“The darkest day. The blackest hour. Chin up, shoulders back. Let’s see what we’re made of, you and I.”
Si è sentita la mancanza in questa stagione dei doppi episodi. Doppi episodi che hanno la capacità di caricare oltremodo il pathos e l’epicità di un’avventura del Dottore, trasformandola in un mini-ciclo a sé stante. Se durante tutta la stagione si è preferito (con risultati alterni) dare spazio ad un insieme di autoconclusive avventure, spesso mirate all’esercizio di stile, quasi sempre scuse per abbondare il repertorio di avventure del nuovo Dottore, con il finale non ci si poteva esimere dall’allargare un po’ il discorso. E non è una scelta così scontata come si potrebbe pensare: la sesta e la settima stagione, infatti, con motivazioni e risultati diversi, decidevano di chiudere con singoli episodi, risultati di elementi presentati e disseminati in precedenza.
Qual è la caratteristica di un doppio episodio di Doctor Who? Sicuramente non la fluidità. Ognuno dei due episodi ha un ruolo ben preciso: il primo prepara il terreno, presenta la situazione, scalda il clima con un crescendo progressivo che culmina in un colpo di scena o in una situazione critica ed apparentemente letale (come poi si chiudevano praticamente sempre gli episodi della serie classica); il secondo episodio è la dissoluzione, la risoluzione attraverso vari conflitti epici e drastici. Questo è accaduto nelle prime cinque stagioni della nuova serie, questo sta accadendo anche alla fine della ottava stagione, seppur con alcune peculiarità. “Dark Water” infatti non smentisce una caratteristica che ci ha perseguito da 10 settimane a questa parte (forse si salva solo “Deep Breath“), caratteristica totalmente “moffattiana”. Tanta è infatti l’incontinenza narrativa, a fronte probabilmente di un limitato tempo disponibile, che vi è la necessità di presentare con una rapidità sconvolgente gli antefatti dell’avventura in questione. E sebbene “Dark Water” è l’episodio adatto per presentare tutti gli elementi della doppia avventura, non ci si tira indietro dal mettere in scena un insieme di eventi, anche abbastanza sconvolgenti, nei primi minuti. La procedura non deve essere considerata per forza come negativa: gli esiti infatti sono stati molteplici nell’arco dei precedenti 10 episodi (la rapidità iniziale è necessaria in “Time Heist“, è quasi fastidiosa in “Mummy On The Orient Express“). In questo caso però, la contrapposizione dalla rapidissima tragicità della fine di Danny con relativo lutto di Clara, contrapposta alla lenta e quasi inutile (almeno per ora) scena del finto vulcano, crea una stonatura non da poco. Ma superato questo aspetto, non c’è da lamentarsi affatto.
Steven Moffat ama fare le cose in grande, coinvolgendo grandi lassi temporali, piegando il tempo a suo piacimento, toccando temi ancestrali ed universali. Al concetto di paura, analizzato abbondantemente in “Listen“, si aggiunge questa volta la paura stessa della morte. L’idea presentata in “Dark Water” sulle coscienze intatte, sui corpi riutilizzati come solo ogni buon whovian può immaginare (primo caso di colonna sonora spoiler), è quanto di più oscuro e macabro si sia mai visto in Doctor Who. Non che non ci sia stato di peggio in 51 anni, però la presentazione di un simil-aldilà oscuro e stretto, avvolto in sé stesso come l’inferno di Philip Farmer nel suo romanzo “L’Inferno Capovolto” del 1964, è un’immagine che almeno una volta nella vita ha popolato gli incubi di chiunque abbia mai sognato il proprio trapasso. Come al solito i concetti e gli intrecci non sono immediatamente assimilabili, ma nulla rimane incompiuto (per ora; si sta pur sempre parlando di una prima metà della storia e c’è tempo per mandare tutto in vacca). Sicuramente invece di avere le risposte a cui si aspirava la settimana scorsa, le domande sono aumentate, ma questa non può essere una cosa negativa.
Parliamo di The Master. Questo “colpo di scena” impone riflessioni. Intanto nelle varie ipotesi sparate dal fandom dopo la prima apparizione di Missy, quella di Missy = Mistress = Master è stata una delle più gettonate. Qui si crea un’ambiguità interessantissima nell’analizzare i tempi che corrono. Non è una scelta telefonata: prevedibile forse sì, ma non telefonata. E’ un grosso colpo di scena quello di Moffat. Semplicemente, l’informazione oggi viaggia velocemente: vi è una possibilità amplissima di discorrere e rendere pubbliche le proprie ipotesi, tanto che talvolta si finisce per azzeccare o almeno avvicinarsi al pensiero di uno sceneggiatore stipendiato da un canale importantissimo. Il suo pensare a tutto l’arco narrativo (al quale dobbiamo ancora finire di assistere) è antecedente a tutte le speculazioni possibili e immaginabili nate dopo la trasmissione del primo episodio, quando tutto però era già stato girato e deciso.
Nuova non era però la speculazione di una rigenerazione femminile. E quindi è possibile che si voglia incrementare la possibilità – chi lo sa? – in un futuro, di una svolta decisiva nell’identità del protagonista. Rimanendo più sull’immediato, una risposta importante è stata data. The Master/Mistress deve pur arrivare da qualche parte, deve pur essere uscita dal time-lock dove il Master di John Simm era finito insieme a Rassilon e agli altri Time Lord in “The End Of Time”. Ed è questo aspetto che origina gran parte delle domande alle quali si spera di trovar risposta la settimana prossima.
To be continued
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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In The Forest Of The Night 8×10 | 5.0 milioni – ND rating |
Dark Water 8×11 | 5.3 milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.