peck, che sulle prime non aveva avuto modo di sfoggiare più di tanto la propria recitazione perché costretto in uno stato confusionario, settimana dopo settimana si sta rivelando col suo Spock un degno erede di Leonard Nimoy, decisamente più di quello filmico di Zachary Quinto. Forse è ancora presto per dirlo, ma i timori su una gestione pasticciata e inguardabile del personaggio più iconico di Star Trek stanno lentamente svanendo come neve al sole; speriamo che non arrivi un’improvvisa gelata.
Con “Project Daedalus”, episodio che vede tra le altre cose il ritorno in scena dell’ammiraglio Cornwell, anche Star Trek: Discovery decide di dotarsi del proprio supercomputer impazzito e omicida, candidato numero uno al ruolo di potenziale minaccia per la vita biologica dell’intera Galassia vista da Spock nelle sue visioni. Scelta saggia, foriera di intriganti scenari nelle prossime settimane? Pigro adeguamento a un luogo comune della fantascienza per non inventarsi una nuova tipologia di avversario? È troppo presto per dirlo. Le potenzialità del tema sono tantissime, anche dopo decenni e decenni di fantascienza in cui sono state abbondantemente sviscerate, e il vero pericolo risiede semmai in quella superficialità nella scrittura che già in altre occasioni ha sciupato malamente spunti di riflessione notevoli, come il rapporto tra religione e fede in “New Eden”.
L’imperizia degli sceneggiatori appare del resto più che evidente quando si guarda alla gestione del personaggio di Airiam, vera protagonista del nono episodio. L’approfondimento sul personaggio, affidato a rapidi flash sul suo passato e a piccole ma efficaci scene sulla sua quotidiana routine di selezione dei ricordi da mantenere o da cancellare, è tutt’altro che spregevole e riesce a rendere accettabilmente sullo schermo la natura ibrida, a metà tra la fredda macchina e l’umana capace ancora di provare affetto, della scintillante tenente comandante. I problemi sono ben altri. Airiam è una figura che per una stagione e mezza è stata relegata sullo sfondo della narrazione, una comparsa che se ne stava in silenzio (o quasi) mentre Michael, Tyler, Stamets, Tilly, Saru, Lorca, la Georgiou e poi anche Pike e Spock si godevano le luci del palcoscenico. Concederle più spazio e addirittura la centralità in un episodio è una scelta saggia e lodevole, che andrebbe replicata il prima possibile anche con altri membri dell’equipaggio della USS Discovery; ma farne la protagonista di un dramma mortale che vorrebbe toccare il cuore dello spettatore è una battaglia persa già in partenza, proprio perché chi segue la serie non ha mai avuto, per colpa della scrittura e della sceneggiatura, modo di affezionarsi alla cyborg. Pensiamo a quanto successo in “An Obol for Charon”: lì la vicenda della malattia e della quasi-morte di Saru risultava tremendamente coinvolgente dal punto di vista emotivo perché riguardava uno dei personaggi meglio delineati della serie e c’era già parecchia empatia pregressa tra lo spettatore e il Kelpiano; per questo ci si dispiaceva sinceramente all’idea che il primo ufficiale potesse morire.
Con Airiam si è cercato di correre ai ripari troppo tardi, di darle uno striminzito background e di delinearne alcune elementari relazioni umane con altri membri della Discovery solo nello stesso episodio in cui è uscita di scena: il risultato finale è che invece di versare una lacrimuccia, lo spettatore probabilmente sbadiglierà annoiato e mormorerà un “embé?” alla vista della donna-robot fluttuante nello spazio. O forse avrà ancora il volto coperto da un facepalm di picardiana memoria dopo la scontatissima risoluzione dello stallo tra Michael e Airiam ad opera del terzo incomodo che fino a cinque secondi prima giaceva privo di sensi e di respiratore. O ancora, starà ridendo a crepapelle per le espressioni involontariamente ridicole che la Martin-Green sembra tenere in serbo appositamente per le scene di maggior pathos, mandando all’aria coi suoi primi piani tutta la drammaticità dell’addio di Airiam. Sempre che la donna di latta non venga recuperata in qualche modo, visto che le resurrezioni sembrano il punto forte di Star Trek: Discovery.
Ben più convincente è il lavoro fatto sul personaggio di Spock. La crisi della sua intera visione del mondo si esterna in atteggiamenti provocatori, azioni totalmente illogiche (come ad esempio le mosse nella partita di scacchi) e scatti di rabbia che sono quanto di più lontano dall’immagine tradizionale del vulcaniano compassato e dominato dalla logica, ma che nel contempo sono credibilissimi se si tiene conto di cosa sta passando il povero mezzo-umano. Il rapporto con Michael, lungi dall’essersi risolto dopo i chiarimenti su Talos IV, continua a essere complicato e disfunzionale, culminando in un serrato scontro verbale fatto di botte e risposte, di violenti attacchi del vulcaniano e di maldestri tentativi della sorellastra di negare la propria tendenza ad auto-accusarsi di tutto il male che le accade intorno, invece di accettare la pura e semplice realtà. Ed Ethan Peck, che sulle prime non aveva avuto modo di sfoggiare più di tanto la propria recitazione perché costretto in uno stato confusionario, settimana dopo settimana si sta rivelando col suo Spock un degno erede di Leonard Nimoy, decisamente più di quello filmico di Zachary Quinto. Forse è ancora presto per dirlo, ma i timori su una gestione pasticciata e inguardabile del personaggio più iconico di Star Trek stanno lentamente svanendo come neve al sole; speriamo che non arrivi un’improvvisa gelata.
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La seconda stagione di Star Trek: Discovery è ormai entrata nel vivo e i mediocri episodi delle prime settimane sembrano solo un ricordo. Certo, non si può non condannare la superficialità con cui certi personaggi sono gestiti e poi buttati via, ma è meglio accontentarsi di quello che abbiamo, per il momento.
If Memory Serves 2×08 | ND milioni – ND rating |
Project Daedalus 2×09 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.