“If I had a world of my own, everything would be nonsense. Nothing would be what it is, because everything would be what it isn’t.”
È “Alice Nel Paese Delle Meraviglie” il libro che Bernard legge a suo figlio Charlie – come aveva già fatto negli episodi precedenti con Dolores -, malato e costretto a letto, in una straziante e lugubre camera d’ospedale. Quelle che l’uomo legge sono le parole del Cappellaio Matto da cui emerge l’idea base di ogni film di genere e anche del parco western, protagonista dello show HBO: ciò che succede ha solo l’apparenza di essere simile alla realtà, chi vive una pseudo-realtà crede di essere padrone delle sue azioni, invece è comandato e guidato da altri. Westworld, prendendo le mosse dall’omonimo film di Michael Crichton (1973), lavora proprio su questo, il racconto di copie (gli androidi) il cui mondo (il parco western) è regolato da stranissime leggi volute dagli esseri umani (i Guest che vivono per un giorno una realtà diversa non muoiono mai ma possono uccidere tutti gli androidi che desiderano).
L’uomo si sveglia nel suo letto; è stato un sogno, un incubo o solo un ricordo? O nulla di tutto questo? Potrebbero essere ricordi-schermo? Il piccolo Charlie scuote il sonno di Bernard, rendendolo un po’ più umano, ma lo spettatore ha la sensazione che ci sia qualcosa che non va. Sappiamo che il mondo creato da Westworld è un gioco illusionistico, “nulla è come appare” come dice il Cappellaio.
Nolan, lungo il settimo episodio, si sta prendendo gioco di noi e dei suoi personaggi, facendo correre le varie storyline in parallelo, legandole l’una all’altra per mezzo di un crudele Deus ex Machina: quella del “quartier generale” in cui esplode lo scontro Theresa-Bernard-Ford, quella di Maeve, sempre più decisa ad allontanarsi dal suo “mondo” e di Dolores, sempre più convinta di voler vivere la realtà e non la sua copia.
Dolores e Maeve, donne forti, pronte a ribellarsi all’ordine prestabilito, colte nell’attimo del cambiamento, a poco a poco si rendono conto di essere solo piccoli ingranaggi di qualcosa di più grande, e lo spettatore si trova in mezzo a un labirinto, folgorato anch’esso dai ricordi-schermo delle due donne. Chi guarda riesce a vedere una via di scampo quando Maeve fugge nella Realtà, quando cammina nel laboratorio alla ricerca della sua amica capendo stralci di verità, fingendosi priva di conoscenza ma consapevole per la prima volta; o quando Dolores assieme a William si spinge sempre più lontano ai confini del mondo immaginabile. Mentre l’uomo, dopo aver letto tanto e aver conosciuto il Mondo, vuole vivere con la donna “come in un libro”, lei invece proprio perché ha una trama ben stabilita vuole vivere libera, rompendo il vincolo che la costringe.
“Trompe L’Oeil” è affascinante fin dal titolo riferendosi a quel genere pittorico che attraverso vari espedienti genera l’illusione di avere di fronte oggetti tridimensionali e reali, non povere immagini a due dimensioni. È un inganno dunque quello in cui vive Bernard, convinto di essere un uomo con una vita, un passato e un futuro, pieno di umanità e consapevolezza, invece no. “Tromp L’Oeil” fa cadere il Velo di Maya, quello che Schopenhauer ha ben raccontato nei suoi scritti, e scopriamo qualcosa che era solo nascosto (ad un certo punto Bernand dice che le Attrazioni non conoscono l’edificio in cui accompagna Theresa e sostiene di non vedere la porta e poi di capire più gli Host che gli uomini), nulla è ciò che è ed ogni cosa è ciò che non è. Abbiamo creduto che Bernard fosse uno studioso lungimirante, un uomo dalla mente aperta, lucido e mai avventato. L’abbiamo visto parlare e interrogare Dolores e anche con Hector, capire i loro pensieri e volerne comprendere le piccole fragilità. Alla fine dell’episodio ci viene svelato che Bernard è uno strumento nelle mani di Ford, quindi rileggiamo i vari avvenimenti in modo diverso: gli stessi dialoghi a cui abbiamo fatto riferimento in realtà sono mezzo attraverso cui Ford controlla i suoi Host, come la relazione che ha legato Bernard a Theresa.
Una caverna buia, degli uomini incatenati che possono guardare solo le ombre di ciò che esiste in realtà; questo è uno dei temi intorno a cui si sono concentrati il cinema e la letteratura fantascientifica, riproponendo in chiave moderna il mito della Caverna di Platone. Sia lo spazio interno che quello esterno della Caverna (il parco) sono fatti di Copie e di Originali (gli androidi e gli ospiti) e qui ci viene mostrato chiaramente. La sensazione dopo questo episodio è che i protagonisti siano soggetti/vittime di una sorta di “liberazione” ma anche “continui fuggiaschi” da un mondo all’altro: Bernard ha “aperto gli occhi” come Theresa la cui sorte infelice è dichiarata fin da quando entrano in quel laboratorio e su un tavolo un braccio meccanico sta costruendo un nuovo Host. La sensazione però è che nulla sia veramente inondato dalla luce.
“Have you ever questioned the nature of your reality? […] And did this exchange make you question anything about your world?”
Tornando indietro Bernard chiede questo a Hector – utilizzato dal Dr. anche per ascoltare i discorsi tra Theresa e Charlotte e smascherare il loro complotto -, una delle Attrazioni del Parco, nuda come nuda è la stanza in cui si trovano. Interroga, inconsapevole ancora del suo stato, sollevando questioni che hanno da sempre tormentato l’uomo, dal Neo di “Matrix” al Solo di “Nirvana”. Come il protagonista del film di Salvatores anche Bernard non sa di essere tale e quando lo scopre in un primo momento è “accecato” da tanta Luce (Verità). L’uomo pone domande all’androide in modo da comprendere quanto quest’ultimo sia consapevole della sua natura, quanto sia conscio di star vivendo un’apparenza di realtà ma a non essere conscio è proprio lui, vittima di un più grande progetto.
Squarcia il cuore la disperazione di Bernard quando scopre di non essere chi credeva: “I don’t understand […]. I’m not one, i can’t be. My wife. My son. The burial. I was father”. Il problema di Bernard, come anche di Dolores e di Maeve, non è tanto (o meglio non solo) quello di essere un androide e di aver vissuto una terribile farsa, ma soprattutto di aver preso coscienza del margine (quello che Dolores guarda con tante aspettative).
E’ una sorta di vertigine, come la descrive Roger Caillois, quella da loro provata nel momento in cui irrompe l’inaspettato e nel finale di “Trompe L’Oeil” accade proprio questo, ma anche nella scena in cui Clementine, la meretrice amica di Maeve, viene utilizzata da Theresa e Charlotte per condannare l’innesto delle ricordanze. Tale sensazione è provata da Bernard ma anche dalla stessa Theresa, quando guardando i bozzetti del dottore scorgono anche quello dell’uomo e quando la donna viene uccisa (Theresa sarà una nuova Host? Prima uomini e poi androidi?). Nessuno e nulla può vincere la furia gelida del personaggio interpretato da Hopkins che con freddezza inizia a costruire la verità o forse un’altra bugia (“They cannot see the things that will hurt them. I have spared them that. Their liver are blissful. […] Their existence is purer than ours”, “The hosts are the ones who are free. Free here under my control“). Interessante è la comparsa nel discorso del compagno di lavoro e amico di Ford, Arnold; c’è un legame tra quest’ultimo e Bernard?
“I read a theory once that a human intellect was like peacock feathers. Just an extravagant display intended to attract a mate. All of art, literature, a bit of Mozart, William Shakespeare, Michelangelo and Empire State Building. Just an elaborate mating ritual. Maybe it doesn’t matter that we have accomplished so much for the basest of reasons. But of course the peacock can barely fly. It lives in the dirt, pecking insects out of the muck consoling itself with its great beauty. I have come to think of so much of consciousness as a burden, a weight and we have spared them that. Anxiety, self-loathing, guilt.”
Il “Genio Maligno” che è Ford ben esprime in queste parole tutto il disgusto per l’essere umano e si mostra Dio plasmatore di corpi, narratore di trame a lui care, ma appare anche come un bambino egoista e malefico che gioca con le sue bambole. Bambole molto più libere degli uomini guidati dall’intelletto e dalla coscienza, intrappolati da ansia, senso di colpa e autocommiserazione, sentimenti che rendono limitato e imperfetto l’uomo. Nelle parole di Ford riecheggiano tutti i monologhi dei film di fantascienza, in questo caso a venire sbeffeggiato, deriso come un mero fardello finalizzato all’attrazione è l’intelletto umano, pavone che si ciba di insetti e fango mentre è impegnato ad ammirare la sua stessa bellezza.
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The Adversar 1×06 | 1.63 milioni – 0.7 rating |
Trome L’Oeil 1×07 | 1.74 milioni – 0.8 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.