Mr. World: “I am the man behind the men, behind the man. Operation Paperclip, the moon landing, Roswell, The Compton Crack Wars. You work for me. You have always worked for me.“
Dopo quasi due anni di estenuante attesa, torna su Prime Video la trasposizione televisiva del celebre romanzo di Neil Gaiman, American Gods, ed esattamente come accadde con “The Bone Orchard“, l’episodio pilota, anche in questa premiére il fattore diegetico viene letteralmente surclassato da quello visivo, definibile oramai a pieno titolo “marchio distintivo” della creatura di Bryan Fuller e Michael Green.
Una delle regole auree del buon critico cine-televisivo è quella di evitare commenti quali “regia e fotografia stupende” o affini, in primo luogo perché si tratta di un parere del tutto personale, e in secondo luogo perché commenti del genere appaiono agli occhi del lettore come una scusa per guadagnare tempo – in questo caso spazio – in assenza di altri elementi più importanti da analizzare. A noi, però, delle regole auree non ce ne importa nulla, questo è risaputo, e quindi cominciamo a scrivere questa recensione proprio a partire da questo assunto: regia e fotografia stupende. Ma perché stupende?
Stupende perché, e questo può essere notato fin dalle prime battute dell’episodio, movimenti di macchina e sapiente utilizzo delle luci (con una spruzzatina di CGI qua e là molto ben amalgamata con le due componenti appena citate) riescono nell’intento di restituire perfettamente allo spettatore – in particolar modo quello che ha letto l’opera da cui il telefilm trae ispirazione – quella sensazione di costante angoscia e smarrimento in cui i nostri protagonisti vivono costantemente. Vi sono – e vi sono state – non poche discrepanze rispetto all’opera originale, tutto ovviamente per esigenze di natura eminentemente televisiva, che però non finiscono col “rovinare” l’esperienza complessiva, bensì contribuiscono a definire American Gods come un’ottima trasposizione dell’opera madre. Quantomeno fino a questo momento.
E non solo. Stupende perché, proprio grazie a questa sapiente commistione, la serie finisce col valorizzare, utilizzando un media diverso, lo stile particolarmente descrittivo di Gaiman, grazie al quale l’autore riesce a dipingere nella testa di chi legge un quadro estremamente particolareggiato di ciò che sta accadendo in quel preciso momento della storia. Basti pensare all’intera sequenza che precede il viaggio in giostra, durante la quale possiamo assaporare ogni singolo momento, perfino l’inserimento di una monetina all’interno della macchinetta, con quel carosello a tratti disturbante che ci rimarrà in testa per tutto il resto della scena, rimanendo comunque soddisfatti del risultato nonostante l’intera sequenza duri quasi una quindicina di minuti.
Il viaggio in giostra diventa così soltanto la ciliegina sulla torta, un viaggio psichedelico, a tratti molto lynchiano, che descrive alla perfezione come potrebbe essere un viaggio in giostra con diversi pantheon di dèi provenienti dalle più disparate culture religiose. Situazione che sicuramente qualcuno avrà già sperimentato provando i cartoncini magici che il vostro zio hippie tiene nascosti nel cassetto del comodino. Ma questa è tutt’altra storia.
In questo avvio stagionale viene dato anche un fugace sguardo a coloro che dovranno affrontare Mr. Wednesday aka Odino nella guerra che oramai si appresta ad iniziare, i famigerati nuovi dèi americani, e fin da subito non possiamo far altro che rimanere affascinati dal Mr. World di Crispin Glover, attore che riesce perfettamente ad esprimere con il suo personaggio le derive sociali/etiche da cui i nostri nuovi dèi traggono tutto il proprio potere. Interessante, in tal senso, il breve monologo di Bilquis in merito alle nuove tecnologie e al bisogno di rinnovarsi (“Evolve or die.”), un tema che dovrebbe farci riflettere su quanto siano obsoleti alcuni dogmi tuttora abbracciati da fin troppe persone, e su quanto sia facile per l’essere umano trovare il divino in posti dove di divino, in fin dei conti, non c’è proprio nulla. Un discorso che non vale soltanto per coloro che, e questa volta nel mondo reale, credono ancora nei vecchi dèi, ma anche e soprattutto a coloro che, pur senza funzioni religiose o quant’altro, hanno realmente trasformato qualcosa di ordinario, come potrebbero essere i social o la tecnologia in generale, in veri e propri feticci, al pari – se non peggio – di un fanatico religioso.
Unica pecca sull’intervento di Bilquis sopracitato, a noi sarebbe piaciuto terminasse in questo modo, poi oh, questione di gusti: “They showed me how to use their tools. Now I can bring my message directly to my people. Now I have an Instagram account. I’m @therealbilquis, don’t forget to follow me.“
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Come To Jesus 1×08 | 0.77 milioni – 0.3 rating |
House On The Rock 2×01 | 0.52 milioni – 0.2 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.
A me questo ritorno è piaciuto molto poco… sembra volessero solamente prendere tempo visto il cambio di sceneggiatori senza sapere realmente cosa fare… scena finale a parte, erano solo 45 minuti di nulla supportati da immagini bellissime…