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“Cara mamma, scusa se sono andata via. Un’altra volta. Lo so che è difficile per te,ma devo andarmene. Devo scappare da tutte le bugie e capire chi sono veramente. Il mondo può sembrare un posto spaventoso, ma può anche essere bellissimo. Non ho più intenzione di nascondermi. Mi sento pronta e posso badare a me stessa. So bene che così facendo volevi solo proteggermi, e spero che, un giorno, riuscirai a rimediare al tuo sbaglio. Ti voglio davvero bene, mamma. Ma ora come ora, non so se riesco a perdonarti. Ciao, mamma. Con amore, Kim.”
Two Weeks To Live si conclude (momentaneamente?) qui, dopo un vera e proprio rollercoaster durato sei episodi, ma non sembra minimamente intenzionata a lasciarsi gettare nel dimenticatoio delle serie tv visto e considerato il finale oltremodo aperto con il quale saluta il proprio pubblico.
Alcune risposte, le principali, trovano ampia risposta nell’episodio conclusivo, tuttavia nuovi quesiti vengono sollevati e altrettanti dubbi avanzano imperterriti verso il pubblico. Ecco quindi che l’idea di una seconda stagione non risulta così esagerata come si potrebbe pensare. Una possibile seconda stagione aiuterebbe a dare sicuramente più background a Tina, personaggio sì approfondito ma con il contagocce ed in maniera forse eccessivamente marginale. È soprattutto la dinamica famigliare che meriterebbe maggior approfondimento (e per la quale non si disdegnerebbe qualche flashback). Ma per una serie tv rapida ed indolore come Two Weeks To Live, quanto visto basta ed avanza.
La serie è rapida sia per la (già nominata più volte) narrativa veloce ed immediata, sia per la capacità di creare fin da subito empatia con tutti i personaggi chiamati in scena. Risulta “indolore”, invece, perché come tanti altri prodotti fatica a lasciare qualcosa dopo il suo passaggio. Non si tratta qui di demerito della sceneggiatura o incapacità attoriale nel creare legame con lo spettatore (anche perché poco sopra si è affermato l’esatto contrario). Semplicemente Two Weeks To Live non concede veri e propri appigli dai quali poter filosofeggiare e/o riflettere rendendo la visione fine a se stessa. Una visione di grande coinvolgimento, però, questo deve essere sottolineato.
La scena perfetta per poter descrivere il perfetto agglomerato di emozioni che suscita la serie britannica è sicuramente quella del pinguino (richiamato nell’immagine scelta per la recensione ndr). Il pupazzo, ancora sporco del sangue del padre di Kim (drammaticità) diventa messaggero involontario della richiesta di scuse di Nicky (romanticismo) che fa inoltre notare che l’animale di pezza sembra essere sporco e maleodorante. La ragazza risponde semplicemente sottolinea che le chiazze sono il sangue rappreso del padre e che non è mai stato lavato dal giorno della sua morte (black humor). Nel giro di pochi minuti la serie condensa tutti i propri elementi caratteristici restituendo allo spettatore delle risate sincere, ma cariche di una sofferenza lontana, quasi impercettibile. Una comicità a suo modo avvicinabile a quella di Shameless, se proprio si avesse necessità di fare un paragone, ma con le giuste proporzioni vista le evidenti differenze strutturali con il prodotto di Showtime.
La puntata, trattandosi di un finale (anche se aperto), cerca di raccogliere e risolvere varie problematiche fin qui trascinatesi in maniera forse esagerata: Jay e Beth si riscoprono più felici che mai; Nicky e Kim sembrano riappacificarsi, ma la ragazza al termine della puntata sottolinea la necessità di stare del tempo da sola per poter superare la mole di menzogne e bugie propinategli dalla madre. Un allontanamento che si ripercuote, di conseguenza, anche su Nicky, a tratti non pervenuto sotto questo contesto romantico sollevato dalla serie e cucitogli addosso.
Esattamente così come la serie si era aperta nel primo episodio, Two Weeks To Live chiude il cerchio lasciando il proprio pubblico con un’altra lettera (sempre di addio) da parte di Kim a Tina. Una lettera come sempre sincera e carica di sentimentalismo. Un sentimentalismo apparso in scena e condensato, per necessità, in pochi risicati minuti, ma obiettivamente ben presentato nonostante tutto.
Alcune risposte, le principali, trovano ampia risposta nell’episodio conclusivo, tuttavia nuovi quesiti vengono sollevati e altrettanti dubbi avanzano imperterriti verso il pubblico. Ecco quindi che l’idea di una seconda stagione non risulta così esagerata come si potrebbe pensare. Una possibile seconda stagione aiuterebbe a dare sicuramente più background a Tina, personaggio sì approfondito ma con il contagocce ed in maniera forse eccessivamente marginale. È soprattutto la dinamica famigliare che meriterebbe maggior approfondimento (e per la quale non si disdegnerebbe qualche flashback). Ma per una serie tv rapida ed indolore come Two Weeks To Live, quanto visto basta ed avanza.
La serie è rapida sia per la (già nominata più volte) narrativa veloce ed immediata, sia per la capacità di creare fin da subito empatia con tutti i personaggi chiamati in scena. Risulta “indolore”, invece, perché come tanti altri prodotti fatica a lasciare qualcosa dopo il suo passaggio. Non si tratta qui di demerito della sceneggiatura o incapacità attoriale nel creare legame con lo spettatore (anche perché poco sopra si è affermato l’esatto contrario). Semplicemente Two Weeks To Live non concede veri e propri appigli dai quali poter filosofeggiare e/o riflettere rendendo la visione fine a se stessa. Una visione di grande coinvolgimento, però, questo deve essere sottolineato.
La scena perfetta per poter descrivere il perfetto agglomerato di emozioni che suscita la serie britannica è sicuramente quella del pinguino (richiamato nell’immagine scelta per la recensione ndr). Il pupazzo, ancora sporco del sangue del padre di Kim (drammaticità) diventa messaggero involontario della richiesta di scuse di Nicky (romanticismo) che fa inoltre notare che l’animale di pezza sembra essere sporco e maleodorante. La ragazza risponde semplicemente sottolinea che le chiazze sono il sangue rappreso del padre e che non è mai stato lavato dal giorno della sua morte (black humor). Nel giro di pochi minuti la serie condensa tutti i propri elementi caratteristici restituendo allo spettatore delle risate sincere, ma cariche di una sofferenza lontana, quasi impercettibile. Una comicità a suo modo avvicinabile a quella di Shameless, se proprio si avesse necessità di fare un paragone, ma con le giuste proporzioni vista le evidenti differenze strutturali con il prodotto di Showtime.
La puntata, trattandosi di un finale (anche se aperto), cerca di raccogliere e risolvere varie problematiche fin qui trascinatesi in maniera forse esagerata: Jay e Beth si riscoprono più felici che mai; Nicky e Kim sembrano riappacificarsi, ma la ragazza al termine della puntata sottolinea la necessità di stare del tempo da sola per poter superare la mole di menzogne e bugie propinategli dalla madre. Un allontanamento che si ripercuote, di conseguenza, anche su Nicky, a tratti non pervenuto sotto questo contesto romantico sollevato dalla serie e cucitogli addosso.
Esattamente così come la serie si era aperta nel primo episodio, Two Weeks To Live chiude il cerchio lasciando il proprio pubblico con un’altra lettera (sempre di addio) da parte di Kim a Tina. Una lettera come sempre sincera e carica di sentimentalismo. Un sentimentalismo apparso in scena e condensato, per necessità, in pochi risicati minuti, ma obiettivamente ben presentato nonostante tutto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Forse un finale aperto non è la scelta migliore con cui salutare il pubblico, tuttavia il percorso fin qui portato in scena dalla vivace serie britannica fa rimanere intatte le speranze: dovesse mai prendere piede una seconda stagione, il solco lasciato dalla prima è più che convincente.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.