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Dopo sei stagioni sono infine arrivati i temutissimi coniugi Jennings del KGB e hanno deciso di intraprendere, per conto della madrepatria Russia, la conquista di RecenSerie, motivo per cui d’ora in poi potrete leggere le recensioni di questa ultima avvincente stagione sul sito. Per chi non lo sapesse, The Americans è una serie trasmessa da FX e prodotta da Graham Yost. È interpretata dalla bella e bravissima Keri Russell (Elizabeth Jennings) e dall’altrettanto bravo Matthew Rhys (Philip Jennings), nei ruoli di una coppia sposata in un’ America dei primi anni ’80, dove a causa della linea politica intransigente adottata dal Presidente Ronald Reagan, la tensione tra USA e Unione Sovietica è altissima. Il creatore invece è Joe Weisberg, ex-agente della CIA (operativo all’inizio degli anni ’90), poi diventato insegnante, infine sceneggiatore. Il fatto che Weisberg abbia esperienza in questo campo risulta essere un grande vantaggio ed è estremamente utile allo show, che nonostante il poco successo riscosso tra il pubblico, viene menzionato da numerosi esperti del settore come veritiero e molto vicino alla realtà dei fatti di quegli anni.
Gli incarichi dei coniugi-spia russi sono numerosi e mutevoli, tra cui pedinamenti, furti di tecnologie avanzate, assassini politici, rapimenti e sabotaggi industriali. Philip ed Elizabeth, i rispettivi nomi americani, lavorano in un’agenzia di viaggi per nascondere la loro vera identità. Uno dei valori aggiunti dello show senza dubbio è la grande quantità di dialoghi in russo, nonchè un grande realismo storico, segno di un accurato lavoro di ricerca che ha sicuramente preceduto la scrittura degli episodi.
La stagione riprende con un salto temporale di qualche anno, sulle note della ballata “Do not Dream It’s Over” di Crowded House (che veniva pubblicata proprio nella primavera di quel 1987) con un silenzioso montaggio che ci mostra come ormai i coniugi Jennings vivano vite completamente differenti. Gli effetti della glasnost e della perestroika propagandata daGorbačëv, che tanto avrebbero scosso l’URSS, iniziano subito a creare le prime divisioni all’interno del blocco sovietico e non solo.
La narrazione si riapre alle porte del trattato INF, quello che portò Reagan e Gorbačëv a smantellare il sistema di forze nucleari a medio raggio posseduto da entrambe le parti; in quegli anni la Russia appariva divisa in due dove, ai vecchi comunisti conservatori, si erano affiancati i riformatori, guidati da Gorbačëv, situazione che si ripercuote subito anche all’interno del KGB e di conseguenza sui coniugi Jennings, su ideologie completamente opposte. Mentre Philip si è ritirato dal suo lavoro di agente segreto e gira con la sua decapottabile, rispecchiando il classico borghese americano, Elizabeth stanca e sotto pressione come non mai, lavora duramente, portando avanti parallelamente diverse missioni sotto copertura. Ma la cosa più interessante di questa prima puntata è senza dubbio il ruolo di Paige, tecnicamente al college, in pratica a scuola di spie sovietiche, con la madre che la sta addestrando a diventare un’agente del KGB in piena regola.
Nel secondo episodio le divisioni, già precedentemente menzionate, si avviano a diventare sempre più profonde; paradossalmente con l’avvicinarsi della fine della guerra fredda, il blocco sovietico comincia a incrinarsi, tanto da rendere necessario il ritorno in America di Oleg, che nel primo episodio ha fatto la sua comparsa come uomo di punta della fazione sovietica filo-Gorbačëv. Con Elizabeth sempre più sola e Paige operativa, ma all’oscuro di gran parte della reali implicazioni del lavoro dei genitori, Philip per ora continua a stare in disparte dai complotti del KGB, con uno screen time dedicato al suo personaggio più basso del solito.
A differenza di Homeland, ben fatto ma eccessivamente filo-statunitense, nello show si mostra anche l’altra faccia della medaglia, ma qui di arabi ce ne sono ben pochi, assenza compensata da un gruppo di temibili russi per niente male. Da notare come il dialogo sulla presunta instabilità mentale di Reagan mostri ancora una volta la grande cura dei dettagli del prodotto targato FX. Infatti durante gli anni sono state numerose le voci, riscontrate poi nei documenti ufficiali, che sostenevano che i primi cenni dell’Alzheimer, che poi avrebbe colpito il Presidente degli Stati Uniti, fossero iniziati molto prima di quanto si credesse. L’inserimento di questa piccola storia, tramite l’escamotage dell’indiscrezione da ufficio, è davvero notevole.
La conclusione della puntata con la morte del Generale Rennhull, già visto nelle precedenti stagioni, dà il via a un cambiamento radicale, con Paige che per la prima volta guarda in faccia la realtà riguardo le operazioni sotto copertura svolte dalla madre. L’unico tasto dolente è rappresentato invece dalla storia riguardante Gennadi, che sembra sia stata creata dagli autori solo per riservare un minutaggio adeguato a un character importante come Stan Beeman, ma che tuttavia appare molto fuori contesto rispetto alla trama orizzontale. È impossibile capire come si concluderà la serie, ma le premesse per un finale drammatico di sicuro non mancano. Un episodio che scorre piacevolmente lento, in classico stile The Americans, con un’ottima colonna sonora e un’interpretazione della Russell di altissimo livello. La trasformazione di Paige, sotto la guida di Claudia e della madre, così come il rapporto contrastato tra i due coniugi, saranno probabilmente le due tematiche maggiormente sviluppate in questa sesta stagione.
A differenza di Homeland, ben fatto ma eccessivamente filo-statunitense, nello show si mostra anche l’altra faccia della medaglia, ma qui di arabi ce ne sono ben pochi, assenza compensata da un gruppo di temibili russi per niente male. Da notare come il dialogo sulla presunta instabilità mentale di Reagan mostri ancora una volta la grande cura dei dettagli del prodotto targato FX. Infatti durante gli anni sono state numerose le voci, riscontrate poi nei documenti ufficiali, che sostenevano che i primi cenni dell’Alzheimer, che poi avrebbe colpito il Presidente degli Stati Uniti, fossero iniziati molto prima di quanto si credesse. L’inserimento di questa piccola storia, tramite l’escamotage dell’indiscrezione da ufficio, è davvero notevole.
La conclusione della puntata con la morte del Generale Rennhull, già visto nelle precedenti stagioni, dà il via a un cambiamento radicale, con Paige che per la prima volta guarda in faccia la realtà riguardo le operazioni sotto copertura svolte dalla madre. L’unico tasto dolente è rappresentato invece dalla storia riguardante Gennadi, che sembra sia stata creata dagli autori solo per riservare un minutaggio adeguato a un character importante come Stan Beeman, ma che tuttavia appare molto fuori contesto rispetto alla trama orizzontale. È impossibile capire come si concluderà la serie, ma le premesse per un finale drammatico di sicuro non mancano. Un episodio che scorre piacevolmente lento, in classico stile The Americans, con un’ottima colonna sonora e un’interpretazione della Russell di altissimo livello. La trasformazione di Paige, sotto la guida di Claudia e della madre, così come il rapporto contrastato tra i due coniugi, saranno probabilmente le due tematiche maggiormente sviluppate in questa sesta stagione.
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I primi due episodi della stagione finale di The Americans confermano la validità del progetto del duo Weisberg-Fields, una vera e propria perla per appassionati di storia e politica internazionale, che nonostante non abbia mai vinto premi o sia stata acclamata dal pubblico, rimane un prodotto di altissima qualità, una delle serie migliori degli ultimi anni e tra le più sottovalutate di sempre. Un Thank Them All che sfiora il massimo dei voti, che di certo non tarderà ad arrivare se la qualità dello show continuerà ad essere così alta.
Dead Hand 6×01 | 0.64 milioni – 0.2 rating |
Tchaikovsky 6×02 | 0.62 milioni – 0.2 rating |
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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.