Stilisticamente ed esteticamente The Walking Dead non ha nulla di storto. Gli alti ascolti che lo show garantisce permettono agli autori di giocare moltissimo con la storia. La lente di ingrandimento narrativa torna a spostarsi sui personaggi ad un certo punto inevitabilmente divisi, anche per poter garantire una molteplicità di punti di vista. Viene quindi dilatata e rallentata la storia, vengono prese delle pause, aumentano le stagioni, il pubblico rimane costante, si fanno i soldi. Ma questo è un altro discorso.
I virtuosismi stilistici quindi, se ben fatti, se portatori di scene forti e inaspettate – quale che sia il personaggio – vanno benissimo. L’alta qualità, di qualsiasi tipo, è sempre ben accetta, quale che sia il settore ben curato. Se si sceglie però di potenziare certi aspetti in virtù di altri (dialoghi scarni e banali, recitazioni “di servizio”) bisognerebbe trattare questi in maniera impeccabile.
“Self Help/Sabotaggio” ha il difetto di risultare debole su tutti quei fronti che normalmente rappresenterebbero i veri e propri punti di forza dello show. In questo caso a patirne è la scenografia/ambientazione e il colpo di scena finale che di solito giunge dopo un riuscito climax. Per quanto riguarda il primo caso, la regia non sembra perdere colpi, tuttavia alcune scelte hanno portato ad uno svilimento dell’episodio. La maggior parte di luoghi chiusi e, soprattutto, lunghe porzioni di dialoghi hanno contribuito ad appesantire un episodio già a rischio per il solo fatto di vedere tra i protagonisti personaggi che, nella produzione televisiva dell’opera, ancora avevano/hanno tutto da dimostrare (senza contare i mai troppo coinvolgenti Glenn e Maggie). Allo spettatore assetato di tutto ciò che The Walking Dead può offrire, risulterà quindi arduo tollerare intere sequenze nella penombra di una biblioteca, battute stereotipate di un personaggio “particolare” e arringhe continue sul perché sia necessario andare avanti senza fermarsi mai. Unica boccata d’aria nel condurre lo spettatore attraverso la vicenda, il flashback su Abraham, che regala un primo background televisivo del personaggio.
La differenza tra la 5×05 con la 5×04 sta soprattutto nel finale. Sono tanti gli episodi che si risollevano per un colpo di scena, per un particolare climax o semplicemente per una scena esteticamente ben riuscita negli ultimi minuti. E il non troppo coinvolgente episodio su Beth riusciva sia a creare negli ultimi istanti una grande sorpresa per l’apparizione di Carol, sia un appagamento estetico dalla deriva killer della biondina. In questo caso qualcuno potrà anche essere rimasto sorpreso dalla rivelazione finale di Eugene, tuttavia non si può certo dire che l’idea non fosse stata ingenuamente suggerita da diversi aspetti. Primo su tutti il suo non voler avanzare, già proposto nella 5×03; sospetta anche la rivelazione sul sabotaggio del pullman; infine la dichiarazione riguardante la sua voglia di sopravvivere rimanendo indispensabile per persone più forti di lui. C’è poi da aggiungere che palesare l’inesistenza di una cura riporta il tutto ad una dimensione più attinente a ciò che The Walking Dead è solita abituare. Il concetto di un’umanità condannata e senza speranze si riaffaccia prepotente.
La rivelazione non arriva a sorpresa per il pubblico già lettore del fumetto, infatti, come lì, anche qui Eugene si rivela essere un “impostore”, un venditore di false speranze che gioca la sopravvivenza sulle menzogne che però gli hanno sempre garantito una vita sicuramente più lunga e dignitosa di quella che avrebbe avuto stando da solo. La vera sorpresa si sarebbe avuta se Kirkman e Gimple avessero osato veramente e, cambiando rispetto al fumetto, avessero reso Eugene veramente uno scienziato legato al progetto “Genoma Umano”, lì si che ci sarebbe stata una bella svolta. La scelta di rimanere fedeli all’originale però non paga come dovrebbe per tempi e modi e questa, soprattutto, è la vera mancanza.
Il mondo è andato e chi è più forte si approfitta del più debole. Eugene, codardo e furbo, sa così approfittarsi di un gruppo di persone più preparate ma più ingenue di lui, sicuramente ugualmente disperate, portandone molte alla morte per colpa di un viaggio inutile. Così poi colui che si rivela forte apparendo debole, perde infine il suo punto di forza cedendo e confessando le menzogne nel momento di maggior tensione di Abraham, l’uomo che più di tutti ha accantonato la sua disperazione per seguire uno scopo utopistico.
Considerando questi ultimi aspetti “Self Help/Sabotaggio” ha sicuramente una sua ragion d’essere e ha inoltre il grande merito di aggiungere un importante tassello nella trama. Però è un episodio zoppo e incompleto. I 43 minuti a cui si assiste sembrano 20, e non perché il tutto è scorrevole, ma perché si sente la mancanza di una linea narrativa che faccia da controparte e che crei un contrasto, accentuando così la debolezza generale di questo quinto episodio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Slabtown – Il Prezzo Della Salvezza 5×04 | 14.52 milioni – 7.6 rating |
Self Help – Sabotaggio 5×05 | 13.53 milioni – 7.0 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.