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Dopo due ore fortemente introduttive, ma da David Simon era lecito aspettarselo, finalmente si arriva al turning point narrativo: Charles August Lindbergh sconfigge Frank Delano Roosvelt, che non ottiene lo storico terzo mandato, e diviene il 33° Presidente degli Stati Uniti.
Il pioniere dell’aviazione, con simpatie naziste mai nascoste, porterà così il paese a spostarsi pesantemente verso destra, con una diffusione capillare dell’antisemitismo. Da qui allora inizia veramente la miniserie targata HBO, che utilizza la famiglia Levin per mostrare agli spettatori le spaccature presenti non solo all’interno della comunità ebraica, ma in generale in tutta la popolazione statunitense.
La ricostruzione storica degli anni ’40 è eccelsa e curata nei minimi dettagli, con un utilizzo continuo della radio per dare informazioni e contestualizzare la narrazione, ricorrendo anche ai filmati proiettati all’epoca nei cinema. La qualità della sceneggiatura è evidente e unisce il talento degli autori di “The Wire” ad un’ottima base letteraria, visto che “The Plot Against America” è considerato uno dei migliori romanzi di Philip Roth.
Nello scrivere la storia lo scrittore americano attinse a piene mani alla propria vita visto che anche egli era nato a Newark, i genitori si chiamavano davvero Herman e Bess, il padre era un assicuratore proprio come Herman Levin.
David Simon e Ed Burns concentrano la narrazione sulle dinamiche interne alla società, quasi lasciando in secondo piano la seconda guerra mondiale e i grandi avvenimenti di quel periodo, mostrandosi più interessati alla microstoria rispetto alla politica internazionale: vi è una chiara scelta di tenere sempre al centro della narrazione i personaggi, facendo ruotare la storia attorno a loro e non il contrario. Il risultato è senza dubbio ottimale, ma la lentezza con cui si sviluppa la narrazione rende questo prodotto seriale per gli appassionati del genere e difficilmente digeribile dal grande pubblico, visto che alla lenta progressione della storia si unisce anche un lungo minutaggio, ben 60 minuti a puntata, veramente eccessivi nonostante l’evidente qualità dello show.
Il legame tra il Rabbino Bengelsdorf ed Evelyn, un’ottima Winona Ryder che dopo il successo ottenuto con “Stranger Things” sembra essere definitivamente tornata sulla cresta dell’onda, è destinato a spaccare la famiglia Levin: da una parte l’appoggio a Lindbergh, dall’altra l’odio verso il pilota con Alvin che si reca in Canada per arruolarsi con gli inglesi contro i nazisti.
L’interpretazione di John Turturro è semplicemente magistrale e la resa scenica dell’Ars oratoria di Lionel è impressionante, tanto che porta gli spettatori a credere veramente, almeno per un attimo, che non vi sia un sentimento antisemita nella politica dell’eroe dell’aviazione americana.
La sensazione è che la modalità di fruizione scelta, una miniserie di 6 puntate, sia l’ideale per sviluppare una storia di questo tipo, per un prodotto seriale palesemente di nicchia in cui raramente vi saranno strappi narrativi o grandi colpi di scena.
Questo secondo appuntamento, proprio come il debutto stagionale, ha una valenza fortemente introduttiva e nonostante il lungo minutaggio a conti fatti succede ben poco, se si esclude la porzione finale della narrazione. La valutazione della puntata è sicuramente molto alta visto i tanti elementi positivi riscontrati sino ad ora, con il massimo dei voti che potrebbe presto arrivare visto che con l’elezione di Lindbergh la storia è finalmente entrata nel vivo.
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“I want Charles Lindbergh to be my President not in spite of my being a Jew, but because I am a Jew. An American Jew”
Part 1 1×01 | ND milioni – ND rating |
Part 2 1×02 | ND milioni – ND rating |
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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.