Nel panorama seriale il numero di prodotti dedicati alla criminalità e, in particolare, all’intrigante mondo dei serial killer è sicuramente molto vasto. Tra procedurali (Criminal Minds o The Mentalist) e non (Mindhunter, True Detective, The Following) il pubblico interessato a conoscere le mille derive violente della mente umana non rimane certo a bocca asciutta. Ampio e diverso è infatti il ventaglio di possibilità narrative che si apre nel raccontare le menti disturbate degli assassini che uccidono per bisogno e/o piacere. Come in tutto ciò che afferisce il mondo del crimine, se si parla di personaggi veramente esistiti e storie tragiche e violente realmente accadute l’interesse non può che essere ancora maggiore (come il successo di serie come Narcos testimonia).
THE ALIENIST, UNA STORIA INVENTATA IN UN CONTESTO REALE
Nonostante questo, sembra che i network trovino sempre margine per dare spazio a una nuova storia, a nuove sfaccettature dell’argomento. In questo quadro si inserisce The Alienist che, già a partire dalla frase che campeggia all’inizio di ogni episodio, cerca di far gioco sulla figura, quella dell’alienista appunto, realmente esistita, nonostante le vicende e i protagonisti non lo siano. Volto a compensare quest’ultimo aspetto è sicuramente il tentativo di inserire del realismo con personaggi realmente esistiti: Theodore Roosevelt che sarà un giorno presidente degli Stati Uniti è ancora solo un giovane commissario di polizia; compare anche JP Morgan, fondatore della nota banca d’affari americana. Centrale all’interno del racconto è la questione degli immigrati ghettizzati che vivevano davvero in condizioni igieniche ed economiche che definire precarie è un eufemismo. L’ultimo elemento riesce a portare lo spettatore ad empatizzare con le vittime e con il disagio provato dai protagonisti della buona società ad entrare in contatto con il loro mondo; la presenza invece di un personaggio come Teddy Roosevelt non sembra invece ancora avere un apporto significativo allo show e alle vicende raccontate.
I personaggi principali sono invece scaturiti dalla fantasia di Caleb Carr, l’autore del libro da cui è tratta la serie: un manipolo di personaggi particolari e molto diversi tra loro, tutti accomunati dall’essere anticonvenzionali per il tempo in cui vivono. E sicuramente anticonvenzionale è il momento in cui tutti si ritrovano a dar vita a quello che dà anche il titolo all’episodio, “a fruitful partnership“: un’elegante cena nelle sale del teatro dell’opera a discutere della capacità di un coltello di poter cavare gli occhi di un ragazzino e a disquisire di nuove scoperte scientifiche del campo forense come le impronte digitali. Lo spettatore cresciuto a pane e CSI avrà sorriso nel vedere lo stupore degli astanti di fronte ad una nozione che al nostro tempo è più che banale ma che iniziava solo allora a far capolino tra gli scienziati. Allo stesso modo innovativa e assolutamente fuori dagli schemi è l’intuizione di Kreizler di cercare indizi comuni in morti apparentemente scollegate, se si pensa che ancora in tempi ben più recenti, gli anni ’70 di Mindhunter, la nozione di serial killer non era ancora istituzionalizzata e lo studio del comportamento e delle devianze come forma di prevenzione del crimine una scienza in erba.
L’episodio, in maniera più che esplicita, vuole presentare il gruppo di protagonisti “buoni” per cui lo spettatore dovrà parteggiare lungo la serie, contrapposti a 2 diversi antagonisti: il serial killer ma anche, e forse soprattutto, la polizia corrotta. E’ forse presto per dire se le caratteristiche di questi personaggi abbiano la forza per creare delle interazioni degne di nota. Sicuramente al momento quelli che emergono di più sono il dottor Kreizler e Miss Howard; lo stesso Moore, al momento vagamente stereotipato, si difende bene quando, in un guizzo di intraprendenza nel timore di essere lasciato fuori dal nascente team di investigatori, si reca nel bordello a fare domande scomode sul ragazzo ucciso. Il ritmo eccessivamente dilatato del primo episodio si mantiene coerente così come l’atmosfera sempre vagamente angosciante, nonostante la leggera e quasi colorata pausa della serata all’opera: l’intento è sicuramente quello di infondere in chi guarda una sensazione di inquietudine, come se si volesse sempre anticipare qualcosa di terribile e inevitabile. In effetti l’episodio si accende sicuramente in un finale che, visto il ritmo non particolarmente acceso della scrittura, appare inaspettato. Si lascia nel dubbio il destino del personaggio di Luke Evans ma è un dubbio che facilmente si può fugare: non avrebbe certo senso farlo uscire di scena così ma è sicuramente un plot twist e un cliffhanger interessante per proseguire la visione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Boy On The Bridge 1×01 | ND milioni – ND rating |
A Fruitful Partnership 1×02 | ND milioni – ND rating |
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