“Part One” è stato un’ottima partenza per Your Honor ma va considerato che i secondi episodi sono sempre leggermente inferiori alle series premiere, quindi le attese riposte per questa seconda puntata sono ovviamente più basse. In tal senso, “Part Two” non delude le aspettative, infatti purtroppo conferma il leggero peggioramento rispetto al pilot ma allo stesso tempo riassicura sulla qualità della nuova serie di Showtime.
Certo è che una decina di minuti in meno avrebbero alleggerito la visione.
L’INESORABILE PEGGIORAMENTO
Michael: “Today is yesterday.”
Adam: “What about the car?”
Michael: “It’s being taken care of.”
Adam: “What-what do you mean “taken care of”?”
Michael: “I don’t know. And it’s better that I don’t know. Just like it’s better that you don’t know. And that’s the truth.”
Adam: “[…] I can’t fucking do it, Dad. Any of this.”
Michael: “Yes… you can. You have to… and you will. Or we die.”
L’intera trama di Your Honor si basa sul “piccolo segreto” riguardo l’omicidio colposo di Adam ai danni del figlio del boss mafioso Jimmy Baxter, quindi lo showrunner, Peter Moffat, non ha altra scelta (considerate le nove puntate a disposizione della serie) se non quella di strutturare l’intera serie come un inesorabile peggioramento ai danni di Michael e Adam Desiato fino al fatidico, atteso e scontato scontro finale.
“Episode Two” parte esattamente da questo presupposto e fa di tutto per supportare questa strategia e lo fa sia con delle facilonerie (Michael “rivela” a Nancy Costello il furto della macchina è una forzatura considerando che è una situazione in svolgimento e molto compromettente), sia aggiungendo saggiamente il personaggio di Kofi Jones: al momento l’unica vera vittima. Per tenere viva la trama è ovviamente importantissimo (vitale) allargare gli orizzonti dei protagonisti e dell’universo narrativo di Your Honor, e Moffat lo fa dannatamente bene incrociando la vita di uno sconosciuto (Kofi Jones) con quella dei Desiato, proprio nel miglior stile di Hollywood.
La cosa piace, è funzionale alla narrazione e affonda pienamente le mani nella sofferenza che si prova guardando il precipizio in cui Kofi viene gettato ed il diverso modo in cui Michael e Adam osservano le conseguenza del loro segreto. Inutile dire che questo è (masochisticamente) solo l’inizio.
IL FATTORE RAZZIALE
Judge: “To the charge of vehicular homicide, how does the accused plead?“
Kofi Jones: “Guilty.”
Ogni volta che si guarda qualcosa e si constata una correlazione piuttosto stretta con le notizie, l’impatto della visione è sicuramente più forte. La tematica razziale in U.S.A. ora è particolarmente sentita grazie al movimento Black Lives Matter, ed è un qualcosa che si percepisce di meno in Europa ma è pur sempre, e sfortunatamente, attuale e reale.
La storia di Kofi Jones, proprio per questo motivo, ha un impatto fortissimo perché potrebbe facilmente rappresentare una delle tante storie che purtroppo accadono tutti i giorni negli Stati Uniti. Ovviamente, pur avendo un intento meramente scenico e videoludico, Moffat pone l’accento su un problema gravissimo che si perpetra costantemente ogni giorno di fronte agli occhi di tutti. Il razzismo che si percepisce in aula e anche nelle azioni della polizia (ovviamente) conferma ancora una volta con successo la necessità di un cambiamento che stenta ad arrivare in America e che, nel suo piccolo, viene enfatizzato a suo modo dalla serie. E di questo bisogna darne atto.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.