Il lungo addio di Star Trek: Discovery ha inizio. La stagione appena iniziata sarà infatti l’ultima e segnerà, se Dio vuole, la fine delle avventure di Michael Burnham. Si spera ovviamente in nuove serie che proseguano la timeline ed esplorino ancora di più questo inedito XXXII secolo, ma possibilmente senza Sonequa Martin-Green. E possibilmente scritta da gente competente. O, se proprio non si vuole pagare un bravo sceneggiatore, scritta da un’AI decente.
Nel corso degli anni Discovery si è rivelata una serie molto divisiva. Parte del suo successo è dovuto sicuramente al fatto di essere un prodotto molto action, che parla il linguaggio tanto caro al pubblico odierno cresciuto a pane e Marvel. Ma, è inutile girarci intorno, ha raccolto tanti consensi anche per il modo palese, se non addirittura svergognato, con cui ha abbracciato una certa ideologia woke che va forte oltreoceano: il cast di “buoni” è composto praticamente solo da donne, la protagonista è persino afroamericana, ci sono personaggi non binari e i pochi protagonisti maschili o sono di colore o sono gay (il dottor Culbert fa la combo) o sono alieni. Se qualche buono maschio etero c’è, è comunque interpretato da un attore mediorientale.
Ma qui non si vuole fare una filippica contro il politicamente corretto, bensì riflettere sul fatto che Star Trek: Discovery abbia riscosso un grande successo, quantomeno negli States, per motivazioni che esulano dalla qualità della scrittura e della messa in scena. Perché se si dovesse valutare solo quella, come è stato fatto su questi lidi non risparmiando parole dure, la serie non avrebbe meritato di andare tanto lontano. Per fortuna, come si diceva, è arrivata alla conclusione della sua corsa. Ci vorranno ancora altri otto episodi, ma a fine maggio questa pagina della saga sarà chiusa. Il problema è che, a giudicare dalle premesse dei primi due episodi, sarà un calvario.
ADDIO, SARU!
La notizia più importante nella doppia puntata che apre la stagione è l’uscita di scena di Saru. Definitiva? Momentanea? Non è dato saperlo. Non si può escludere che il Kelpiano faccia una comparsata anche nel series finale. Anzi, sarebbe auspicabile, perché le sue ultime “imprese” nella ciurma della Discovery non sono state eccezionali. Si è trattato di un addio molto tiepido, sottotono. Inevitabile: è l’intera opera a essere sottotono. Anche quando cerca di mostrare i muscoli o di risultare catchy a ogni costo.
Non si può negare, comunque, che in tutta la serie Saru sia il personaggio che ha compiuto la crescita più vistosa e interessante. L’abbiamo conosciuto come una creatura timorosa di tutto e tutti, in quanto la sua specie era vissuta per millenni in una terribile schiavitù, allevata solo per essere divorata. Una roba molto alla Oddworld, ma che aggiungeva un tocco di truculenza inedito all’universo di Star Trek. Servendo nella Flotta Stellare e rischiando numerose volte la vita per il bene della galassia, Saru è cresciuto, ha acquisito consapevolezza delle sue capacità, è diventato un combattente e un leader, ha stretto legami d’amicizia, e alla fine ha trovato l’amore. Con una Vulcaniana, perché il bello di Star Trek è che può trattare l’amore interraziale (anzi, in questo caso interspecie) senza che la cosa risulti forzata. Le nozze con la presidente T’Rina gli daranno il lieto fine che merita.
SCHERZA CON I FANTI MA LASCIA STARE I SANTI PROGENITORI
Come ogni stagione di Discovery, anche la quinta seguirà una macro-trama orizzontale da sviluppare e sviscerare settimana dopo settimana. Per chiudere in bellezza, gli sceneggiatori hanno puntato su un soggetto davvero appetitoso: riesumare nientemeno che i Progenitori. Ossia quella razza introdotta in The Next Generation per giustificare come mai tutte le specie aliene di Star Trek siano semplicemente umani truccati in maniera strana: perché hanno tutti la stessa origine!
Questa scelta probabilmente va ben oltre il mero fanservice. Discovery è sempre stata una serie molto ambiziosa. Ha avuto l’ambizione di riscrivere il canone classico, attribuendo a Spock una sorella adottiva mai menzionata in tutti i prodotti precedenti oppure cambiando look ai Klingon. Poi ha avuto l’ambizione di estendere gli orizzonti della saga saltando nel XXXII secolo. E adesso vuole riprendere tutti i fili risalendo fino all’origine della vita stessa nella galassia. Non si può dire che non abbiano paura di osare!
Il problema è che toccare un elemento così importante della lore trekkiana è molto pericoloso. Sui Progenitori e sul loro operato si basano le fondamenta stesse di questo universo. Una cosa del genere richiede grande rispetto del canone e al contempo la capacità di inventare qualcosa di nuovo senza sconfessare quello stesso canone. Talenti di cui il team dietro Discovery ha sempre dimostrato di mancare, e lo ha dimostrato anche in questi due episodi iniziali. La ricerca della chiave per controllare il potere creativo (e distruttivo?) dei Progenitori è infatti impostato come una banale e noiosa quest da videogioco: vai nel punto A e recupera l’oggetto X, poi vai nel punto B e recupera l’oggetto Y, poi trova i cinque pezzi della mappa del piffero così scoprirai la posizione dell’oggetto Z. Si spera in qualcosa di meglio.
NULLA DI NUOVO SUL FRONTE DEI DIFETTI
Non mancano poi tutta una serie di difetti e di sbavature a cui Discovery ci ha abituati nelle quattro stagioni precedenti. Ad esempio, la frettolosità di alcuni passaggi e la reintroduzione di alcuni personaggi senza il sufficiente pathos. Che Michael e Book si riunissero era ampiamente prevedibile: dopotutto la simpatica canaglia interpretata da David Ajala resta l’interesse amoroso della protagonista, non poteva uscire definitivamente di scena. Ma si poteva almeno cercare di riportarlo in scena dopo qualche episodio, non già nella season premiere! Lo spettatore non percepisce il senso di dolore per la prolungata separazione tra Michael e Book e nemmeno il sollievo dopo essere nuovamente riuniti.
Così come priva di emozione e buttata lì nel pietoso tentativo di suscitare un colpo di scena risulta la rivelazione sull’identità di Mol, una degli antagonisti della stagione: la ragazza sarebbe nientemeno che la “sorella” di Book, in quanto figlia dell’uomo che gli ha fatto da mentore. Mancava la carrambata improvvisata e inutile.
E a proposito di ritorni, se va via Saru torna, anche se momentaneamente, Tilly. Ossia uno di quei personaggi che era stato bello mettere da parte, perché aveva smesso di aggiungere qualcosa alla storia (se mai aveva avuto qualcosa da dire). Purtroppo gli autori della serie vivono nella bislacca convinzione che Tilly sia un personaggio carismatico e divertente e che debba tornare sulla Discovery di tanto in tanto, per i suoi siparietti comici imbarazzanti che hanno l’innegabile potere di far calare il gelo in scena.
L’unica aggiunta al cast degna di nota è il capitano Rayner. Sia chiaro, non è un personaggio scritto divinamente. È il classico ufficiale della Flotta Stellare burbero e controverso, pronto a compiere il proprio dovere anche a costo di forzare le regole. Insomma, un Burnham 2.0. Ma in una serie che ormai non brilla più per qualità della scrittura, rappresenta l’ultimo faro di luce e di speranza. C’è da sperare che abbia più spazio, ora che è il nuovo Numero Uno di Michael.
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Il ritorno di Star Trek: Discovery non tradisce le aspettative: ambizioso nelle intenzioni, ma ampiamente rivedibile nella scrittura, nella gestione dei personaggi e nei colpi di scena. La decisione di scomodare nientemeno che i Progenitori genera curiosità ma al contempo paura, perché il rischio di commettere pasticci col canone o di rovinare le fondamenta stesse dell’universo narrativo è dietro l’angolo.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.