Andrew Cunanan: “Honestly. Truly. I swear: I’m really having a date with Gianni Versace”
Torna la serie antologica che ha riscritto le regole del biopic e della docu-fiction.
American Crime Story, infatti, nata dalla mente del geniale Ryan Murphy, offre, ad ogni stagione, una panoramica a 360 gradi su un caso giudiziario che ha a che fare con la storia americana, o che ha lasciato un segno importante su di essa. Così, dopo la straordinaria prima stagione, incentrata sul caso OJ Simpson, ecco arrivare The Assassination Of Gianni Versace.
La dinamica è simile a quanto visto nel pilot della prima stagione e ha numerose somiglianze con essa: la puntata si apre esattamente con il delitto che dà il nome alla storia raccontata, ovvero l’assassinio dello stilista Gianni Versace, per mano del serial killer Andrew Cunanan, davanti alla sua villa di Miami Beach il 15 luglio 1997.
Fin qui non ci sono molte spiegazioni da fare: i primi dieci minuti dell’episodio sono la ricostruzione dell’ultima giornata di Versace fino alla sua morte, in uno stile e una fotografia da melò sentimentale-operistico che fanno sembrare la serie più una puntata di The Sopranos, per la pacchianeria degli arredi di casa-Versace mista alla quotidianità dei suoi gesti, o di The Young Pope (la scena iniziale del risveglio sembra presa pari pari da Sorrentino).
Tutta questa italianità però non rimane esibita solo nella costruzione barocca di fotografia, scenografie e vestiti, ma anche (e purtroppo) nella recitazione. Pare, infatti, che i protagonisti di The Assassination of Gianni Versace abbiano deciso di prendere spunto dal maestro della recitazione italiana Stanis La Rochelle per entrare nella parte. Non tanto per le guest-star assoldate per strizzare l’occhio al pubblico gay-friendly (Ricky Martin) che magari non fanno gli attori di mestiere (il che non è una scusante però) per cui non gli si può attribuire tutte le colpe, ma per gli attori “veri”, che invece lo fanno proprio di mestiere, i quali, non si capisce per quale motivo, devono rimarcare un inglese maccheronico (e meno male che non si mettono a gesticolare) e un atteggiamento da protagonisti di un film di Coppola che, in certi casi, appare veramente fuori luogo (Penelope Cruz).
Per fortuna esistono anche le eccezioni: ottima l’interpretazione di Darren Criss (già collaboratore di Murphy in American Horror Story Hotel e nella serie Glee) nei panni del killer Andrew Cunanan, un personaggio veramente complesso e sfaccettato, portatore di conflitti irrisolti con la sua personalità per cui “dice di essere gay alle persone gay ed etero alle persone etero”. Ma anche un abile mentitore e arrampicatore sociale nonché stalker di celebrità (tra cui, per l’appunto, Gianni Versace) tramite le quali vorrebbe entrare a far parte del mondo dello show-business, un mondo idealizzato dalle copertine di Vogue, da cui il titolo dell’episodio. La recitazione di Darren Criss riesce a far trasparire i diversi stati d’animo di Cunanan e la sua personalità schizoide in modo eccezionale.
Al di là però dei risultati diversi a livello di recitazione, quello che manca in questa premiére è uno specifico quid. Di Gianni Versace viene mostrato soprattutto l’omicidio e la morte, con metafore efficaci (vedi il simbolismo, quasi cristologico, della colomba morta) ed effetti visivi che non sono affatto male. Ma poi a farla da padrone è soprattutto il lato polemico e di denuncia della serie. Gli attacchi a una certa omofobia imperante nel periodo descritto, visibile soprattutto negli atteggiamenti dei poliziotti, e al voyeurismo malato verso le scene del crimine (e allo sciacallaggio di stampa e tv in questi casi) sono rese perfettamente e ricalcano quello che era stato il tema del razzismo in The People v. O.J. Simpson. Ma nella prima stagione questo era comunque accompagnato da una narrazione “da fiction” che poteva tranquillamente essere (anche senza i riferimenti al caso reale) un ottimo legal drama con un mistero intorno all’uccisione della moglie di OJ e la suspense per il verdetto finale, anche per chi già era a conoscenza della storia e sapeva benissimo come sarebbe andata a finire.
Qui manca un meccanismo del genere e il racconto risulta tagliato a metà: di fatto i primi dieci minuti hanno già fatto capire quasi tutti i retroscena del delitto Versace e non c’è nessun dubbio su chi sia l’assassino. Rimane la caccia all’uomo ad Andrew Cunanan ma questa, almeno al momento, non è abbastanza per tenere incollato lo spettatore per così tante puntate, e anche la sua rappresentazione risulta parecchio esagerata (manco fosse Bin Laden in Iraq). Tutte le carte interessanti sulla vicenda di Versace sembrano essere già state giocate e si presuppone che le prossime puntate saranno incentrate solo sul periodo post-delitto. Troppo poco per appassionare veramente lo spettatore. Soprattutto perché lo stesso personaggio di Versace è comparso poco in tutto l’episodio (una ventina di minuti) ed è stato quasi sempre rappresentato più dal punto di vista delle altre persone, rendendolo una sorta di “divinità” senza concentrarsi, invece, sull’aspetto più umano del personaggio, che forse avrebbe suscitato più empatia nello spettatore (cosa che sicuramente non fanno i personaggi comprimari, qui molto più protagonisti di lui).
Terminata, dunque, la visione del primo episodio rimangono più dubbi che speranze su come potrebbe proseguire questa seconda stagione di American Crime Story, tuttavia, dati i precedenti e considerando l’elevato comparto tecnico e artistico della serie, si può ancora concedere fiducia a Murphy e soci per le prossime puntate.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Verdict 1×10 | 3.27 milioni – 1.3 rating |
The Man Who Would Be Vogue 2×01 | 2.22 milioni – 0.7 rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!