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Aldo: “Ci sarebbe Mr. Inbetween.”
Giacomo: “Mr. Inbetween potrebbe andare bene… se la smettesse di parlare con l’accento australiano.”
Aldo: “No, non gli puoi chiedere una cosa del genere a Mr. Inbetween.”
Giacomo: “Mr. Inbetween potrebbe andare bene… se la smettesse di parlare con l’accento australiano.”
Aldo: “No, non gli puoi chiedere una cosa del genere a Mr. Inbetween.”
Si è voluto riadattare questo breve estratto di Chiedimi Se Sono Felice per evidenziare il lato della serie tv di casa FX che forse disturba in misura maggiore durante la visione: l’accento e la parlata dei personaggi in scena. Su tutti, sicuramente, Scott Ryan.
Le due puntate prese qui in esame vedono un’analisi più approfondita e variegata, in quanto a contenuti, di quell’elemento (la rabbia) che sembra contraddistinguere Ray. Il personaggio principale è costruito in maniera ambigua, quasi bipolare. Da una parte, infatti, abbiamo un’apparente calma ed un pacifico approccio a qualsiasi problematica sembra palesarsi di fronte a lui, sempre affrontate di petto e con un sorriso quasi canzonatorio e spaccone disegnato in volto. Dall’altra parte, a fare da contraltare, ci sono gli scatti di rabbia e cattiveria che in “Captain Obvious” e “On Behalf of Society” si concentrano in due precise scene. La prima è quella che avviene fuori dal negozio di vestiti, dove Ray sbotta contro due automobilisti e prende letteralmente a testate il parabrezza della loro auto. La seconda, in conclusione del secondo episodio, è rappresentata dalla carneficina portata a termine proprio da Ray nei confronti del commando che era stato spedito per tallonarlo e verosimilmente ucciderlo appena si fosse creata l’opportunità.
Le puntate si fregiano di alcune scene portate estremamente e volutamente alle lunghe. Basti far menzione al tentato furto di Vasili a casa di Gary ed alla relativa chiamata di aiuto verso Ray. La scena ricopre metà episodio circa con pochi e sapienti cambi di camera. Questo per tre semplici motivi: il tempismo di Ray doveva cercare di essere il più naturale possibile; il minutaggio della serie è esiguo; non esistono altre sottotrame parallele da poter analizzare per guadagnare tempo. Ecco quindi che il protrarsi di una scena diventa da banale riempitivo ad idea geniale per sopperire alla mancanza di argomenti utili di cui dibattere all’interno della serie.
Nella scorsa recensione, e come appuntato poche righe fa, si è sottolineato come la serie abbia l’estrema fortuna di essere costruita attorno ad un minutaggio esiguo (poco più di venticinque minuti a puntata) dando quindi modo allo spettatore di non annoiarsi, ma piuttosto di rimanere calamitato dalla narrazione. Più che calamitato, anestetizzato forse è il termine più corretto data la profonda apatia in scena e la fatica che si prova nel cercare di entrare in sintonia e contatto con Ray.
Rimane la sensazione che Mr. Inbetween non sia stato costruito per avere una vera storia centrale alla quale attingere ed un punto di arrivo al quale voler approdare. La serie cerca di presentare uno spaccato sociale molto variegato ed inusuale, quello della vita di Ray, con i relativi personaggi a lui connessi, senza tralasciare particolari forse superflui. Tuttavia, questa mancanza di punto d’arrivo smorza notevolmente il potere narrativo della serie e fatica ad attrarre.
Le due puntate prese qui in esame vedono un’analisi più approfondita e variegata, in quanto a contenuti, di quell’elemento (la rabbia) che sembra contraddistinguere Ray. Il personaggio principale è costruito in maniera ambigua, quasi bipolare. Da una parte, infatti, abbiamo un’apparente calma ed un pacifico approccio a qualsiasi problematica sembra palesarsi di fronte a lui, sempre affrontate di petto e con un sorriso quasi canzonatorio e spaccone disegnato in volto. Dall’altra parte, a fare da contraltare, ci sono gli scatti di rabbia e cattiveria che in “Captain Obvious” e “On Behalf of Society” si concentrano in due precise scene. La prima è quella che avviene fuori dal negozio di vestiti, dove Ray sbotta contro due automobilisti e prende letteralmente a testate il parabrezza della loro auto. La seconda, in conclusione del secondo episodio, è rappresentata dalla carneficina portata a termine proprio da Ray nei confronti del commando che era stato spedito per tallonarlo e verosimilmente ucciderlo appena si fosse creata l’opportunità.
Le puntate si fregiano di alcune scene portate estremamente e volutamente alle lunghe. Basti far menzione al tentato furto di Vasili a casa di Gary ed alla relativa chiamata di aiuto verso Ray. La scena ricopre metà episodio circa con pochi e sapienti cambi di camera. Questo per tre semplici motivi: il tempismo di Ray doveva cercare di essere il più naturale possibile; il minutaggio della serie è esiguo; non esistono altre sottotrame parallele da poter analizzare per guadagnare tempo. Ecco quindi che il protrarsi di una scena diventa da banale riempitivo ad idea geniale per sopperire alla mancanza di argomenti utili di cui dibattere all’interno della serie.
Nella scorsa recensione, e come appuntato poche righe fa, si è sottolineato come la serie abbia l’estrema fortuna di essere costruita attorno ad un minutaggio esiguo (poco più di venticinque minuti a puntata) dando quindi modo allo spettatore di non annoiarsi, ma piuttosto di rimanere calamitato dalla narrazione. Più che calamitato, anestetizzato forse è il termine più corretto data la profonda apatia in scena e la fatica che si prova nel cercare di entrare in sintonia e contatto con Ray.
Rimane la sensazione che Mr. Inbetween non sia stato costruito per avere una vera storia centrale alla quale attingere ed un punto di arrivo al quale voler approdare. La serie cerca di presentare uno spaccato sociale molto variegato ed inusuale, quello della vita di Ray, con i relativi personaggi a lui connessi, senza tralasciare particolari forse superflui. Tuttavia, questa mancanza di punto d’arrivo smorza notevolmente il potere narrativo della serie e fatica ad attrarre.
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Mr. Inbetween non sarà molto probabilmente la serie dell’anno. A conti fatti, però, non è una serie per la quale, dopo aver visto la puntata, è percepibile quella chiara sensazione traducibile con un perentorio “ho sprecato tempo prezioso della mia vita”. E’ una serie piacevole, da vedere nei tempi morti e senza troppe aspettative. La sufficienza datagli nella presente (come nella passata) recensione rispecchia proprio questo pensiero.
Unicorns Know Everybody’s Name 1×02 | ND milioni – ND rating |
Captain Obvious 1×03 | ND milioni – ND rating |
On Behalf of Society 1×04 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.