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The Leftovers, ormai è chiaro, è una “dedica”, una litania dolorosa e lacerante per tutti coloro che non ci sono più e per coloro che ci sono ancora.
Come si può rimanere impassibili di fronte alla scomparsa improvvisa di tutte quelle persone? Quando qualcuno a cui tieni se ne va è come se tutto si fermasse e come se del resto del mondo non ti importasse nulla, è come se il corpo perdesse peso e intorno d’improvviso si “accendesse” il buio; ma a perdersi, a “mancarsi” siamo anche noi o meglio una parte di noi, quella che se ne è andata con gli scomparsi. Pensiamo agli occhi vuoti e disperati di Nora Durst che, in un istante, si è trovata senza marito e senza figli; pensiamo a quelli di Kevin che, all’improvviso, si è ritrovato con una moglie muta, fumatrice, svilita e svuotata; pensiamo a quelli di Jill, senza madre – perché Laurie ha deciso di abbandonarli -, senza padre – perché troppo impegnato nel suo lavoro.
Lindelof continua a spiegarci il dolore, la rassegnazione, la rabbia, ci racconta dei dispersi, dei sommersi e dei sopravvissuti con doloroso e malato candore, e lo fa ancora e ancora, con la forza dei suoi personaggi, con i suoi riti di iniziazione, quelli di espiazione, con le sue lacrime purificatrici, con i suoi culti “misterici” tra l’apollineo e il dionisiaco, tra il “malefico” e il “benefico”. Esempio di tutto questo è il dialogo intenso, poetico e lirico intessuto da Kevin e Patti, allegoria di due universi, tanto lontani tra loro, da non incontrarsi (quasi) mai: da una parte quello “sonnambulo” di lui, dall’altra quello straziato di lei, “tabula rasa”, “testimonianza vivente” di chi non c’è più. Lui, impazzito e indiavolato durante la notte, in preda al sonnambulismo, ha raggiunto l'”Uomo dei cani” e insieme hanno rapito, picchiato e rinchiuso la donna in un capanno a Cairo (ci torna in mente il numero del National Geographic che troneggiava in casa del poliziotto nell’episodio precedente), New York. Lei lo ha evidentemente provocato, ma forse nel profondo vuole correre verso la morte, perché è il momento, perché lei lo vuole, come era accaduto a Gladys, come accadrà a Laurie.
Patti con i Colpevoli Rimasti rappresenta l’America che accetta così tanto la scomparsa dei propri figli da cancellare rabbia, rimpianto, odio, amore, proprio per farsi cancellare a sua volta dall’Evento, facendosi annebbiare dalla mancanza stessa; questo diventerà scopo per i vestiti di bianco, scopo per vivere e morire. Kevin è invece emblema di chi va avanti, e lo fa per la figlia Jill, per sè stesso – una brezza di speranza il rapporto con Nora – , per il suo lavoro, ma la ferita la porta dentro, ferita che si allarga sempre più, e così si arrabbia, si dispera e di notte, sonnambulo, compie azioni di cui all’alba non ha ricordo. Né Patti, né Kevin però restano indifferenti a questo dialogo in cui non si capisce chi è la vittima, chi il carnefice, chi ha in pugno chi: lei è legata ad una sedia, ma sembra che sia lui quello in prigione. Le parole della donna vestita di bianco sono come coltelli e scuotono, scarnificando, l’uomo fin nelle viscere e gli occhi, impietriti e fissi, di Kevin si fanno lucidi, pieni di lacrime, desiderosi di sciogliersi in un caldo pianto, quando la donna cita il poeta Yeats, ricordandone le parole, semplici, ma colme di profondo sentimento per l’amore che oramai non
c’è più. Per un breve istante i mondi dell’agente e del capo dei Colpevoli Rimasti si sono sfiorati, appena toccati, e per un momento i loro cuori, le loro voci, le loro lacrime vivono all’unisono. E noi con “Cairo” comprendiamo qualcosa in più di The Leftovers, siamo come Kevin – a cui Patti dice “hai capito” – ed è bravissimo Lindelof che capovolge questo mondo seriale fino ad ora conosciuto con delle “regole”, smonta le nostre certezze riconfermandosi maestro in spiegazioni non spiegate e mysteria non svelati.
Kevin da poliziotto buono diventa picchiatore che perde il controllo, Jill, prima tanto distante dalla madre, ora va da lei e le chiede di poter entrare tra i Colpevoli rimasti, Meg risulta essere lo spirito più ribelle e violento tra gli adepti della setta, sembra non intendere le regole base dei suoi.
In tutto ciò noi siamo solo spettatori che bramano l’evolversi delle vicende in un’attesa spasmodica mista tra ansia ed inadeguatezza, un’attesa che ci fa sentire colpevoli di bramare ansiosamente la visione dello show e nello specifico della sofferenza provata dai protagonisti. Ma d’altronde The Leftovers è questo, e ci fa ringraziare ogni giorno l’esistenza di quel 2% della popolazione.
Come si può rimanere impassibili di fronte alla scomparsa improvvisa di tutte quelle persone? Quando qualcuno a cui tieni se ne va è come se tutto si fermasse e come se del resto del mondo non ti importasse nulla, è come se il corpo perdesse peso e intorno d’improvviso si “accendesse” il buio; ma a perdersi, a “mancarsi” siamo anche noi o meglio una parte di noi, quella che se ne è andata con gli scomparsi. Pensiamo agli occhi vuoti e disperati di Nora Durst che, in un istante, si è trovata senza marito e senza figli; pensiamo a quelli di Kevin che, all’improvviso, si è ritrovato con una moglie muta, fumatrice, svilita e svuotata; pensiamo a quelli di Jill, senza madre – perché Laurie ha deciso di abbandonarli -, senza padre – perché troppo impegnato nel suo lavoro.
Lindelof continua a spiegarci il dolore, la rassegnazione, la rabbia, ci racconta dei dispersi, dei sommersi e dei sopravvissuti con doloroso e malato candore, e lo fa ancora e ancora, con la forza dei suoi personaggi, con i suoi riti di iniziazione, quelli di espiazione, con le sue lacrime purificatrici, con i suoi culti “misterici” tra l’apollineo e il dionisiaco, tra il “malefico” e il “benefico”. Esempio di tutto questo è il dialogo intenso, poetico e lirico intessuto da Kevin e Patti, allegoria di due universi, tanto lontani tra loro, da non incontrarsi (quasi) mai: da una parte quello “sonnambulo” di lui, dall’altra quello straziato di lei, “tabula rasa”, “testimonianza vivente” di chi non c’è più. Lui, impazzito e indiavolato durante la notte, in preda al sonnambulismo, ha raggiunto l'”Uomo dei cani” e insieme hanno rapito, picchiato e rinchiuso la donna in un capanno a Cairo (ci torna in mente il numero del National Geographic che troneggiava in casa del poliziotto nell’episodio precedente), New York. Lei lo ha evidentemente provocato, ma forse nel profondo vuole correre verso la morte, perché è il momento, perché lei lo vuole, come era accaduto a Gladys, come accadrà a Laurie.
Patti con i Colpevoli Rimasti rappresenta l’America che accetta così tanto la scomparsa dei propri figli da cancellare rabbia, rimpianto, odio, amore, proprio per farsi cancellare a sua volta dall’Evento, facendosi annebbiare dalla mancanza stessa; questo diventerà scopo per i vestiti di bianco, scopo per vivere e morire. Kevin è invece emblema di chi va avanti, e lo fa per la figlia Jill, per sè stesso – una brezza di speranza il rapporto con Nora – , per il suo lavoro, ma la ferita la porta dentro, ferita che si allarga sempre più, e così si arrabbia, si dispera e di notte, sonnambulo, compie azioni di cui all’alba non ha ricordo. Né Patti, né Kevin però restano indifferenti a questo dialogo in cui non si capisce chi è la vittima, chi il carnefice, chi ha in pugno chi: lei è legata ad una sedia, ma sembra che sia lui quello in prigione. Le parole della donna vestita di bianco sono come coltelli e scuotono, scarnificando, l’uomo fin nelle viscere e gli occhi, impietriti e fissi, di Kevin si fanno lucidi, pieni di lacrime, desiderosi di sciogliersi in un caldo pianto, quando la donna cita il poeta Yeats, ricordandone le parole, semplici, ma colme di profondo sentimento per l’amore che oramai non
c’è più. Per un breve istante i mondi dell’agente e del capo dei Colpevoli Rimasti si sono sfiorati, appena toccati, e per un momento i loro cuori, le loro voci, le loro lacrime vivono all’unisono. E noi con “Cairo” comprendiamo qualcosa in più di The Leftovers, siamo come Kevin – a cui Patti dice “hai capito” – ed è bravissimo Lindelof che capovolge questo mondo seriale fino ad ora conosciuto con delle “regole”, smonta le nostre certezze riconfermandosi maestro in spiegazioni non spiegate e mysteria non svelati.
Kevin da poliziotto buono diventa picchiatore che perde il controllo, Jill, prima tanto distante dalla madre, ora va da lei e le chiede di poter entrare tra i Colpevoli rimasti, Meg risulta essere lo spirito più ribelle e violento tra gli adepti della setta, sembra non intendere le regole base dei suoi.
In tutto ciò noi siamo solo spettatori che bramano l’evolversi delle vicende in un’attesa spasmodica mista tra ansia ed inadeguatezza, un’attesa che ci fa sentire colpevoli di bramare ansiosamente la visione dello show e nello specifico della sofferenza provata dai protagonisti. Ma d’altronde The Leftovers è questo, e ci fa ringraziare ogni giorno l’esistenza di quel 2% della popolazione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Dunque, molte sono ancora le domande a cui dare risposta in questa prima stagione di The Leftovers e “Cairo” sa tenerci sulle spine, intrecciando insieme tre storie: quella di Kevin e Patti, quella di Jill, quella di Laurie e Meg. Lo spettatore alla fine di “Cairo” non si sente sazio del Mistero, anzi, non vede l’ora di scoprire qualcosa in più.
Solace For Tired Feet 1×07 | 1.58 milioni – 0.79 rating |
Cairo 1×08 | 1.63 milioni – 0.80 rating |
VOTO EMMY
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.