“I don’t need a press release. Because I can go on the air and I can tell the people myself. This is a witch hunt. It’s a smear campaign designed to destroy me. Why? Because the left hate the fact that I have given the silent majority in this country a voice. And the media they hate the patriotic Americans who love Fox News. They hate the fact that we love freedom, they hate the fact that we worship a Christian God. They hate the fact that we honor our families, respect our troops. And they hate the fact that we think that this is the greatest country the world has ever known. Now, I’m not perfect. I have my regrets. But I have done nothing wrong. No. And real Americans they’re smart enough to know that. Let’s go. Let’s go to the studio. Let’s get on air. Let’s tell it how it is. I want to go live.”
Due scene in particolare rimarranno emblematiche in questo ultimo episodio di The Loudest Voice: la prima è la riunione degli azionisti di News Corporation in cui la famiglia Murdoch (Rupert e il figlio Lachlan), i veri “padroni” di Fox News, decidono di licenziare definitivamente Roger; la seconda è la scena finale in cui un ormai sconfitto Roger rivolge la sua attenzione a quella che ormai è la sua unica (e ultima) ragione di vita: l’ascesa imminente di Donald Trump come 45° Presidente degli Stati Uniti d’America.
I precedenti episodi, hanno fatto volutamente leva sul senso di ribrezzo che la figura titanica di Roger Ailes (interpretato da un Russel Crowe in gran forma come non si vedeva da tempo) suscitava, ponendolo come inventore di un “sistema di comunicazione” che ha fatto scuola nel mondo dell’informazione, descrivendo poi come, in pochi anni, sia riuscito a creare un impero mediatico di cui era padre-padrone, a scapito di tutti i suoi avversari ma anche di collaboratori poco allineati ai suoi metodi e soprattutto di anchorwoman e stagiste vittime di abusi di ogni tipo da parte sua. È stato preparato, in questo modo, il “terreno d’attesa” per quest’ultimo episodio in cui, com’era prevedibile, il potere del CEO di Fox News crolla definitivamente a seguito dello scandalo legato alla “pubblicazione” delle registrazioni di Gretchen Carlson (un’altrettanto ottima Naomi Watts), seguita dalle numerose testimonianze di donne che hanno confermato i comportamenti poco ortodossi (per usare un eufemismo) del loro capo.
Chi s’immaginava un finale consolatorio e trionfale però rimarrà parecchio deluso. C’è più amarezza che gioia, infatti, in questo series finale che riporta lo spettatore direttamente ai giorni nostri, seguendo la parabola discendente di Roger e quella, viceversa, ascendente del suo “protetto” Trump. Praticamente ogni personaggio di The Loudest Voice è, a suo modo, uno “sconfitto”. Le dimissioni di Roger Ailes vengono decise da un gruppo di businessmen (tutti rigorosamente bianchi e caucasici) che più che ai diritti delle donne sembrano essere interessati al danno d’immagine che la vicenda comporta, e quindi ai loro soldi. Senza contare che probabilmente Lachlan Murdoch non ha mai nascosto una certa antipatia nei confronti di Roger, per cui l’accusa di molestie, dal suo punto di vista, è semplicemente il pretesto ideale per disfarsi di una persona che l’ha sempre denigrato di fronte ai suoi collaboratori. E infatti, anche le “vittime” alla fine di tutto non sembrano passarsela benissimo in quanto il risultato delle accuse si traduce in un “indennizzo e una lettera di scuse” (come spiegano i titoli di coda) e una clausola di riservatezza che non le rende certo giustizia per quello che hanno fatto.
Dall’altra parte si ha l’immagine di un Roger Ailes ormai disabile per la malattia, tradito dai suoi collaboratori/complici (quindi non meno colpevoli di lui ma tuttora attivi sul fronte mediatico/politico) e dal network che lui stesso aveva contribuito a creare, solo e mal sopportato dalla devota moglie Beth (un’altra ottima Sienna Miller) che lo assiste sempre amorevolmente ma con una consapevolezza maggiore riguardo il proprio marito. Per questo motivo, la scena finale in cui lo si vede seduto da solo in poltrona che guarda con speranza all’arrivo del suo nuovo “messia”, oltre che suscitare una certa pena, è un cortocircuito non da poco. Da un lato l’emblema che il re è definitivamente nudo, dall’altra un “contrappasso dantesco” per cui Roger è diventato il suo stesso target di riferimento televisivo: un disilluso e frustrato americano medio che cerca, nei media, qualcuno che lo renda “great again” (praticamente un qualsiasi pensionato italiano che guarda ReteQuattro).
Non c’è quindi in questo finale alcun sospiro di sollievo finale misto a commozione come in When They See Us, o una sana rabbia verso una tragedia evitabile come in Chernobyl. Solo un richiamo costante all’attualità che fa pensare come, nonostante tutto quello che è successo, la situazione non sia cambiata poi più di tanto e che il “cambio di direzione” tanto millantato dalla dirigenza di Fox News sia il classico cambiamento gattopardiano in cui “tutto cambia per non cambiare affatto”. Roger Ailes non c’è più ma il “sistema” creato da lui è oggi vivo più che mai. E, in fondo, si può dire che l’intenzione degli autori dello show fosse proprio quello di far riflettere su questo.
Un obiettivo pienamente riuscito in quanto anche “2016” conferma (se già non si era capito) che tra dialoghi, regia e interpretazioni eccelse da parte di tutto il cast, comprimari compresi (una menzione a parte per Aleksa Palladino nel ruolo dell’enigmatica segretaria Judy Laterza), The Loudest Voice è una delle sorprese migliori di questo 2019, tra l’altro premiata anche per quanto riguarda gli ascolti (raddoppiati dalla season première a oggi), cosa che non era affatto scontata. La conferma che il genere delle “mini-serie storiche d’attualità” è quello tra i più attivi oggi, quello che, più di ogni altro, è dotato di elementi d’innovazione e originalità e che, per questi motivi, merita sicuramente una visione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Si può racchiudere in questa frase tutta la parabola esistenziale di Roger Ailes. Allo spettatore del 2019 rimane solo un grande vuoto e l’amarezza di rivedere, ancora una volta, sullo schermo l’ascesa di Donald Trump.
2015 1×06 | 0.42 milioni – 0.1 rating |
2016 1×07 | 0.47 milioni – 0.1 rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!