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Esistono svariate serie tv che hanno deciso (in modo coscienzioso oppure no) di giocare a fare le “grandi”, cercando quindi di abbracciare quante più tematiche narrative fosse possibile. Ne è un esempio, cercando di rimanere in tempi circoscritti e recenti, The Following che, volendo presentare un serial killer dal lato filosofico e/o aberrante ma interessante, aveva fallito miseramente.
Cardinal, a suo modo, rappresentava un infelice compagno di viaggio proprio dell’ex serie FOX: la proceduralità del caso, nonostante le sei puntate stagionali, veniva spesso messa da parte per cercare di creare background a volte incredibilmente forzati; oppure provando ad introdurre una vena filosofica non necessaria; o, ancora, cercando di puntare sul romanticismo per allargare lo spettro del pubblico (o almeno si può dedurre che quello fosse l’intento iniziale). Seconda e terza stagione hanno convissuto con questa insistenza narrativa, quasi si volesse a tutti i costi porre l’elemento crime (fondamentale) in secondo piano rispetto a tutto quello che passava di mente a sceneggiatori e produttori.
Forse la pausa più lunga del consueto, forse un fortuito incrocio di eventi, non è dato saperlo, ma evidentemente qualcuno deve essere rinsavito in questi mesi di produzione perché quello che viene presentato in “Robert” altro non è che la rappresentazione perfetta di quello che questa serie avrebbe dovuto essere fin dall’inizio. Niente riflessioni filosofiche sul nulla, niente romanticismo inadeguato: no, quello che doveva essere prodotto era un crime drama (con tinte noir) corposo e votato a far immergere lo spettatore in un contesto tranquillo e gelido come quello di Algonquin Bay. Niente di più, niente di meno.
Ed il risultato è stupefacente e convincente sotto ogni punto di vista.
Non esistono personaggi secondari se non in sequenze strettamente correlate a dialoghi trasposti dai protagonisti della serie. Sono proprio Lise e John a cannibalizzare ogni singolo segmento della puntata (una gestione del minutaggio che ricorda sotto certi punti di vista Sharp Objects), apparendo dall’inizio alla fine e lasciando che l’episodio venga confezionato attorno a loro. Lo spettatore li segue durante il turno di notte al posto di blocco; li raggiunge in casa prima ed in centrale poi; li segue in ogni singolo spostamento relativo al caso; sembra potersi introdurre addirittura nella loro vita privata per poi, invece, diventare testimone silenzioso di uno dei ritrovamenti più macabri della serie.
Cardinal torna quindi ai vecchi fasti, al ritmo sostenuto della prima stagione, con un elemento positivo in più: durante la prima stagione, Cardinal era indagato proprio da Lise creando all’interno della puntata una suddivisione (50:50) tra proceduralità e background (interessante e necessario, all’epoca).
Ora, archiviata questa necessità di background, la serie si può concentrare totalmente sul caso stagionale che intende prendere in esame. Ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: quaranta minuti lineari, senza necessità di fermarsi durante la visione (cosa che invece si percepiva nelle passate stagioni). Una puntata forse troppo semplicistica, si potrebbe appuntare. Eppure stavolta Cardinal sembra (finalmente) non voler puntare all’essere il nuovo True Detective (anche perché già in passato ha mostrato la distanza siderale dal prodotto di casa HBO), bensì un ottimo crime drama, un poliziesco in grado di catturare l’interesse con il suo caso. C’è un motivo per cui Luther ha sempre funzionato: l’assenza di fronzoli non necessari ed un utilizzo centellinato di comprimari affiancati ad Idris Elba.
Cardinal, a suo modo, rappresentava un infelice compagno di viaggio proprio dell’ex serie FOX: la proceduralità del caso, nonostante le sei puntate stagionali, veniva spesso messa da parte per cercare di creare background a volte incredibilmente forzati; oppure provando ad introdurre una vena filosofica non necessaria; o, ancora, cercando di puntare sul romanticismo per allargare lo spettro del pubblico (o almeno si può dedurre che quello fosse l’intento iniziale). Seconda e terza stagione hanno convissuto con questa insistenza narrativa, quasi si volesse a tutti i costi porre l’elemento crime (fondamentale) in secondo piano rispetto a tutto quello che passava di mente a sceneggiatori e produttori.
Forse la pausa più lunga del consueto, forse un fortuito incrocio di eventi, non è dato saperlo, ma evidentemente qualcuno deve essere rinsavito in questi mesi di produzione perché quello che viene presentato in “Robert” altro non è che la rappresentazione perfetta di quello che questa serie avrebbe dovuto essere fin dall’inizio. Niente riflessioni filosofiche sul nulla, niente romanticismo inadeguato: no, quello che doveva essere prodotto era un crime drama (con tinte noir) corposo e votato a far immergere lo spettatore in un contesto tranquillo e gelido come quello di Algonquin Bay. Niente di più, niente di meno.
Ed il risultato è stupefacente e convincente sotto ogni punto di vista.
Non esistono personaggi secondari se non in sequenze strettamente correlate a dialoghi trasposti dai protagonisti della serie. Sono proprio Lise e John a cannibalizzare ogni singolo segmento della puntata (una gestione del minutaggio che ricorda sotto certi punti di vista Sharp Objects), apparendo dall’inizio alla fine e lasciando che l’episodio venga confezionato attorno a loro. Lo spettatore li segue durante il turno di notte al posto di blocco; li raggiunge in casa prima ed in centrale poi; li segue in ogni singolo spostamento relativo al caso; sembra potersi introdurre addirittura nella loro vita privata per poi, invece, diventare testimone silenzioso di uno dei ritrovamenti più macabri della serie.
Cardinal torna quindi ai vecchi fasti, al ritmo sostenuto della prima stagione, con un elemento positivo in più: durante la prima stagione, Cardinal era indagato proprio da Lise creando all’interno della puntata una suddivisione (50:50) tra proceduralità e background (interessante e necessario, all’epoca).
Ora, archiviata questa necessità di background, la serie si può concentrare totalmente sul caso stagionale che intende prendere in esame. Ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: quaranta minuti lineari, senza necessità di fermarsi durante la visione (cosa che invece si percepiva nelle passate stagioni). Una puntata forse troppo semplicistica, si potrebbe appuntare. Eppure stavolta Cardinal sembra (finalmente) non voler puntare all’essere il nuovo True Detective (anche perché già in passato ha mostrato la distanza siderale dal prodotto di casa HBO), bensì un ottimo crime drama, un poliziesco in grado di catturare l’interesse con il suo caso. C’è un motivo per cui Luther ha sempre funzionato: l’assenza di fronzoli non necessari ed un utilizzo centellinato di comprimari affiancati ad Idris Elba.
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Un ritorno che convince anche se si fiuta una certa vicinanza sentimentale tra John e Lise che potrebbe sfociare (bisogna sperare non troppo intensamente) in qualcosa di più. Ma per ora tanto vale godersi un crime portato in scena come si dovrebbe. Tanto basta.
Helen 3×06 | ND milioni – ND rating |
Robert 4×01 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.