“Past Sins” è un ritratto lampante di tutto questo. Proprio quando, per esempio, nella storyline dell’Argus e della Ghost Initiative, il rischio di mandare in vacca l’intera trama recente appare incombente dietro l’angolo, con Diaz che (naturalmente) si riesce a liberare e fuggire, ecco la trovata alla Inception della simulazione nella mente del villain che fa tirare a tutti un profondo sospiro di sollievo. Certo, magari non è dei più originali, alla fine si rivela essere nient’altro che un mero riempitivo per arrivare ai 40 minuti, ma non si può fare a meno di notare che, solo qualche stagione fa, si sarebbe optato invece per il brodo allungato per puntate e puntate. Esattamente come la storyline di Laurel, che si risolve piuttosto sbrigativamente con una battuta a fine episodio, ossia finendo proprio quando ha detto tutto quel che doveva dire. Sottotrame necessarie per una serie di 23 puntate a stagione, ma che a differenza del passato non sono più inverosimilmente imbarazzanti e oltremodo noiose, magari deboli se non inconsistenti, sì, ma che durano quel giusto da non appesantire eccessivamente la visione, riuscendo persino a regalare qualche perla (qui, la morte di Curtis).
Il vero focus di puntata, d’altronde, è su ben altro, su quei “peccati del passato”, che come notato più volte quest’anno, sembrano essere uno dei macro-temi stagionali. “Past Sins”, in questo senso, può esser visto come uno dei titoli più azzeccati della serie, perché si riferisce chiaramente alle principali chiavi di lettura di questo nuovo corso. Partendo da quella esclusivamente narrativa, la pesante eredità dei padri presente anche nel flashforward, vedasi il ritorno a casa del figlio di Oliver in “Emerald Archer”, che mette in scena il principio del suo allontanamento dai genitori. L’introduzione di Emiko Queen, anch’essa rischiosa sulla carta (specie pensando a quante volte gli autori son tornati sui peccati di Robert Queen), per ora convince per la sua gestione a piccole dosi (in “Past Sins”, per esempio, arriva la rivelazione generale a tutti i protagonisti del loro legame), nonché per la sua continuità, appunto, con la tematica familiare, cruciale per l’evoluzione di Oliver.
Se vuole essere accettato dall’opinione pubblica come vigilante “legale”, come “eroe” della popolazione, deve prima passare dall’essere accettato dai propri amici e parenti, e viceversa. E non a caso, dopo il dilemma alla Joker/The Dark Knight in cui i colleghi poliziotti non riescono a ucciderlo per salvarsi la vita, ecco che si guadagna il rispetto e l’approvazione di Emiko e, in “Emerald Archer” arriverà poi quella dell’ex-Team Arrow e, infine, del sindaco Pollard.
Oliver: “John, I made a lot of mistakes.”
John: “We all did. That’s why they’re called mistakes, Oliver. You learn from them. You move forward. We get better.“
L’altra principale chiave di lettura stagione, allora, è quella “meta”, che in “Emerald Archer” diventa più forte che mai, quasi urlata. I “peccati del passato” sembrano infatti quasi un’ammissione di colpa degli stessi autori, la “pesante eredità dei padri” la quarta stagione della “fuga di gas”, per citare Community. Eredità raccolta, assimilata e usata per auto-migliorarsi, come dice lo stesso John, per imparare dai propri orrori. Dal piano letterale del titolo precedente, la componente “meta” in questo episodio passa quindi a quello formale, tramite un (finto) documentario che ripercorre la storia della serie, che ricorda da dove si è partiti, che si sofferma sugli sbagli commessi, per arrivare a mettere le basi per un futuro migliore (?), quello del ritorno a pieno regime e “legale” del team Arrow (grazie alla benedizione finale della Pollard).
Quest’auto-analisi mista ad auto-celebrazione non arriva per niente a caso, visto che “Emerald Archer” è il 150esimo episodio di Arrow. Per questo importante traguardo, quindi, gli autori hanno deciso di fare le cose “in grande”. Sì, il documentario non è tecnicamente impeccabile, va detto, ma può sicuramente risultare gustoso per il ritorno, per quanto fugace, di tanti ex-recurring cast, dai più importanti ai più dimenticati, da Thea a Sin fino a Ragman. Ad elevarlo ulteriormente, poi, è la presenza di una riflessione interna sulla serie stessa: formalmente, come si diceva, visto che Arrow presenta una messa in scena già spiccatamente “urban” rispetto alle colleghe, che qui raggiunge l’apice, calcando per forza di cose ancora più la mano sulle riprese a mano e l’azione simil-realistica; narrativamente, visto i già citati errori del passato vengono affrontati proprio con la riproposizione di vecchi personaggi come Sin o Ragman, rappresentanti del periodo più nero dello show, pieno di vigilanti e aspiranti tali, con caratterizzazioni che lasciavano spesso a desiderare; infine tematicamente, sul passaggio dalla concezione di “vigilante” a quella di “eroe” in atto, che sta dominando la stagione e che con quest’episodio raggiunge il suo punto di svolta.
“Emerald Archer” non è infatti solo un intrigante esercizio di stile, ma è di fatto un crocevia in questo senso. Il ritorno a lavorare insieme da parte dei vecchi membri del Team Arrow da un certo punto di visto è arrivato anche in maniera insospettabile, ossia quando ormai ci si era abituati al nuovo “status quo” e non ci si sperava neanche più. Invece il Team Arrow non era morto, dice sempre John, ma era solo cambiato e il lavoro degli autori è stato egregio proprio per questo, perché quello che potrebbe apparire come un ritorno alle origini privo di coraggio, in realtà è davvero diverso da tanti casi simili, perché non è stato improvviso, ma pensato con una certa lungimiranza, disperdendo anche indizi fuorvianti in tal senso. E il risultato è che nel rivedere John, Renè e Curtis (sì, persino Curtis) in costume, per lavorare tutti insieme come un tempo, un certo brivido nostalgico è impossibile non sentirlo.
Un’eroico ritorno dei vigilanti, poi, reso ancora più affascinante dal meraviglioso quanto sorprendente rovesciamento che si registra nel finale. Nella scena suggestiva del ritrovamento delle rovine del vecchio quartier generale, infatti, si respira sì una bellissima aura mitica riguardante le gesta passate del Team, ma al tempo stesso arrivano, come una fatalistica spada di Damocle, le parole della giovane sul loro triste destino, già accennato dai flashforward precedenti. Ed è proprio qui che Arrow è cambiato, in meglio, più di tutto il resto: gli autori sembrano davvero sapere cosa stanno facendo.
“Vigilantes were the death of Star City. And they got exactly what they deserved.“
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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My Name Is Emiko Queen 7×10 | 1.22 milioni – 0.4 rating |
Past Sins 7×11 | 1.18 milioni – 0.4 rating |
Emerald Archer 7×12 | 1.07 milioni – 0.4 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.